Aldo Masella: un “pezzo di storia”, un signore il cui successo “non dura una sola sera”

di Francesco Borelli
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Se l’angelo custode gli avesse anticipato qualcosa di quella che sarebbe stata la sua vita artistica, Aldo Masella avrebbe stentato a crederci. Regista in teatri italiani e stranieri, giornalista, danzatore, scrittore, direttore della Scuola di Teatro e Danza del Teatro Carcano di Milano, già titolare della cattedra di Arte scenica e letteratura Poetica e Drammatica al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano sez di Como… Mi fermo qui perché lo spazio è tiranno ed il Maestro, con l’elenco dei suoi titoli, lo riempirebbe tutto.

Non nascondo che trovarmi di fronte a lui mi mette un po’ in soggezione, ma, quest’intervista a tutto campo  devo necessariamente farla, lasciando libero Masella di esercitare la sua affascinante arte di raccontare..

 Maestro, lei è autore di numerosi scritti in cui definisce gli artisti che ha incontrato e con i quali ha condiviso importanti esperienze di lavoro, dei “pezzi di storia”. Quasi come se non ci fosse in lei la consapevolezza che di quella storia lei fa parte e ne è un rappresentante grande e importante.

Mi permetta solo una digressione a proposito dell’ angelo custode. Con uno zio cardinale poi Camerlengo di Santa Romana Chiesa, ero guardato con un po’ di sospetto data la scelta di dedicarmi al teatro.

I miei “ pezzi di storia”solo ad elencarli riempirebbero, come lei ha già accennato, più di quanto immagino le sia concesso  per questo articolo. La mia formazione artistica, iniziata presso il Teatro San Carlo di Napoli, è costellata di incontri con straordinari personaggi. Mi consento qualche nome quale quello di Nicola Benois, Ugo Dell’Ara, Aurel Millos, Tatiana Pavlova, Jean Cocteau, Salvatore Quasimodo, Rita e Jurek Shabelesky, Eduardo De Filippo, Giuseppe Marotta e tanti altri che mi hanno indicato, con la loro grande esperienza, i giusti percorsi. Un importantissimo personaggio fu per me Ettore Giannini. Lo conobbi all’Accademia d’Arte Drammatica proprio mentre preparava quell’irripetibile spettacolo che fu Carosello Napoletano. Mi propose di farne parte e fu per tutti i componenti del cast artistico un’ avventura di circa due anni e che, dopo il debutto in Italia, ci riservò una lunga tournée in Brasile, Uruguay ed Argentina.. Lo spettacolo durava 4 ore e 20 minuti ed io avevo 27 cambi di costumi.

Quest’esperienza cambiò in qualche modo i suoi obiettivi?

Certamente. Gli  insegnamenti e le  coreografie di Ugo Dell’Ara, mi mostrarono una danza più teatrale, e moderna, rispetto a quelle che erano state le mie esperienze nel campo. Al termine del contratto Dell’Ara mi suggerì di presentare  una domanda  per entrare nel corpo di ballo della Scala. Convocato per l’audizione, e superata la scrematura di prassi, rimanemmo in tre: Mario Pistoni, Aldo Scardovi ed io. Pur non avendo un bagaglio tecnico all’altezza del massimo milanese, fui accolto dopo aver patteggiato  con Esmèe Bulnes, la direttrice del ballo, la mia entrata alla Scala in cambio di tre lezioni al giorno più prove e spettacoli. I miei compagni erano Walter Venditti, Roberto Fascilla, Flavio  Bennati, Aldo Santambrogio, Enrico Sportiello, Ercole Oriani, Lallo Ronconi e, naturalmente le prime ballerine dell’epoca: Olga Amati, Gilda Maiocchi e Vera Colombo. Ma i coreografi furono per me un evento straordinario. Non smettevo mai di leggerne i nomi sul cartellone del teatro: Serge Lifar, Aurel Milloss, George Balanchine, Léonide Massine e Boris Romanoff. A personaggi così straordinari si aggiungevano poi elementi di altrettanta straordinarietà quali erano gli scenografi che spesso incontravamo nella cambusa del teatro: Salvador Dalì, Pablo Picasso e Giorgio De Chirico.

I personaggi da lei ricordati sono tra i più grandi della storia della cultura e del teatro mondiale. Eppure ne parla con infinita naturalezza.

Con alcuni di loro strinsi dei bellissimi rapporti di amicizia. Dalì, che incontrai ancora a Venezia, lo rividi, intorno agli anni 60  a Napoli,  dove era venuto, mi disse, per rendere omaggio alla grande cultura napoletana. Accompagnato dalla moglie e dal suo segretario si recava a visitare i caravaggeschi della Basilica di San Domenico Maggiore. Mi proposi di fargli da guida e cominciammo la visita  preceduti dal sacrestano che non immaginava minimamente chi fossero i suoi ospiti. Alla fine della visita il fraticello, appoggiandosi a una porta accanto all’altare maggiore, si lasciò andare ad una considerazione, “Insomma, disse, qui ci sono i più grandi pittori del mondo”.  Il grande artista spagnolo non perse l’ occasione per osservare :“E Dalì?”. Il sacrestano, indicando la porta che aveva alle spalle e temendo un protrarsi della visita, rispose: “ No, lì non ci sta niente, è solo nu deposito e rrobba vecchia”. Il commento della moglie del pittore fu istantaneo: “Ecco la fine di un mito!” esclamò.

Ma la mia avventura scaligera si arricchì anche di una grande esperienza : Affiancai Ugo Dell’Ara e Mario Porcile nella nascita del Festival di Nervi. Era il 1953. Su richiesta di Ugo impegnato su altri fronti, divenni quasi il trait d’union tra lui e Mario Porcile, che risiedeva a Genova. Ricordo bene quel periodo: il Festival era un grande salotto in cui era possibile incontrare i più grandi nomi della danza internazionale. Fu un successo mondiale e divenne poi un appuntamento fisso senza, però, la partecipazione di Dell’Ara.

A questo periodo risale la pubblicazione del suo primo libro “La danza classica e il balletto”. Come arrivò, fra tante attività che stavano prendendo corpo, alla stesura di un manoscritto?

In quegli anni, così colmi di avvenimenti, feci un lungo viaggio che comprendeva Tripoli, Tunisi, Algeri, Sfax, Casablanca e Malta come collaboratore stampa e attore della “Compagnia Calderoni Regis” protagonisti del Festival Italiano dell’Operetta. Era il 1956. Il direttore del corriere di Tripoli mi propose di scrivere per lui. E lo feci. Da lì nacque il desiderio di mettere per iscritto tutto ciò che stavo conoscendo e scoprendo nell’ambito dell’arte coreografica. Il libro ebbe successo e seguì l’anno dopo, “Anatomia e tecnica della danza”. Ciò favorì, ancora una volta, un rapporto nuovo con la danza.

Intanto era tornato a Napoli, nel corpo di ballo del Teatro San Carlo.

Rimasi nel corpo di ballo fino agli inizi degli anni 60. Poi mi dimisi definitivamente ed entrai alla redazione napoletana de “Il Tempo” occupandomi di danza e spettacolo. Dopo circa un anno di totale assenza dai palcoscenici, ebbi  dal sovrintendente del San Carlo l’offerta di fare da assistente a Herbert Graff, direttore del Teatro di Ginevra. Accettai subito. Il lusinghiero parere espresso da Graff nei miei confronti, siglò l’inizio della mia collaborazione con il massimo napoletano come aiuto regista e ciò mi diede l’occasione di conoscere e lavorare con i grandi maestri che passavano dal teatro: Visconti,  Zeffirelli, Puecher, Bolchi, Eduardo.

In che modo si relazionava a personaggi di tale levatura?

Ho sempre avuto un atteggiamento estremamente rispettoso con tutti. Con Edoardo De Filippo,  ebbi un piccolo screzio su una questione di ordine amministrativo legata agli orari di lavoro dei tecnici. Mi tenne il broncio per qualche giorno, ma capì che io eseguivo degli ordini. Fu un incontro che segnò la mia carriera. Un giorno che eravamo a cena in un ristorante alle pendici di Posillipo e si parlava di teatro, mi disse “Masè, ricordatevi una cosa: il successo dura una sola sera, l’insuccesso dura tutta una vita”. Non l’ho mai dimenticato.

A un certo punto si staccò dalla vita San Carliana. Perché?

Mi chiamò Bindo Missiroli il quale mi offrì il ruolo di Regista assistente all’Arena di Verona. Su consiglio del sovrintendente del San Carlo, accettai. Intanto stava nascendo il mio terzo libro: “Storia Della danza”, oggi alla quarta edizione. Era il 1972. Mi dividevo tra l’Arena di Verona durante l’estate e il San Carlo dove, al  rinnovo del contratto, ottenni due regie l’anno. Terminata la sua sovrintendenza  in Arena, Missiroli ed il  m° Garazzeni mi proposero di andare alla Scala. Ero lusingato, ma rifiutai. Capii che in quello straordinario teatro, sarebbe stato difficilissimo conquistare quanto avevo in animo. L’anno dopo cominciai. la mia attività di docente presso il Conservatorio Lorenzo Perosi di Campobasso

Nel 1983 diede le dimissioni dal Teatro San Carlo e approdò definitivamente a Milano.

Il mio lavoro di regista si era intanto intensificato. Fui scritturato per inaugurare la stagione lirica del Regio di Torino con la regia di Carmen, diretta da Peter Maag che mi volle accanto a se all’Arena di Verona per la regia di Aida e al Teatro dell’Opera di Roma per Il Ratto dal Serraglio. Ho poi proseguito l’attività  di regista alla Fenice di Venezia, al Comunale di Bologna, al Teatro dell’Opera di Madrid, al San Carlos di Lisbona, al Festival Lirico di San Sebastian, al Petruzzelli di Bari, al Ravenna Festival, al Soeul Opera, al Teatro dell’Opera di Caracas e in molti altri enti minori. Ci fu, ricordo, un piacevole impegnativo fuori programma quando fui chiamato per dirigere lo spettacolo Fascino di Napoli in occasione della  visita della regina Elisabetta II nel capoluogo campano. Fuori programma che si verificò anche il terzo anno che mi recavo a Caracas. A causa di uno sciopero fummo costretti ad una sosta di tre giorni a San Juan de Puerto Rico. Alloggiati in un hotel che nei quadri affissi alle mura riecheggiava le gesta dei pirati, decisi di scrivere un  libro che, edito da Schettini, uscì con il titolo Pirati e Corsari.

Nel 1983, lasciai Napoli per trasferirmi a Milano. Volevo essere più vicino a mia moglie ed alle due mie figlie. Fu allora che intensificai l’attività del Centro studi coreografici nato nel 1976. Nel frattempo avevo pubblicato molti altri libri. A oggi sono venti in tutto.

Nel corso della sua carriera così varia e longeva, qual è stata la molla che, di volta in volta, l’ha spinta a realizzarsi in ambiti tra loro sempre diversi? Seppure accomunati dal filo conduttore della danza, della cultura e del teatro?

Sono sempre stato spinto dalla necessità di mettermi alla prova, capire fin dove sarei potuto arrivare. La regia delle opere liriche m’impose, ad esempio, lo studio della musica. Imparai a leggere uno spartito, ad approfondire i periodi storici in cui l’opera era ambientata, a studiare lo stile dei costumi e dei mobili ecc.. Tutto quest’attenzione al dettaglio la devo a Visconti, grande regista e maestro. Ricordo una sua frase mentre prendevamo un caffè da Votto a Capri: “È finita, caro Masella, è finita”. Si riferiva alla conclusione di un periodo d’oro che ormai volgeva al termine ed al quale si sostituiva un’ordinarietà che per un uomo come lui era intollerabile.

E per un uomo come lei?  Oggi l’approssimazione e la pressa pochezza sono all’ordine del giorno.

Non ho rimpianti. Sono molto contento di ciò che ho fatto e vissuto. Guardo tutto con un po’ d’indulgenza. Alla mia età è necessario. Non si può combattere per sempre.

Cosa significa guardare le cose con indulgenza?

Ho visto tanti ragazzi arrabattarsi per venire fuori da situazioni dure e ingarbugliate e in alcuni casi, poco felici.  L’aiuto ai giovani è solo una leggenda che tutti adoperano, spesso in concomitanza con le elezioni politiche, trascorse le quali tutto torna come prima.

Quando si parla di lei la parola maggiormente utilizzata è “signore”. Che cosa ha lasciato negli altri affinché tutti, all’unanimità, usino tale definizione? Di persone di talento ne esistono tante, di signori pochi.

In casa mia l’educazione non era un optional. Mio padre era un militare con due guerre alla spalle. E ciò che ci ha trasmesso ha per me un valore essenziale. Dei tanti  ricordi che ho di lui ce n’è uno piacevolissimo.. Il mio primo impegno registico fu la Cavalleria Rusticana al San Carlo di Napoli. Quando lo seppe, acquistò due biglietti e venne con mia madre, rindossando  la sua divisa di ufficiale.

Qual è  il momento della sua carriera in cui si è sentito più soddisfatto di sé?

L’Accademia Chigiana di Siena mi chiamò per mettere in scena “La Pia dei Tolomei” di Donizetti. Si trattava di un’opera che mancava da tempo dal repertorio lirico. Inizialmente era stata affidata ad un altro regista che per motivi personali rinunciò a condurla in porto. Accettai, ma ringrazio ancora Indro Montanelli che incontrai a Madrid alla presentazione di un suo libro per tutte le informazioni storiche e di costume che mi diede sui vari personaggi che ebbero a che fare con la Tolomei e sulla storia della povera Pia. Fu un grande successo. Dopo due mesi dalla messa in scena, il direttore d’orchestra mi richiamò per allestire la stessa opera a Bologna.

Ha commesso degli errori nella sua carriera?

Si, Accadde al Teatro Guimera di Tenerife. Ero stato chiamato per la regia  dell’opera “Werther” in lingua francese. Il tenore era Alfredo Kraus con il quale avevo messo in scena al San Carlo di Napoli “La Traviata” con Beverly Silss nel ruolo di Violetta. C’era un momento in cui sarebbe dovuto entrare  un coro di soli bambini. Io presi una cantonata colossale. Non finii neppure di accorgermi dell’errore che sentii la voce di Kraus che mi chiedeva una pausa. Acconsentii. Mi si avvicinò subito spiegandomi come doveva essere la scena e l’errore che stavo per commettere. E lo fece da quel gran signore che era.

Che immagine ha di se stesso? Qualche aneddoto?

Potrei rispondere come Cyrano de Bergerac, il quale, riferendosi a Don Chisciotte esclamò: “Alla memoria dell’eroico pazzo, m’inchino”. È difficile definire se stessi. Sull’aneddotica  ricordo  “La sagra della primavera” con le coreografie di Léonide Massine al Teatro alla Scala.. Fu una cosa tremenda. La preparazione del balletto, eseguita dalla moglie del coreografo con una pellicola 8 mm traballante e un registratore che solo Massine riusciva a far funzionare, rappresentò la prefazione di una tragica farsa. I ritmi così ingarbugliati della musica non riuscivano ad entrare nelle nostre teste in forma concreta.  Nonostante l’abnegazione del maestro Giussani che tentava di farci seguire i tempi e la dedizione di Nino Verchi direttore d’orchestra, tutto faceva presagire un naufragio. Andammo in scena e fu, invece, un grande successo che io qualificai  “di stima”. Ricordo che durante le prove della Sagra, Giulio Perugini che interpretava “Ballet Imperiale” di Balanchine, affacciandosi  in sala Trieste, e assistendo alle nostre peripezie ,si allontanava scrollando la testa e mormorando da buon romano“Poeracci”!. A non perdonarci, fu invece Maria Simonetti, ispettrice del ballo, che c’incolpò delle sue crisi epatiche.

La signora Fracci ha compiuto ottanta anni. In tanti le portano il rispetto che merita perché danzatrice assoluta che ha fatto la storia della cultura ballettistica del nostro paese. Altri la criticano perché “si ostina” a calcare il palcoscenico. Qual è la sua opinione a riguardo?

La Fracci è un’icona. Questa italietta ha mostrato di non conoscere l’entità del regalo che Carla ha fatto alla sua patria. Nel nostro paese il merito è solo cronaca spicciola. E’ sufficiente assistere ad uno spettacolo coreutico per rendersi conto di quanto alto sia il bisogno delle giovani leve di ascoltare dai grandi interpreti le regole del gioco. Molti dirigenti dei teatri italiani, sono afflitti da inguaribile supponenza..

Luca Ronconi, regista, attore e amico, mi disse in uno dei nostri ultimi incontri: “Il teatro andrebbe epurato all’ottanta per cento”. Ed è davvero così.

Oggi siamo qui  al Centro Studi Coreograficia Teatro Carcano che lei dirige, con successo, dal 1991.  Alla sua età, con i suoi trascorsi, le sue esperienze, il suo bagaglio culturale e artistico e tutta la bellezza che ha dentro, cos’altro può dare?

Non me lo chiedo mai. La primavera scorsa l’Ordine dei Giornalisti mi ha convocato per conferirmi la medaglia d’oro per cinquant’anni di appartenenza, quattro  anni fa la Presidenza del Consiglio dei Ministri mi ha donato una targa alla carriera cui tengo molto, quasi una testimonianza di una vita spesa bene, il Presidente della Repubblica mi ha insignito del titolo di Commendatore, ma io continuo la mia strada, spero sempre in ascesa. Il Liceo coreutico Tito Livio, proprio in questi ultimi tempi, ha voluto che lo affiancassimo in questa nuova avventura e naturalmente ho accettato. E’ una prova del nostro continuo metterci in discussione. Questo perché ho avuto la fortuna di avere vicino mia moglie Renata, Premio Viotti nella danza e due figlie, Alessia e Micaela appassionate di questo lavoro. Purtroppo Micaela non è più con noi.

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2 comments

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Giovannella Sansone 17 Novembre 2016 - 20:18

Ho avuto il piacere e l’onore di conoscere e frequentare il grande Maestro Aldo Masella .Un’Artista unico ,un gran Signore dallo spirito arguto e di grande simpatia . Ho conosciuto il Maestro negli anni ’60 in occasione di alcune riviste di beneficenza organizzate al Circolo Canottieri Napoli e a Villa Gallo .E’ stato un periodo di amicizia e divertimento dove Lui, con grande semplicità , ci ha “diretti ” . Rimane un ricordo bellissimo della mia vita .

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Francesco Borelli
Francesco Borelli 19 Novembre 2016 - 16:13

“Signore” è la parola che in assoluto lo definisce. Un maestro e una persona di grande cultura. Un esempio per tutti noi.

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