Dal 14 al 26 giugno l’Aterballetto torna al Piccolo Teatro Strehler di Milano, proseguendo così un’interessante collaborazione artistica che giunge ormai al suo quinto anno.
L’Ater, una delle realtà internazionali più interessanti nel vasto panorama della danza contemporanea, presenta, per questa occasione, due programmi che vedono lavori firmati da sei diversi coreografi, alcuni dei quali già affermati e conosciuti, accanto a nuove proposte.
Nel primo dei due programmi in cartellone, in scena dal 14 al 17 giugno, saranno presentate quattro coreografie: L’eco dell’acqua e #hybrid, di Philippe Kratz, Lost Shadows di Eugenio Scigliano e BLISS di Johan Inger.
In L’eco dell’acqua Philippe Kratz racconta la poesia di Goethe, Canto degli spiriti sulle acque, insieme a un fatto di cronaca, l’abbattimento di un aereo civile da parte di un missile. Secondo il poeta come l’acqua, anche l’anima dell’uomo viene dal cielo e al cielo ritorna, in un ciclo infinito. Ma anche i corpi, nella loro materialità, a volte piovono dal cielo sui campi (in seguito ad un disastro aereo, ad esempio), come le pesanti nuvole di polvere raccontate da Goethe.
In #hybrid stili di danza diversi e spesso considerati agli antipodi, come le “punte” e la street dance, si mescolano infrangendo le barriere dei generi in una coreografia nata sui suoni afro-americani della musica di Romare.
Lost Shadows di Eugenio Scigliano,sulle musiche di Franz Schubert, è un passo a due intenso e romantico, che parla di un ricordo ormai quasi svanito, di cui non restano che pallide ombre ma che, in un appassionato gioco di tenerezza e di passione, ben rappresenta il sentimento più forte: l’amore.
Per BLISS Johan Inger (vincitore del prestigioso premio Benois de la Danse 2016) si ispira al Koln Concert di Keith Jarrett, improvvisazione jazz eseguita all’Opera di Colonia nel 1975, diventata un album di culto. «Nel mio Bliss si danza l’emozione della musica – ha detto Inger –. Amo profondamente quest’opera. È una musica che per me ha un profondo potere comunicativo. È stata una sfida, difficile ma interessante, rendere questa forza senza perdere la freschezza ed estemporaneità che si crea durante un’improvvisazione. Un brano di pura danza».
Il secondo programma, in scena dal 24 al 26 giugno, annovera le coreografie LEGO di Giuseppe Spota e Upper East Side, di Michele Di Stefano, a cui si aggiunge 14’20”, un pezzo di Kylián, indiscusso maestro della danza del Novecento, per la prima volta nel repertorio della compagnia.
LEGO, il titolo della coreografia di Giuseppe Spota non è un riferimento diretto ai celebri mattoncini, anche se un collegamento concettuale si può trovare: “lego” infatti, voce del verbo “legare”, inteso come “legame” significa anche, in senso più ampio, “costruzione”, “incastro di tasselli”. Spota esplora il mondo delle relazioni umane per sottolineare l’importanza dei rapporti e dei legami veri e reali in un mondo sempre più spersonalizzato dall’uso delle nuove tecnologie.
Michele Di Stefano, vincitore del Leone d’Argento per la Danza alla Biennale di Venezia 2014, propone, con Upper East Side, un lavoro sull’architettura del movimento creata dalla dinamica dei corpi. Sulle musiche originali di Lorenzo Bianchi Hoesch, Di Stefano fonda la sua idea creativa sulla gestualità dei ballerini nello spazio, sulla loro velocità, sull’esecuzione di una coreografia che è allo stesso tempo una geografia della danza.
14 minuti e 20 secondi: questa è la durata del pezzo di Kylián che fa da titolo alla coreografia. Il tema è quello del tempo, concetto astratto dalla misurazione convenzionale che, secondo il coreografo, per gli esseri viventi è «determinato da due istanti, il momento in cui siamo nati e il momento in cui si muore». Collegati al concetto di tempo, Kylián esplora inoltre i temi di velocità, amore e invecchiamento, tutti strettamente legati all’esperienza umana.