Alessandro Rende: “Ogni mattina, quando apro gli occhi, mi sento una persona felice perché ho fatto della mia vita esattamente ciò che desideravo”

di Francesco Borelli
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Il danzatore è un nomade per definizione, uno zingaro alla perenne ricerca di qualcosa; il periodo difficile che stiamo vivendo contraddice, totalmente, quel concetto di libertà di cui si pregna questo lavoro. Tu, Alessandro Rende, come lo stai vivendo?

La danza vive di libertà, di contatto con gli altri, a prescindere che si tratti dei colleghi o del pubblico, di perenni viaggi e scoperte. Ne deriva che ci sia una sofferenza di fondo che rende un po’ tristi questi giorni di quarantena. Mi auguro però, che questo periodo di restrizioni possa far capire ad ognuno di noi  l’importanza di un abbraccio, di una stretta di mano, di poter andare a lavorare… l’importanza della libertà.

Normalmente, quando ci si ferma e si scende da quella giostra frenetica che è la vita, si comincia a pensare e, spesso, a ricordare. Qual è stato il momento più felice della tua carriera?

Di momenti felici ne ho vissuti tanti. Ho avuto la fortuna di lavorare con grandi compagnie e grandi coreografi  e, a differenza di tanti  danzatori che oggi purtroppo non trovano lavoro,  ho il privilegio di lavorare in  un ente lirico.

Ogni mattina, quando apro gli occhi, mi sento una persona felice perché ho fatto della mia vita esattamente ciò che desideravo.

E se pensi a un momento difficile?

Anche di momenti bui ce ne sono stati tantissimi. La carriera di un danzatore è estremamente articolata: ci sono picchi di gioie infinite e grandi soddisfazioni, e attimi di sofferenza in cui vorresti, addirittura, lasciare tutto. La danza è un’arte meravigliosa che ti dona tanto ma altrettanto ti toglie. Per fortuna la passione è sempre stata più forte di qualsiasi  debolezza.

Sei nato in terra calabra in tempi in cui probabilmente la danza non era ben vista se associata a un maschio. Come hai vissuto, da bambino, questa tua passione?

In realtà da bimbo volevo fare il calciatore. Poi di fronte casa mia aprì una scuola di danza e mia madre mi invitò a fare una prova. Ricordo che rimasi in sala dall’orario  di apertura fino alla chiusura della scuola. E lì capii che era nata in me una grande passione. Certo, non fu facilissimo e vissi momenti di grandi conflitti: mi sentivo diverso dagli altri e mio padre, che purtroppo oggi non c’è più, all’inizio non mi appoggiò. Ma il tempo, si  sa, cambia tutto e quando vide che l’impegno era grande e la volontà forte iniziò a sostenermi.

Venivo da una famiglia  umile: papà era un fabbro e mamma aveva una lavanderia. Ho sudato ogni obiettivo raggiunto e quando a 17 anni lasciai la Calabria per andare a studiare alla scuola di ballo della Scala, i miei genitori fecero grandi sacrifici. Quello che ho ottenuto lo devo, per una buona parte, a loro.

Quanto è cambiata, secondo te, la percezione della danza maschile oggi rispetto ai tempi in cui hai cominciato?

Di certo c’è stato un notevole cambiamento ma, a mio avviso, bisogna fare ancora tanta strada. E penso che il problema sia soprattutto culturale e legato, in particolare, ai piccoli centri dove, c’è l’erronea idea che la danza sia una disciplina  appannaggio  delle sole donne.

Com’è stato il passaggio dalla tua città d’origine al Teatro alla Scala di Milano?

In realtà a 11 anni feci una selezione per entrare al secondo corso dell’Accademia Nazionale di danza di Roma e al secondo corso della scuola del teatro dell’Opera. Le superai entrambe. Mi trasferii a Roma e andai a vivere presso una famiglia all’Eur. Ma forse ero troppo piccolo e tornai in Calabria dopo solo pochi mesi. Poi accadde che la signora Anna Maria Prina, allora Direttrice della scuola di ballo della Scala di Milano, venne a Cosenza per tenere delle selezioni proprio per l’accademia. Feci la lezione e mi scelse per il mese di prova. Andai a Milano e dopo quel fatidico mese entrai al sesto corso. L’inizio non fu semplice perché ero molto indietro col programma e dovetti studiare tanto per mettermi al pari con gli altri. L’impatto con la città invece risultò più semplice perché andai a vivere con mio fratello  che già  si trovava a Milano.

In un’intervista la Signora Prina mi disse che, per lei, nella danza non può esistere la parola sacrificio ma la parola scelta. Tu cosa ne pensi?

La danza è certamente una grande passione e non si può non sceglierla. Ma forse il sacrificio è insito nella scelta stessa.

Che tipo di danzatore sei?

Sono un ballerino che ama l’espressività sopra ogni altra cosa. La tecnica è fondamentale e da essa non si può prescindere, ma non è il numero di piroette che, personalmente, mi emoziona quando vedo uno spettacolo o quando interpreto un personaggio.

La danza è prima di tutto una straordinaria arte che, di certo, risponde a delle regole ben precise. Forse il lato emotivo è ciò che manca nel percorso formativo delle scuole di danze italiane: a mio avviso non c’è molta attenzione nello stile e nello studio approfondito del personaggio. Inoltre c’è stato un cambiamento notevole nei confronti della fisicità dei danzatori: la bellezza è diventata una delle caratteristiche principali insieme ai fisici perfetti e le linee lunghe.

Sei sposato con Rebecca Bianchi, étoile del Teatro dell’Opera di Roma. Un amore felice che vi porta a condividere “tutto” delle vostre vite. Quanto una condivisione costante può mettere in discussione un rapporto di coppia?

Ho conosciuto Rebecca quando era ancora una ballerina di fila. Nel tempo i nostri impegni col teatro sono aumentati e lei è diventata étoile. Oggi siamo sposati e abbiamo tre figli.

Spesso si sente dire che una condivisione pressoché totale della vita privata e del lavoro possa costituire un problema per la coppia. Ebbene, io smentisco totalmente questo assunto. Certo, frequentemente portiamo il lavoro a casa e si continua a parlare di danza, ma questo ci avvicina anziché allontanarci. Ci ascoltiamo, ci consigliamo sempre. Ed è bellissimo.

Oriella Dorella, artista che tu conosci molto bene, mi disse: “La danza mi ha permesso di addormentarmi come Carmen e di svegliarmi Gelsomina”. Che cosa ha permesso a te la danza?

Oriella ha detto una cosa bellissima e giusta. La danza ti dona la possibilità di esprimere ciò che hai dentro, di comunicare la tua verità. A prescindere dal ruolo che interpreti, puoi raccontarti e vivere emozioni sempre differenti.

Com’è nata la passione per l’organizzazione degli eventi? E perché?

Quando studiavo in Scala e mi capitava di tornare in Calabria, nella mia scuola privata per esempio, mi rendevo conto che ciò che mancava a tanti ragazzi che sognavano questo mestiere, erano le possibilità. Da lì il desiderio, fortissimo, di creare vetrine che potessero dare opportunità concrete, di studio o lavoro, ai ragazzi. Ripeto: possibilità concrete.

Ѐ inutile nascondere che il 90 per cento degli eventi di danza in Italia sono mere occasioni di lucro e guadagno. Personalmente non penso mai al guadagno ma all’obiettivo finale cioè le possibilità da regalare ai ragazzi. E questo presuppone una grande serietà che è universalmente riconosciuta.

Ti nominerò delle persone. Devi dirmi il tuo pensiero su ciascuno di loro.

Elisabetta Terabust

Una persona straordinaria, generosa e innamorata profondamente il suo lavoro. Una grande artista.

Carla Fracci e Beppe Menegatti

Carla Fracci è un esempio per tutti, e una persona a cui devo molto. Ѐ stata lei a volermi nel corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma quando era Direttrice. Menegatti è un uomo di cultura, una fucina di idee e progetti cui riesce, sempre, a dar forma.

Anna Maria Prina

Per me è stata una persona di sostegno e di conforto durante il mio processo formativo. Una guida.

Oriella Dorella

Una donna fortissima e una grande artista. Con lei ho condiviso un’intensa esperienza al Balletto di Milano: ero alle primissime armi e mi ha insegnato che per stare sul palcoscenico ci vuole determinazione e grande volontà.

Eleonora Abbagnato

Ѐ  una donna intraprendente e piena di idee. Un valore aggiunto per il corpo di ballo dell’Opera di Roma cui ha dato infinite possibilità. Capisce esattamente ciò che è giusto per ciascun danzatore, quali siano le specialità di ognuno.

Giuseppe Picone

Ho avuto modo di lavorare con Giuseppe e di condividere con lui il palcoscenico. Un grande professionista, un bellissimo danzatore che ha rappresentato una vera e propria eccellenza italiana nel mondo.

Roberto Bolle

Un vero protagonista della danza in Italia e nel mondo. Propone iniziative interessanti anche se a volte, a mio avviso, incentra troppo l’attenzione su sé stesso.

Rebecca Bianchi

Al di là dell’amore che ci unisce, Rebecca è un’artista straordinaria. Nei ruoli romantici è interprete perfetta.

E Alessandro Rende?

Alessandro è una persona che avrebbe potuto dare molto di più.  Mi son sempre fatto tantissimi problemi e spesso mi sono accontentato. Oggi insegno il contrario: insegno a non tirarsi indietro, a non avere paura. Ad avere quel pizzico di sfrontatezza che nella danza, non guasta.

Foto: Alessandra Notaro

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