Domenica 11 dicembre, presso il Teatro Ghione, a Roma, la compagnia ARB – Astra Roma Ballet diretta da Diana Ferrara, ha presentato BALLOON! Lo spettacolo è diviso in due parti: “Un nuovo mondo” e “Time score”, firmate rispettivamente dai coreografi, anche interpreti, Fausto Paparozzi e Giada Primiano. Il lavoro realizzato sulle musiche originali di Marco Schiavoni, indaga il ruolo dell’emozione e la capacità di emozionarsi dei robot ma anche degli esseri umani che oggi sono costretti a essere cittadini di più mondi: non solo reali, ma anche digitali. La danza si sviluppa tra assoli, passi a due, momenti di insieme che combinano la segnaletica robotica con l’imagerie fumettistica. Quest’ultima risulta essere un’intuizione convincente perché affine a una materia di riflessione emersa solo negli ultimi anni che riguarda il nesso interessantissimo tra progettazione urbanistica, architettura e fumetto.
“Il fumetto è anche un modo di raccontare la dimensione urbana che sfrutta il “metodo” dell’architettura per ambientare le proprie storie (in senso scenografico – palazzi, grattacieli, ambientazioni – e di organizzazione della storia stessa, con i suoi riquadri, le cosiddette vignette e gli stessi balloons).”
BALLOON! dispiega vignette danzate all’interno di un’ambientazione che se vaga nella prima parte, nella seconda, attraverso un divano gonfiabile utilizzato in maniera assai dinamica e diversa, sembra evocare un’ambientazione domestica. Un paesaggio che convoglia le vicende, le storie, i movimenti degli uomini che in esso vivono, amano, si trasformano, forse, per sviluppare dei poteri straordinari in grado di rappresentare il futuro ma anche di influenzare la loro effettiva esperienza affettiva. Alla fine, i danzatori non sembrano acquisire alcun potere ma solo la consapevolezza dell’importanza di rapporti umani autentici che sembrano consolidarsi attraverso la realizzazione di foto di gruppo e un’esibizione di canto corale eseguita alla fine dello spettacolo. Questa nuova coscienza raggiunta implica un impegno che vuole i danzatori attivi e vulnerabili più di quanto sono risultati alcuni momenti di danza un pò fiacchi, forse, per l’abuso del canone e delle medesime figure. Tuttavia il lavoro dimostra una rilevante carica espressiva: una malinconia sottile, una tristezza velata, un’ironia amara e una gioia contagiosa riescono a coinvolgere il pubblico.
A tal proposito dobbiamo segnalare la presenza di interventi registrati che accompagnano e supportano lo spettatore nella comprensione dello spettacolo. A tratti quasi un racconto parlato che si svolge attraverso una partecipazione fisica, che si rivela comunque coinvolgente nella sollecitazione dei sensi. Un’aiuto, però, che se pur gradevole per il pubblico, e infatti finalizzato al suo ampliamento, sollecita, ancor’oggi, importanti riflessioni sull’autonomia della danza come linguaggio non di parole ma di movimento, eloquente tanto, o più, di quello verbale. Forse una presenza meno invadente della parola avrebbe reso lo spettacolo comunicativo allo stesso modo, senza risultare carente in fruibilità ed efficacia. Rimane una curiosità!
Ad ogni modo il risultato finale coglie alcune problematiche centrali nella dimensione non solo urbanistica ma sociale occidentale, con le quali il movimento del corpo umano è fortemente compromesso perché sollecita gli stessi meccanismi recettivi e sensoriali innescati dalle tecnologie digitali. Le stesse che “animano” il robot presente in scena che però non sembra avere la vulnerabilità dell’uomo. Se condividiamo quanto sostiene Mark Hansen, ovvero che solo l’attività motoria può garantire una connettività tra spazio virtuale e fisico, allora con curiosità ed interesse dobbiamo approcciarci a spettacoli di danza che come BALLOON! mostrano in modo più o meno evidente le trasformazione delle pratiche corporee attuate dalle tecnologie, senza rinunciare alla componente più profondamente umana e umanitaria dell’uomo, e suscitano domande che noi dobbiamo cogliere perché concernono la danza del presente e coloro che vogliono vivere la danza nel presente.
Crediti fotografici: Diego Dattilo