Dopo il grande successo di critica e di pubblico della scorsa stagione è tornato in Italia “Murder Ballad – Omicidio in Rock”, il musical statunitense ideato e scritto da Julia Jordan, con i testi e le musiche di Juliana Nash: uno degli spettacoli più originali degli ultimi vent’anni di produzione Off-Broadway. Lo spettacolo sarà al Teatro Guanella di Milano dal 30 gennaio al 2 febbraio.
Diversi gli elementi di novità rispetto alla prima stagione, a partire dal cast, nel quale subentrano Fabrizio Voghera nel ruolo di Michael e lo stesso regista, Ario Avecone, nel ruolo di Tom.
E sarà proprio il regista Ario Avecone a raccontarci il suo “Murder Ballad”.
Autore, musicista, regista e interprete di musical da più di dieci anni, Avecone comincia la sua carriera artistica professionale nel 2007 come protagonista della tournée nazionale di “MR-Musical Romantico” con Nathaly Caldonazzo, Ramona Badescu e Graziano Galatone. Successivamente decide di dedicarsi alla composizione e alla scrittura, oltre che all’interpretazione e firma nel 2012 “AMALFI 839AD”, il primo esempio di musical immersivo italiano che ad oggi vanta 700 repliche e 8 anni di attività, dove interpreta il ruolo del protagonista Antonio. Nel 2018 scrive “Rebellion” il seguito di Amalfi 839AD, ad oggi al secondo anno di attività, dove interpreta Frate Guglielmo. Partecipa a molteplici spettacoli dedicati al musical tra cui “Musicals of the World” con artisti del calibro di Vittorio Matteucci, Graziano Galatone, Lalo Cibelli, Fabrizio Checcacci, Claudio Compagno e tanti altri. Collabora stabilmente per la realizzazione e la regia di grandi eventi di ricostruzione storica tar cui il “Capodanno Bizantino” e la “Regata delle Repubbliche Marinare”.
Perchè la scelta di puntare su un titolo “off” come Murder Ballad?
È successo tutto casualmente, ero a Londra a vedere spettacoli e, camminando per le strade del West End, vedo un piccolo teatrino, l’Arts Theatre vicino a Soho, dove era in scena questo spettacolo – “Murder Ballad” – con un cast pazzesc:, c’erano Kerry Ellis (“Wicked”, “Cats”) e Ramin Karimloo (“The Phantom of the Opera”, “Les Misérables”).
Ho visto lo spettacolo e mi è piaciuto tantissimo, in particolare le canzoni, e allora ho deciso di parlare direttamente il giorno dopo con l’MTI (Music Theatre International). Ho contattato Bert Fink, il direttore di MTI per l’Europa, gli ho spiegato l’idea che mi ero fatto dello spettacolo e lui l’ha accettata subito, anche perché la particolarità era proprio quella di creare una versione diversa, legata a un discorso psicologico molto più profondo rispetto alla versione anglosassone e a quella americana.
Di fatto quello che ne è uscito è uno spettacolo nuovo, grazie anche all’adattamento che ho fatto insieme ad Arianna Bergamaschi (che è anche la protagonista dello spettacolo), Fabrizio Checcacci, Fabio Fantini e Myriam Somma, anche lei nello spettacolo: un musical molto “off”, alternativo ma incredibilmente piacevole.
Quello che stiamo notando dalle prime repliche è che il fatto di essere “off” non è per forza sinonimo di noia o di mancanza di attenzione da parte del pubblico. Questo spettacolo riesce a tenere l’attenzione molto alta per tutta l’ora e mezza, anche toccando temi molto importanti come la violenza sulle donne ed il condizionamento psicologico che un uomo può avere su una donna.
La cosa più divertente, poi, è vedere come, alla fine dello spettacolo, nessuno va via e il pubblico discute per cercare di capire chi sia realmente l’assassino e la vittima perché anche questo a volte non è chiaro proprio perché ci sono tanti misteri da svolgere e da risolvere.
Abbiamo creato anche un contest, proprio perché il giallo è un giallo vero, in cui il pubblico dovrà rispondere a 4 domande – che sono state abbondantemente pubblicizzato sui nostri canali – e per i vincitori è previsto un viaggio in Italia e un grandissimo viaggio finale di una settimana a New York per due persone. Quindi anche un gioco che rende il pubblico partecipe, cercando sempre di mantenere quella che è la caratteristica dei miei spettacoli, ossia l’immersività del pubblico, coinvolgendolo il più possibile all’interno dell’azione.
Amore, sesso, tradimento, lussuria e ovviamente omicidio: cosa si aspetta il pubblico da un musical così fuori dai canoni tradizionali?
Io credo che il pubblico sia curioso di scoprire di cosa si tratta “Murder Ballad”. Perché un musical “off”? Che cos’è questo mistero? Questo manifesto strano con una pistola? Mentre poi si trova invece immerso in una situazione di coinvolgimento emotivo.
I caratteri, i quattro personaggi protagonisti hanno un’evoluzione molto dinamica durante lo spettacolo: vivono di fatto anni in un’ora e mezza senza mai fermarsi, perché un’altra delle caratteristiche dello spettacolo è che nessuno di noi esce mai di scena. Mentre magari un altro carattere protagonista è in primo piano a raccontare la sua storia, gli altri continuano a vivere la loro vita parallelamente in una sorta di folle regia che ci porta sempre a essere in movimento senza fermarci mai.
Secondo me il pubblico esce contento di aver visto una cosa diversa, che ha stimolato il loro intelletto oltre che il loro piacere personale nell’ascoltare bellissime voci, perché il cast è stratosferico. È un allestimento molto originale quindi penso che questi siano i fattori più importanti.
Com’è il tuo “Murder Ballad”, rispetto a quello americano e anglosassone?
La versione americana, che secondo me è la meno riuscita, anche se di fatto è l’originale, è uno spettacolo molto bello dal punto di vista musicale, degli arrangiamenti, delle linee e armonie vocali che ci sono, ma manca di drammaturgia. Non arriva al nocciolo del problema, resta molto superficiale: si parla di questo triangolo amoroso, di un quarto personaggio che è il narratore, che poi si scopre essere l’amante di uno dei tre e che poi ammazza utilizzando quegli stereotipi americani che rivediamo in tanti film, come per esempio uccidere una persona con la mazza da baseball.
Nella versione anglosassone è stato fatto un passo avanti, il tutto viene affrontato in maniera leggermente più introspettiva.
Lo spettacolo italiano, invece, è totalmente diverso: abbiamo utilizzato una chiave psicologica, profonda, la parte noir ha preso il sopravvento rispetto a quella sentimentale.
La storia dei tre personaggi verte su questo triangolo amoroso il cui vertice è Sara, però la presenza di questo personaggio (il narratore, personaggio molto enigmatico) rende il tutto molto più psicologico. Il termine noir è dovuto al fatto che, essendo una murder ballad, come gli antichi racconti anglosassoni in cui si parlava di amori finiti male, anche qui di fatto qualcuno dovrà morire.
La musica rock anni ‘90, ri-arrangiata per questa versione, in questa storia che ruolo ha?
“Murder Ballad” è un’opera originale (non sono musiche già edite degli anni novanta) ideata e scritta da Julia Jordan con musiche e testi di Juliana Nash.
Le canzoni sono molto appetibili, molto divertenti e piacevoli all’ascolto, leggermente hard dal punto di vista musicale nella versione americana, mentre invece in quella anglosassone e italiana abbiamo cercato di ammorbidirle un po’. Sono state ri-arrangiate per renderle più fruibili al nostro pubblico, che non sempre è affine a sonorità più dure.
Penso che il risultato sia ottimo, soprattutto quest’anno. La direzione musicale di Cosimo Zannelli dell’anno scorso aveva dato la struttura base, quest’anno invece sia io che Enzo Siani abbiamo dato il nostro contributo nell’orchestrare il tutto in maniera ancora più “italiana” e il pubblico sembra apprezzare notevolmente.
Uno spettacolo che indaga sul “lato oscuro dell’amore”, cosa hai dato di personale nel tuo personaggio di Tom?
Quando andai a parlare con MTI dei diritti la prima cosa che mi disse Bert Fink è che sarei stato un perfetto Tom, non sapendo ancora che io facessi anche il cantante oltre che l’autore. Questa cosa mi è rimasta sempre in testa, ma l’anno scorso le necessità di scrittura e soprattutto di messa in scena, in quanto lo spettacolo è abbastanza complesso dal punto di vista registico, mi ha portato esimermi dal ruolo di Tom.
Quest’anno ne ho avuto la possibilità grazie a un team di lavoro più ampio che ha seguito tutto l’allestimento dello spettacolo, e quindi non ho perso l’occasione per divertirmi in questo ruolo.
Di me c’è sicuramente la passionalità e l’anima rock, io sono rockettaro da sempre. Quando avevo 17/18 anni suonavo in buona parte dei locali della Campania come chitarrista e come cantante e quindi sono sempre stato appassionato del genere rock anni ’70-‘80-’90, è un tema a me molto affine e adoro questa tipologia di sound anni ’90, mi ci trovo benissimo.
Tom però è anche un personaggio particolare, con dipendenza da droga e alcol, non è facile da interpretare soprattutto da una persona salutista come me: ho cercato di metterci del mio per entrare nel personaggio e penso che il risultato sia interessante.
Lo spettacolo già l’anno scorso funziona molto bene, ma quest’anno è totalmente diverso, soprattutto grazie anche ai miei amici che sono in scena tra cui Fabrizio Voghera (che è subentrato nel cast al posto di Antonello Angiolillo).
Abbiamo dato un’impronta diversa allo spettacolo, è molto reale, molto forte e il pubblico lo sta apprezzando tanto, quindi siamo davvero contenti del risultato ottenuto.
Invece Narratore, Destino e Libertà come sono stati costruiti?
Domanda complicatissima, forse il clou dell’intervista. Le più grandi differenze dello spettacolo sono proprio nel narratore, destino e libertà.
Il narratore è un personaggio abbastanza leggero nelle altre versioni, nella nostra invece è quello più importante in quanto alla fine tutta la storia è fondamentalmente una sua storia che lei racconta in maniera molto enigmatica e qualche volta ne prende parte, qualche volta ne esce. Questo ruolo ambiguo rende il narratore, secondo me, uno dei motivi per cui venire a vedere “Murder Ballad”. È un personaggio interessante, un personaggio che è stato disegnato su una particolare tipologia di persona: l’anno scorso è stato disegnato, appunto, su Myriam Somma che quest’anno si alterna con Martina Cenere. Sono dei personaggi che vivono molto dell’emotività degli attori, ogni volta che l’attore cambia abbiamo uno spettacolo molto diverso, si creano relazioni diverse tra tutti e quattro i personaggi e quindi anche il pubblico lo accoglie in maniera diversa.
Uno spettacolo di questa tecnologia andrebbe fatto studiare nelle scuole di teatro e di musical, proprio perché è il modo in cui un personaggio e una persona può mettere qualcosa di suo in uno spettacolo senza nessun vincolo da parte della regia, e questa è un’altra cosa di cui vado molto fiero. Questo dà molto spessore ai personaggi.
Destino e Libertà invece sono di fatto le mani armate del Narratore. Il Narratore pensa e costruisce quello che appare: il cambio di luoghi, il cambio di situazioni, e loro muovono dei cubi che sono fondamentalmente il simbolo dei pensieri del narratore e trasformano la scena nelle varie location dove avvengono le vicissitudini della storia. Destino e Libertà sono la spinta chimica che porta le cellule neuronali del narratore a costruire il mondo dove si vanno a muovere tutti gli attori dello spettacolo, questa è la base iniziale da cui è nato “Murder Ballad” versione italiana. Da questa poi ne sono scaturite altre, anche perché è uno spettacolo che ha vari livelli di lettura, ce sono almeno tre importanti – e una delle domande del contest è proprio su questo – quindi ognuno lo vedrà e lo leggerà in un modo. È ovvio che alcune cose sono abbastanza profonde, e soprattutto chi è appassionato di thriller psicologici in cui ci sia un passaggio abbastanza rapido fra realtà e finzione ne resteranno affascinati, tipo “Taxi Driver” o “Inception” di Nolan o anche l’ultimo “Joker”.
Questa cosa può sembrare banale, ma in “Murder Ballad” diventa molto profonda perché emotivamente colpisce tutti, spettatori e attori.
Pensi che il pubblico italiano sia pronto per più titoli “off” come Murder Ballad?
Io penso che il pubblico sia pronto per “Murder Ballad” e per tutti gli spettacoli di questa tipologia. Il problema non penso che sia il pubblico, ma il sistema teatro che non presenta le condizioni affinché spettacoli del genere possano andare in giro.
Il mio è stato sicuramente un atto coraggioso e di amore nei confronti del musical, dovuto al fatto che negli ultimi anni vedo una deriva abbastanza netta nella qualità produttiva degli spettacoli per tante motivazioni: il crollo del pubblico al teatro, la sempre minore disponibilità economica ma anche lo sviluppo enorme di sistemi come Netflix che tengono le persone a casa piuttosto che invogliarle spendere qualche euro in più per andare a teatro e vedere uno spettacolo magari “off”, quindi è una sfida complicata e difficile.
Certo, se ci fosse un aiuto dal punto di vista del sistema teatro penso che tutto questo sarebbe più semplice.
Abbiamo letto del fallimento del fallimento di “Mary Poppins” della WEC, grossi spettacoli secondo me non sono molto affini al nostro mondo teatrale, non abbiamo né il pubblico né i teatri né le grandi città per poter fare un discorso all’anglosassone. Pensare di tenere uno spettacolo per tanto tempo, uno spettacolo di questi costi e di questa grandezza, alla fine va a discapito soltanto nei confronti degli artisti, degli operatori di settore, di chi mette la propria professionalità.
Forse sarebbe meglio cominciare a lavorare con piccoli spettacoli, o meglio, spettacoli che non costano tanto ma che danno grandi emozioni. Non c’è bisogno di avere grandi scenografie per emozionare bastano delle belle musiche, un ottimo cantante, un buon attore, delle belle luci e fondamentalmente una storia che sia in grado di andare a toccare quelle corde che ti fanno emozionare, in senso positivo o in negativo. Puccini non aveva bisogno di grandi effetti speciali, bisogna anche capire che l’arte ha bisogno di emotività, di emozioni da ogni punto di vista. Ci sono tante persone valide in Italia che hanno voglia di emozionare ed emozionarsi mettendo in scena uno spettacolo: questa è la strada giusta per uscire da questa che, secondo me, è una crisi molto profonda del mondo teatrale e cinematografico.