Antonio Desiderio ci racconta della nomina a responsabile della sezione danza del Teatro Orione di Roma

di Francesco Borelli
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Da poco la notizia della tua nomina a responsabile artistico del Teatro Orione di Roma per la sezione danza. Incarico che condividerai con il danzatore e coreografo Damiano Bisozzi. Ce ne parli?

È stata veramente una grande sorpresa! Il Teatro Orione per Roma è uno dei teatri più belli, il quarto della capitale per capienza, capace di accogliere fino a 980 persone. Per tanto tempo però è stato relegato a una gestione per lo più “parrocchiale” ospitando negli ultimi anni i saggi delle principali scuole di danza romane.

Da Marzo 2016, da pochissimo quindi, è stato rilevato per gestione privata da Claudio Politi e Carlo Oldani, che hanno in poco tempo conferito al teatro una veste professionale di alto livello.

A Settembre è andato in scena per la prima volta una loro produzione di prosa basata sull’avvincente storia di uno dei personaggi più importanti e contestati della storia romana “Catilina” e credetemi, vedere il teatro sold-out per tutta la programmazione è stato veramente emozionante.

Conosco Damiano Bisozzi dal 2008; conosco il suo talento e le sue doti nel proporre produzioni artistiche di alto valore e ciò mi è bastato a convincermi nell’intraprendere questo nuovo percorso al suo fianco.

Quale contributo pensi di poter dare al teatro?

Undici anni di esperienza in management artistico maturata in Italia e soprattutto all’estero, saranno il mio contributo personale.

Con il prezioso aiuto di Bisozzi vorrei ridare a questa realtà, un’identità propria, renderlo quindi una valida alternativa all’insufficiente offerta coreutica palesatasi negli ultimi anni nella Capitale.

Questo non si può verificare in una città importante come Roma. Il compito più arduo sarà presentare al pubblico romano il Nuovo Teatro Orione con spettacoli di livello e riconsegnando a esso la danza come vera forma d’arte. Farò tutto quello che sarà in mio potere, confidando nelle innumerevoli collaborazioni maturate negli anni.

Da quali ragioni saranno dettate le tue scelte artistiche?

In primis dal livello. Non importa se il titolo sarà più o meno conosciuto ma ciò su cui non transigo sarà il livello. Questo permetterà, secondo me, al pubblico di ritornare, di mettere mano al portafoglio più di una volta e di farlo essere presente ai diversi appuntamenti in calendario.

Quali sono i titoli che proporrete nella prossima stagione?

Stiamo partendo ora con il vaglio delle proposte per la stagione 2017/2018. Non è facile…la stagione sarà varia e coprirà il più possibile i differenti stili della danza, prevedendo anche un abbonamento per i diversi titoli. Cosa mai esistita in questo teatro.

Fino alla prossima stagione proporremo diversi appuntamenti distribuiti un po’ su tutto il calendario per abituare il pubblico al nuovo cambiamento.

Chi ti piacerebbe ospitare in un prossimo futuro?

Sarebbe bello poter confidare nelle collaborazioni dei grandi nomi della danza, dei musical più elettrizzanti e le compagnie più acclamate! Questo il nostro obiettivo! Cominciamo intanto il 26 Novembre con lo spettacolo “Il Mantello di Pelle di Drago” con la compagnia di balletto Jas Art Ballet e i Primi ballerini del Teatro Alla Scala, Sabrina Brazzo e Andrea Volpintesta.

Sei tra i manager di danza e spettacolo più conosciuti e stimati dello stivale. Quanto è complicato mediare tra le ragioni “artistiche” e quelle, meno piacevoli, burocratiche?

Tantissimo. Oggi lo spettacolo va pensato e affrontato sotto disparati aspetti e questo è ciò che fa perdere più tempo in una programmazione. Ovviamente, per il momento storico in cui ci troviamo, in primis, incidono i costi di budget a disposizione e insieme ad essi la “fluidità” dello spettacolo. Si ha oggi la necessità di assistere a spettacoli più dinamici e snelli per non rimanere legati a vecchi standard oramai superati.

Molti degli attuali direttori artistici dei teatri ricoprono questa posizione più per motivazioni politiche che non artistiche. E i risultati spesso confermano l’erroneità di tali scelte. Cosa ne pensi?

Non mi stancherò mai di dire che questo lavoro si fa con una profonda competenza in questo campo. Non ci improvvisa, non si gioca, non si possono fare prove di cui non si è sicuri del risultato, altrimenti i danni sono veramente ingenti e purtroppo la storia ce lo insegna.

Giuseppe Picone è l’attuale direttore del corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli. Un’eccellenza italiana finalmente riconosciuta

Mi permetto di dire che Giuseppe, con il quale lavoro da oltre dieci anni, è semplicemente al suo posto. E’a casa sua, dove è nato, cresciuto, dove tutto è partito, ha portato il nome di Napoli e dell’Italia in tutto il mondo ed è giusto che lì sia tornato ad infondere la sua arte ad un Corpo di  Ballo che farà una grande crescita sotto la sua direzione.

Il tempo passa, le compagnie chiudono e i corpi di ballo smantellati. Delinei un quadro preciso dell’attuale situazione italiana?

Ce ne sarebbe da parlare ma mi limito a dire che tutto questo è semplicemente una vergogna per un Paese che dovrebbe vivere all’80% d’introiti provenienti da un bagaglio artistico, immenso e riconosciuto in tutto il mondo. Pensiamo alla lirica: il patrimonio operistico è per lo più italiano e rappresentato in tutto il mondo. Non esisterebbe questa forma d’arte se non fossero esistiti i grandi compositori italiani. L’arte va tutelata perche è la nostra fonte di sapienza, permettendo ad un popolo di evolversi.

Carla Fracci ha compiuto ottanta anni. Tra festeggiamenti e qualche polemica, l’ultima grande diva della danza continua a calcare il palcoscenico. Chi l’applaude in quanto icona del balletto, chi la critica. Tu cosa ne pensi?

La Signora Fracci è un monumento vivente, pertanto fonte d’invidia e di acclamazione mondiale. Ho assistito alla prima del suo spettacolo che Picone ed il San Carlo hanno voluto organizzare in suo onore: alla sua apparizione circa 10 minuti di applausi prima di cominciare e lei eterea come sempre in palcoscenico. Carla Fracci ancora oggi crea la magia in un movimento, in un sorriso, in uno sguardo perché poche persone hanno quella che io definisco “la luce”. Questo va apprezzato, capito e di certo non criticato.

Un’“Italietta” sempre più attenta alla pochezza che non alla cultura. Che cosa farebbe Antonio Desiderio per cambiare le cose?

Ne farei tante, al punto tale da non saper da dove cominciare. Intanto lo faccio partendo da questo Teatro e spero di poterlo fare al meglio.

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