Addio alla ballerina e coreografa Jacqueline De Min, donna di rara bellezza ed eleganza

di Giada Feraudo
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«Fa’ attent!» era l’espressione con la quale Jacqueline De Min era solita ammonire i danzatori prima di dare una correzione. La ballerina e coreografa francese si è spenta a Cannes, dove viveva, lo scorso giovedì 21 marzo, all’età di 76 anni, in seguito ad una malattia.

Una lunga e prestigiosa carriera la sua, che l’ha portata a lavorare al fianco di ballerini del calibro di Carla Fracci e Rudolf Nureyev.
Il suo primo ingaggio avviene al Balletto dell’Opera di Strasburgo, all’età di 16 anni. Entra quindi a far parte della Compagnia del Gran Ballet du Marquis De Cuevas e successivamente viene ingaggiata dai Teatri di Nizza e Ginevra. Nel 1968 è nominata Prima Ballerina nel Gran Ballet Classique de France e nel 1970 è ospite del Cullberg Ballet. Nel 1972 viene chiamata da Carla Fracci a far parte della sua Compagnia e, successivamente, si dedica alla coreografia. Viene anche invitata come coreografa e maître de ballet al Teatro di Tirana, al Teatro Verdi di Trieste, all’Arena di Verona, all’Opera di Catania e di Palermo e al Teatro San Carlo Di Napoli per rimontare Giselle per Alessandra Ferri.

Per vent’anni, dal 1988 al 2008, insegna a Vallecrosia, in Liguria, nella scuola di danza che portava il suo nome, ora divenuta “Il Cigno nero”, che lei ha continuato a frequentare quasi quotidianamente anche dopo aver dismesso l’incarico ufficiale di insegnante.

«Era una moretta tutta pepe» ricorda affettuosamente Loredana Furno, che con Jacqueline De Min ha lavorato e collaborato per tanti anni. «Io e Jacqueline ci siamo conosciute nella Compagnia di Carla Fracci e Beppe Menegatti. La prima produzione in cui abbiamo danzato insieme è stata Le creature di Prometeo, del coreografo Milorad Miskovich, a Genova, al Teatro Carlo Felice, all’inizio degli anni Settanta. Per quanto riguarda i nostri ruoli, eravamo entrambe seconde donne all’interno della Compagnia ma non ci siamo mai date fastidio in quanto eravamo molto diverse sia caratterialmente sia fisicamente: lei era una francesina magrissima, non molto alta, capelli scuri, un peperino; io ero più alta, bionda, interpretavo personaggi drammatici e lirici.

Inizialmente il nostro rapporto era soltanto di lavoro; con il tempo ci siamo poi avvicinate maggiormente e la nostra è diventata un’amicizia. Quando chiamavo Jacqueline a Torino per rimontare le sue coreografie (il Balletto Teatro di Torino ha in repertorio diversi suoi lavori, n.d.r.) o per gli stages della scuola era ospite da me, lei e i suoi cani». Sì perché Jacqueline De Min era sempre accompagnata da qualche cagnolino di piccola taglia (ultimamente 3 bassotti, in precedenza uno yorkshire), che trasportava rigorosamente in borsa. Tutti ovviamente iniziati alla danza: Lila, lo yorkshire, se ne stava buona buona nella sua borsa-cuccia per tutta la durata della lezione di classico ma trascorsi i 90 minuti, puntuale come un orologio svizzero, sbucava dal suo rifugio e cominciava a trotterellare per la sala incurante dei ballerini che eseguivano l’ultima diagonale di grandi salti sperando di schivarla.

« A proposito di cani » racconta ancora la Furno «ricordo uno spettacolo al Teatro Comunale di Modena. All’epoca c’era Quenotte, un bassotto a pelo lungo: era una cagnolina pestifera, nessuno la poteva avvicinare. Il camerino doveva sempre essere chiuso altrimenti lei saltava addosso a ogni malcapitato che osasse entrare. In occasione di una cena post-spettacolo in una trattoria vicina al teatro uno dei macchinisti, un omone corpulento, inizia un bel momento a parlare di Jacqueline e così facendo mostra sul braccio il segno del morso del cane, inconfutabile marchio della collutazione con la “belva”. Abbiamo riso tutti nell’immaginare la scena».

I ricordi divertenti non finiscono qui: Loredana Furno ci riferisce ancora due brevi episodi, uno accaduto a Torino e l’altro a Verona. « In relazione al primo» dice «ci trovavamo al Teatro Regio, all’inizio della Stagione autunnale. In quel periodo era entrata nella Compagnia una nuova danzatrice, a cui Roberto Fascilla aveva deciso di affidare la parte dell’Uccello Azzurro nella sua Bella Addormentata, ruolo da dividere con Jacqueline De Min nella varie recite. Per la prima rappresentazione Roberto aveva scelto di far danzare “l’altra”. Quando Jacqueline ne venne a conoscenza diventò una furia: condividevamo il camerino, e lei alla notizia iniziò a saltare come un grillo, arrabbiatissima, urlando a raffica “Merde! Merde! Merde!”

A Verona invece, nel corso di una delle tante cene dopo gli spettacoli, eravamo in un locale molto affollato. Lei aveva ordinato del “fromage”. Tutti erano stati serviti da tempo, tranne lei, che pensò bene di dire al cameriere in tono sarcastico “Pas trop cuit le fromage! (Non troppo cotto il formaggio!)”. Quello si arrabbiò tantissimo e se lei non fosse letteralmente scappata da tavola forse sarebbe addirittura volato qualche schiaffo».

In seguito, soprattutto dopo un grave incidente d’auto, Jacqueline De Min si dedicò molto alla coreografia dei classici del repertorio, e in particolar modo a Giselle, che riprese molte volte. « La Giselle di Jacqueline» racconta sempre la Furno «fu l’ultima che danzò Rudolf Nureyev. Nel 1988 mi fu chiesta la disponibilità della Compagnia per mettere in scena una Giselle con Rudolf. Io e l’impresario andammo a prendere Nureyev all’aeroporto di Caselle. Lui mi fece pochissime domande: quante Willi potavamo avere, chi avrebbe interpretato Hilarion e chi Myrtha. Io risposi: “16 Willi al massimo, Hilarion sarà James Urbain e Myrtha sarò io”. Fece un’ultima domanda, chiedendo di chi sarebbe stata la coreografia. “Di Jacqueline De Min”. “Allora va bene, siamo d’accordo”. Non aggiunse altro, e così rimontammo questo spettacolo con lui, purtroppo già malato, e la sua partner, Evelyne De Sutter».

Ci sarebbe molto ancora da raccontare ma questi brevi aneddoti vogliono ricordare in modo leggero ed affettuoso una donna di rara bellezza ed eleganza, piena di energia, di vita, talvolta dura e severa ma allo stesso tempo molto dolce, che qualunque cosa fosse accaduta prima entrava in sala prove come se nulla fosse successo, senza mai serbare rancore, una grande professionista.

Au revoir, Jacqueline.

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