Nell'ultimo anno assisto curiosa al nascere di molti corsi di formazione rivolti agli insegnanti. Al di là delle differenze che ci sono tra una proposta e l'altra, rispetto ai linguaggi coreutici implicati, alla presenza o meno di studi teorici complementari, come ad esempio l'anatomia o la pedagogia, sono felice che tutto questo stia accadendo. Nel nostro Paese la formazione coreutica non prevede una specializzazione chiaramente distinta: tutti noi abbiamo studiato come danzatori, per poi imparare a insegnare e a comporre coreografie direttamente sul campo, attingendo alla nostra personale resilienza, senza una precedente specifica preparazione dedicata. Ricordo con terrore le mie prime lezioni da insegnante, senza punti di riferimento a cui appigliarmi e senza strumenti che mi consentissero, per esempio, di preparare una classe adeguata al livello degli studenti, o di trasmettere le informazioni in modo semplice e diretto. Credo proprio che in Italia attualmente non esista ancora una reale consapevolezza di quanto danzatore, coreografo e insegnante, siano figure differenti, che certamente maneggiano la stessa materia, ma con un tocco estremamente diverso ed uno sguardo sul movimento che opera da punti di vista a volte affini, ma altre molto distanti. La qualità della presenza, a seconda di quale di queste posizioni si occupa, cambia in modo sensibile, ed è necessario comprendere a fondo questo aspetto per poter essere sempre pertinenti e puntuali in ogni azione all'interno del proprio spazio di lavoro. Probabilmente noi insegnanti ci siamo finalmente resi conto che i tempi sono maturi per un cambiamento, che occorre un percorso fortemente mirato per poter essere dei buoni conduttori, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche e soprattutto a livello emotivo, una sfera che riguarda più strettamente la persona e il suo modo di porsi nei confronti degli altri. Forse abbiamo intuito che il riconoscimento della figura dell'insegnante di danza, che attualmente in Italia non esiste, fatta eccezione per chi ha studiato e concluso il percorso all'Accademia Nazionale di Danza di Roma, non avviene solo con l'approvazione di una legge del Ministero, ma anche attraverso una presa di coscienza condivisa e collettiva, che metta al centro della questione la competenza, la serietà e una visione sana della danza e del suo insegnamento. Per questo saluto con gioia questo florilegio di percorsi dedicati a chi insegna danza, perché credo che, senza entrare nel merito della qualità di ogni singola proposta, rappresentino una interessante novità e un'occasione di confronto per definire in modo chiaro il profilo del maestro di danza, distinguendolo da tutto ciò che non lo è.
Personalmente credo sia fuorviante il pensiero, largamente condiviso, che un eccellente danzatore sia automaticamente anche un bravo insegnante, non che questo non possa accadere, ma nella mia esperienza si è trattato di incontri davvero rari e speciali. Nello stare in scena o davanti alla classe, l'ego ha bisogno di trovare luoghi diversi in cui stare, se non opposti: un insegnante dovrebbe aver superato ed elaborato ogni questione relativa all'ego per allontanare il più possibile il rischio di giudizio (verso sé stesso e , di conseguenza, verso gli altri), di eccessiva autorità o di competitività nei confronti dell'allievo, eliminando ogni frustrazione personale per potersi infine mettere a disposizione di chi in quel momento ha solo bisogno di una guida a cui affidarsi. Coloro che hanno investito tutta la propria esistenza lavorativa per il palcoscenico come interpreti o danzatori, dovranno lavorare su sé stessi per riuscire a spostare la propria energia da un'altra parte e concedersi alla classe in modo assolutamente neutro, così come chi si è impegnato nello sviluppo di una propria personale metodologia didattica, dopo aver trascorso decenni a praticare ricerca in ambito pedagogico, non è detto che si troverà a proprio agio su un palcoscenico.
Ad ognuno il proprio lavoro, ad ognuno la propria scelta.
Ed è proprio su questo punto che arriviamo al nocciolo della questione. La situazione lavorativa in Italia è al limite del collasso, con i danzatori costretti ad accettare condizioni lavorative impensabili fino a venti anni fa. Questo porta molti giovani, anche appena usciti dalle accademie, a servirsi dell'insegnamento come mezzo di sostentamento o per riempire gli spazi non coperti da un contratto da danzatori. In questo modo insegnare non è sempre una scelta ma un ripiego o comunque un luogo temporaneo di transizione verso la prossima produzione, con tutte le conseguenze che questo tipo di atteggiamento comporta. Anche io ho cominciato così, sebbene poi mi sia innamorata di questo lavoro, grazie al quale ho trovato un posticino interessante per poter restare accanto alla mia amata danza. Esistono ovviamente esempi eccellenti di professionisti intelligenti e consapevoli che riescono a trovare un equilibrio perfetto tra il lavoro sulla scena e quello di formatore, ma si tratta di una minoranza netta in mezzo al mare, mi duole dirlo, di coloro che si improvvisano in un compito così delicato e difficile. I gestori dei centri di formazione coreutica, hanno un ruolo importantissimo in questo senso, attraverso la scelta dei docenti che formeranno il proprio staff, che dovrebbe essere dettata dalla volontà di offrire una preparazione adeguata, in sicurezza e secondo una visione sana, colta e non agonistica dell'attività coreutica.