Cabaret da standing ovation e tante riflessioni

di Alessandra Colpo
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“Lasciate fuori i problemi, la vita è fin troppo triste”

E’ questo lo spirito che il nuovo Cabaret di Saverio Marconi propone al pubblico che mette piede al Kit Kat Klub della Berlino nazista. Il tour del musical portato in scena dalla Compagnia della Ran­cia ha appena lasciato il Teatro della Luna di Assago per spostarsi a Civitavecchia, Genova e To­rino.

Un nuovo allestimento che fa guardare oltre il sipario del Kit Kat Klub, più affine con il periodo decadente dell’epoca e più simile al film. Una lettura più dura, con alcuni momenti di teatro nel teatro, molto più attuale e diverso dalle edizioni precedenti di stile più glamour e d’intrattenimento

Uno spettacolo che colpisce e lascia un turbamento nello spettatore. Difficile da portare in scena per la drammaticità dei fatti che narra, tutti storicamente reali e ancora molto vivi nella memoria (anche il protagonista Cliff Bradshaw interpretato da Mauro Simone è realmente esistito).
La regia rispecchia in pieno le sensazioni dell’epoca mentre gli attori riescono a emozionare il pub­blico in maniera nuova rispetto a come accade di solito nel musical.

Si nota un grande lavoro sui personaggi a partire dall’ Mc  interpretato da Gianpiero Ingrassia. Un Maestro di Cerimonie ammiccante, ammaliante, tentatore, sempre pronto a ridere e scherzare, ma con una morale corrotta e decadente, sottolineata anche dal trucco sapiente (un misto tra Joker, il Corvo e il cantante dei Kiss Gene Simmons), una maschera che trasuda inquietudine. Ingrassia si cimenta in un ruolo complesso e dalle mille sfaccettature.

Fragile ed evanescente, Sally Bowles (Giulia Ottonello) è la giovanissima stella del club berlinese “che splenderà più di una stella” e inizia una relazione tempestosa con il giovane romanziere americano in cerca d’ispirazione Cliff Bradshaw (Mauro Simone). E, mentre Sally sogna di diventare una grande attrice, fuori dalla porta del trasgressivo Kit Kat Klub il mondo va in frantumi.

Le potenti coreografie firmate Gillian Bruce si sposano perfettamente con ciò che si sta raccontando. Molto spinte per il genere, ma vanno a colpire proprio dove devono, e i ballerini riescono a dare ognuno il proprio tocco personale.

Così come la scenografia che “invade” il palcoscenico, firmata da Gabriele Moreschi e dallo stesso Saverio Marconi. Eleganti e frutto di ricerca storica i costumi di Carla Accoramboni, che, insieme al disegno luci di Valerio Tiberi, regalano allo spettacolo atmosfere ora intense ora quasi sospese.

La vita è un cabaret canta Sally Bowles sul finale dello spettacolo, ma nel celeberrimo brano – cui Giulia Ottonello dona straordinaria vocalità e, allo stesso tempo, profonda drammaticità – esplodono i tormenti, le aspirazioni fallite, il tentativo di cercare spensieratezza anche quando il dramma incombe.

D’effetto e riflessivo il finale: la chiusura di una scatola intorno ai performer del Kit Kat Klub come a confermare che la vita del Cabaret è estranea al mondo al di fuori, fino a quando questa non diventa il vagone di un treno diretto a un campo di concentramento. E l’ultima immagine che rimane sono le mani che si stringono attorno alle sbarre dell’unica finestra.

Niente musica e sorrisi sui saluti finali, solo un grande applauso con standing ovation, diventata ormai consuetudine per questa edizione di un musical che costringe gli spettatori a mettersi di fronte alla tendenza di oggi a lamentarsi, senza però mai reagire per cambiare davvero.

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