Molto spesso i nomi sono profetici. Questo è senz’altro il caso di Antonio Fini il cui innato talento per la danza gli ha permesso di valicare confini e di trasformare ogni apparente fine in sorprendenti opportunità. “Tu non sai fare nulla”, si sentiva dire alle sue prime audizioni, ma di certo quelle parole non sono suonate come una fine anzi, hanno forgiato la disciplina, la determinazione e l’ambizione che ha spinto il giovane di Villapiana (Calabria), a diventare una star internazionale della danza.
La sua seconda casa oggi è New York dove è riuscito a ritagliarsi un ruolo da protagonista nel competitivo mondo della danza d’oltreoceano. Ma Antonio non è solo un raffinato danzatore, è spinto anche da un’anima imprenditoriale che lo ha portato a fondare la Fini Dance NYC, produzione con la quale organizza un festival che si propone di creare un ponte tra la danza italiana e quella americana, offrendo un’importante vetrina per i giovani danzatori italiani. Al suo fianco ormai da otto anni in questa avventura, Tabata Caldironi, host del festival e creative director della Fini Dance oltre che ballerina, attrice e modella.
Non solo danza sul palco, Antonio ha di recente collaborato con Milly Carlucci a Ballando, ed è pronto a lanciare il suo format televisivo: The Audition, che debutterà al Terra di Siena International Film Festival a fine settembre. A novembre sarà poi impegnato con la prima edizione del Tirana Dance Festival.
Partiamo dalle origini. Quale è stato l’istinto che ti ha spinto a diventare un danzatore?
Il mio primo ricordo della danza è sicuramente legato alla Calabria quando io e mia sorella ci nascondevamo per ballare la tarantella. Le mie prime passioni sono poi state la musica, l’equitazione, le arti marziali, ho sempre sentito il movimento come una parte fondamentale di me. L’incontro con la danza vera e propria è poi avvenuto a quindici anni quando vidi un saggio di Francesca Smilari. Chiesi di entrare nella sua scuola e lei accettò nonostante fossi un po’ in là con l’età per i canoni della danza in Italia.
Dopo questa esperienza ho sentito il bisogno di formarmi ed incontrai il maestro Antonio Gentile. All’inizio mi disse: “tu non sai fare nulla però il fisico per fare il ballerino ce l’hai, proviamo”. Mi ha subito messo a fare acrobatica, solo esercizi, niente danza. Questa formazione ha pagato dopo, mi ha ha fatto sviluppare una particolare pulizia di movimento.
Dalla Calabria al Teatro Carcano di Milano, come sei approdato alla prestigiosa scuola?
Grazie alla dottoressa Milena Fiorini che mi parlò delle audizioni al Teatro Carcano, avevo diciannove anni. Feci l’audizione alla sbarra con Margarita Smirnova (storica ètoile del Teatro Bolshoi e maestra, ndr). La signora Renata Bestetti, direttrice del Carcano insieme ad Aldo Masella, mi vide e mi disse: “tu non sai fare niente però hai delle belle doti, quindi proviamo”. Ho iniziato a fare lezioni nella classe dei bambini, ma la maestra Smirnova intuì il mio talento e mi fece salire di livello. Così mi diplomai in 3 anni in danza classica e poi studiai tecnica Martha Graham con la maestra Elena Albano che ebbi l’onore di premiare anni dopo a New York nel mio festival.
Questo è stato il trampolino di lancio per arrivare poi a New York giusto?
Sì, sono arrivato a NY nel 2004 per una stagione estiva con la Martha Graham e nel 2007 mi sono trasferito per 6 mesi, pensa che al tempo non parlavo neanche una parola d’inglese. Poi c’è stato un incidente di percorso che si rivelò in realtà molto fortunato. Una compagnia di danza si era impegnata ad assumermi con un visto di lavoro, ma proprio all’ultimo lo cancellò. Al mio ritorno in Italia, su suggerimento di una mia amica, iniziai a pensare alla possibilità di organizzare un festival. Nasce in questo periodo il Fini Dance Festival che ogni anno consegna gli Alto Jonio Dance Award a Villapiana e poi gli Italian International Dance Award a New York.
Il Festival sta diventando una realtà sempre più importante in Italia specie per i giovani ballerini italiani che spesso sono costretti a passare attraverso la formula del talent per emergere. Qual è la tua opinione al riguardo?
Gli showcases e le summer schools legati al Festival hanno dato tanto ai giovani talenti italiani. Per esempio nel 2013 sono venuto in Calabria con la direttrice della Martha Graham che ha selezionato due ballerini offrendo loro un contratto di lavoro. Io sono dovuto arrivare fino a New York con le mie gambe, invece loro hanno l’occasione di entrare subito in contatto con questi grandi nomi.
Portiamo in Italia anche una visione diversa della danza. Tutto ciò che è legato all’arte oggi in Italia è legato al talent e alla polemica, alla competizione, allo show. I ragazzi che escono dai talent molto spesso non conoscono la verità del nostro lavoro, fatto di fatica e di disciplina.
Dopo aver fondato il festival in Italia, riesci però a tornare in America ed inizi una delle collaborazioni più prestigiose della tua carriera, diventi primo ballerino della Michael Mao Dance.
Sì sono ormai dieci anni che lavoro per Michael Mao. Michael ha studiato alla Martha Graham e prima ancora con il suo maestro, Ted Shawn al Jacob’s Pillow Dance. Gli anni di lavoro con lui sono stati una grande crescita per me come danzatore, come coreografo e ho anche capito di più della storia della danza moderna americana.
Ho capito per esempio che in un pezzo contemporaneo, il ballerino deve mettere del suo, porta sul palco un po’ della propria storia. Michael inoltre spende molto tempo a studiare lo spartito della musica, e riporta la struttura dello spartito nella coreografia.
Cosa ami particolarmente di New York e come vivi la tua esperienza di Italiano all’estero?
New York è un pò una big salad di persone che vengono da tutte le parti del mondo ed è per questo che ho creato l’Italian International Dance Award. È importante conoscere però da dove vieni, perché nel momento in cui abbracci appieno la tua tradizione allora sei più pronto a comprendere quella degli altri. Oggi mi sento un italiano a New York ed un americano quando sono in Italia!
Di recente hai partecipato come giudice a Ballando, come è stata questa esperienza?
Molto bella, ho visto lavorare in prima persona Milly Carlucci, una grande professionista. Lei segue ogni aspetto delle sue produzioni, aggiusta perfino le inquadrature, controlla ogni minimo dettaglio e sono i dettagli che fanno l’arte.
Ballando on the road è un format creato da Milly che fa vedere l’Italia che danza. Abbiamo selezionato otto talenti e li abbiamo portati a Ballando con le stelle. Uno di questi l’ho portato con me per l’ottava edizione del Fini Dance Festival che si è tenuta lo scorso 30 Agosto. Si tratta di Sara Verrocchio, un giovanissimo prodigio della danza classica.
So che stai per lanciare un tuo format televisivo e che sei impegnato in altri progetti molto importanti, ce ne parli?
Ho creato un TV show che si chiama THE AUDITION, che vuole raccontare il dietro le quinte delle audizioni. “An audition is never the end, it is only the beginning – un’audizione non è mai la fine, è solo l’inizio”, questo lo slogan. Nel nostro mestiere sei sempre sotto audizione. Questo format girerà presto sulla piattaforma Amazon Prime, e prima in Asia dove alcuni canali ci hanno chiesta l’esclusiva. Debutterà anche al Terra di Siena International Film Festival, dal 25 al 30 settembre 2018.
Il 2,3,4 di novembre invece andrà in scena la prima edizione del Tirana Dance Festival, organizzata da me in collaborazione con il Tirana Youth Ballet e con la scuola di danza Mimoza Bekteshi.
Tommaso Cartia