Giovedì 28 settembre al Teatro Argentina nell’ambito del Romaeuropa Festival, l’Akram Khan Company ha presentato in prima nazionale Jungle Book Reimagined.
Una reinvenzione de Il libro della giungla di Rudyard Kipling per mano di Akram Khan insieme allo scrittore Tariq Jordan e alla drammaturga Sharon Clark.
Il coreografo che nel 1987, a tredici anni, è scelto da Peter Brook per Mahabharata, un’occasione che modella la sua direzione artistica più affine ai miti che alla storia, tratta la narrazione di Kipling come un mito che nel lungo periodo, o completamente fuori dal tempo, si rivela essere la verità.
Lo spettacolo in due atti mostra la verità della nostra realtà con tutta la sua complessità. A seguito dell’innalzamento del livello del mare causato dal riscaldamento globale, una bambina si ritrova separata dalla sua famiglia, in un abisso pieno di spazzatura; viene scoperta dal branco dei lupi che dopo un’iniziale diffidenza decidono di accoglierla e impegnarla nella loro ricerca di cibo. I Bandar-log, le scimmie da laboratorio, catturano Mowgli perchè vogliono apprendere da lei i segreti per diventare pienamente umani. Kaa, Baloo e Bagheera riescono a salvarla ma l’abbattimento di Chil per mano di un cacciatore provoca altre tensioni. Mowgli decide di rimanere con gli animali e di cercare l’uomo violento per porre fine alla violenza.
Jungle Book Reimagined è uno spettacolo ricco in cui la danza del coreografo anglo – bangladese, la musica di Jocelyn Pook, gli effetti sonori di Gareth Fry, le luci di Michael Hulls e l’animazione disegnata da Yeast Culture cooperano con apporti dissimili per rappresentare scenicamente tematiche urgenti come la crisi climatica, la più manifesta, ma anche l’inquinamento, un’iniqua distribuzione e allocazione delle risorse, il nostro rapporto con gli animali e la caccia. Subito dopo l’apertura di sipario, le proiezioni ci illustrano le conseguenze del cambiamento climatico e nel contempo trasformano anche il movimento animalesco degli interpreti i cui corpi sono “addomesticati” secondo i principi del vocabolario di Khan.
A ben vedere, forse, è improprio l’uso dell’attributo “animalesco” se è vero che proprio la facoltà del movimento ci rende e ci accomuna (oltre a darci il nome) agli altri animali che qui hanno corpi antropomorfici e voci umane. Oggi, sembra che l’unico modo di relazionarci con l’alterità animale sia cercare noi stessi negli altri oppure imporre agli altri quello che di noi stessi crediamo di conoscere: un rapporto di amore e abuso che spesso confluisce dentro una relazione di possesso come quella dispiegata dallo spettacolo che alterna scene di conflittualità e di affettuosità tra gli animali e verso la ragazza.
E infatti lo stesso accade nella nostra specie: tranciato l’atavico legame con la “necessità della caccia” per la sopravvivenza, sopravvive solo una declinazione voluttuaria ostile alla restaurazione di un’altra idea atavica preistorica che invece risale a un’epoca in cui gli esseri umani sono in armonia con il nostro pianeta e con tutti i suoi esseri viventi.
In definitiva Jungle Book Reimagined è il racconto del nostro vitale bisogno di appartenenza agli altri e al mondo che è strutturale, ossia necessario per riconoscersi, conoscersi e agire congiuntamente. Noi spettatori non veniamo attratti tanto dai sentimenti individuali, dalle vicende del singolo personaggio, piuttosto siamo sedotti dall’intensa ed efficace esecuzione delle frasi di gruppo (dodici interpreti che indossano tutti un gilet rosso e un pantalone harem grigio) che esprimono un violento dolore collettivo, un comune sentimento di vendetta, un desiderio condiviso di speranza.
Jungle Book Reimagined si struttura su un piano collettivo che con una certa audacia possiamo definire anche sociale poiché l’obiettivo del coreografo è la società contemporanea, nella misura in cui è nella società, e in particolare l’economia, i rapporti di potere e le disuguaglianze.
Questo lavoro è contrassegnato da un’urgente visionarietà che lo rende accessibile a tutti, anche troppo per alcuni spettatori che in platea lamentato l’eccessiva cifra didascalica, oltre che la lunga durata, definendolo uno spettacolo per bambini, forse per una certa affinità con i cartoni “animati”, malgrado un’ambiguità narrativa e le animazioni flashback che possono complicare la ricezione. Jungle Book Reimagined palesa un potenziale educativo adatto a tutte le persone di qualsiasi età che sembra rispondere esattamente alla voce “Missioni e Valori” sul sito della compagnia: ovvero, “Attraverso l’incontro dei mondi, invitiamo le persone a vedere, sognare e riflettere sulla bellezza e la complessità dell’essere umano.”
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Complimenti per l’articolo!!