La serata alla Davies Symphony Hall è risultata assai sorprendente e ben congegnata per affinità e contrasti: Ma Mère l’Oye di Maurice Ravel e Erwartung di Arnold Schöenberg, vicini anche per periodo di composizione, compendiano entrambi elementi di realtà e fantasia che però vengono resi in un paesaggio emotivo risolutivo assai differente.
La partitura del compositore francese viene eseguita dall’Orchestra sinfonica di San Francisco sotto la direzione del maestro Esa-Pekka Salonen e con le coreografie di Alonzo King danzate dai membri della sua compagnia, l’ Alonzo King LINES Ballet, che ha sede proprio a San Francisco non distante dalla Davies Symphony Hall. Quindi, una prossimità fisica fra i due edifici che lascia intendere anche una vicinanza d’intenti tra i due organici artistici. La coreografia di uno dei più innovativi autori della danza contemporanea americana per cui “suono e movimento sono la stessa cosa”, come si legge nel programma di sala, fluisce senza collisioni attraverso una mutevolezza di forme e di linee che lasciano trasparire, comunque, la solida tecnica ma anche le doti atletiche dei danzatori e delle danzatrici. I loro corpi gialli, arancioni, dorati vengono trattati dal “maestro d’orchestra” King come strumenti che senza cedere al didascalico comunicano il senso d’incanto e di meraviglia insito nella partitura musicale.
I colori sonori e visivi della rappresentazione della prima opera vengono assorbiti dalla dicotomia bianco – nero che si impone fin da subito nella messa in scena dell’opera di Schoenberg con la regia di Peter Sellars. Il soprano Maria Elisabetta Williams, con pantalone nero e maglia a fantasia bicolore, siede su una sedia e davanti a un sacco, entrambi neri, che si vuole fare intendere contenga un cadavere. Tutto circoscritto all’interno di un quadrato preciso di luce bianca, con angoli ben definiti come inequivocabili sono i sentimenti che però si alternano assieme all’iniziale figura geometrica di luce che cangia forma e colore. Un processo che non si placa in un finale pacificato ma lascia sgomenti dopo una tensione psicologica che si innesca fin dall’inizio con brevi accenni di speranza. Risulta davvero interessante il disegno luci di Seth Reiser le cui zone d’ombra consentono di comprendere meglio tutto quanto è illuminato ma non sempre permettono di stare meglio, anche.
Ecco, entrambe le opere, al di là della temperatura emotiva più spiccata che le connota, lasciano intendere, senza alcun sentimentalismo, qualcosa di altro e di diverso che si pone come alternativa a quanto esprimono con maggior franchezza.