Che emozione quando nasce un danzatore

di Lia Courrier
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Quest’anno, più degli altri, mi sono resa conto che il tempo sta passando inesorabilmente anche per me, con grande sorpresa, dal momento che ero quasi sicura di esistere al di là dello spazio tempo.

Pensate che me ne sia accorta dal numero dei capelli bianchi sulla mia testa? No, perché sono pochissimi. Dal fatto che devo mettermi gli occhiali per leggere? No, perché ci vedo benissimo. Dal corpo che non risponde più come prima? Dalle articolazioni scricchiolanti? Dal fiatone dopo un esercizio di grandi salti? No, ma su questo punto non commento oltre.

Mi sono accorta del tempo che passa perché mi capita di non riuscire più a guardare i miei allievi danzare in scena senza piangere copiosamente e senza ritegno alcuno, commuovendomi fino a sentire il cuore liquefarsi nel petto e scivolare giù fino a terra in una calda pozzanghera pulsante.

Proprio nei giorni in cui medito su queste osservazioni, mi capita di vedere un video di David Lynch a Cannes, regista che adoro, come artista ma anche come essere umano, in piedi, elegantissimo e bellissimo come sempre, con quella caratteristica nuvola di capelli bianchi che sovrasta due occhi azzurri grandi e profondi come l’oceano, mentre tutti attorno lo applaudono. Si tratta di uno di quei rari applausi sinceri di gratitudine e stima, che li riconosci dal suono pieno e caldo. Lui si gira verso la camera e per un istante si vede chiaramente, dalla contrazione del viso paonazzo, la vena sulla fronte e il luccicore degli occhi, che sta sforzandosi di non piangere, mentre le lacrime gonfie e pesanti fanno di tutto per spingersi fuori aprendo la diga. Proprio lui, quel visionario, onirico, surreale e inquietante autore di pellicole disturbanti e romanticissime, così schivo e insondabile, piange di commozione davanti ai miei occhi e io mi specchio in quel mare, mi riconosco in quella emozione, esattamente la stessa che mi arriva dritta al petto quando osservo gli allievi misurarsi con la scena.

In realtà non accade proprio ogni volta, forse perché non sono ancora abbastanza anziana, o forse perché  accade per un  motivo. Diciamo che il cuore comincia a fondersi come un cioccolatino al sole soltanto in presenza di particolari condizioni, ma quando succede il susseguirsi degli eventi diventa incontrollabile e quello che percepisco è una fortissima sensazione di gioia e di riconoscenza. Nei confronti di nessuno, in realtà, se non della situazione in sé. Mi sento toccata da una profonda e luminosa gratitudine per quel momento di cui mi è stato concesso fare esperienza.

Di norma il treno arriva e mi travolge quando assisto ad una nascita. La nascita di un danzatore, intendo, ossia quando per la prima volta non vedo più davanti a me quella persona piena di dubbi, crisi, imprecisioni  e incertezze, ma un individuo nuovo, maturo, che padroneggia la scena, prende decisioni, gestisce le infinite variabili che possono presentarsi durante una rappresentazione, con grande lucidità e presenza. Ho notato che questo genere di trasformazione avviene in una forma quasi silente finché ci si trova in sala prove. Sono consapevole di osservare dei miglioramenti, ovviamente, che il corpo ha contattato la sua intelligenza intrinseca, che è più forte e radicato, che ha acquisito la tecnica con maggiore efficacia. Ma tuttavia è soltanto sulla scena che un danzatore può nascere. Tutto questo bagaglio viene accumulato con un unico scopo: trascendere la materia ed emanarsi da ogni cellula del corpo come un nuova presenza viva e vitale. Come diceva Billy Elliot nell’omonima pellicola: quando danzo sono elettricità. Ecco. Quando vedo questo campo elettrico accendersi mi rendo conto che quel danzatore è totalmente immerso in ciò che sta facendo, non solo con il corpo, ma anche con la mente e con il cuore, quasi dimentico di chi si trova seduto in sala a guardare e io mi sento portata dentro alla storia che si sta rivelando sulla scena, sento quella magia, in virtù della quale credo a ciò che vedo e comprendo la convenzione e il dialogo che quella persona desidera instaurare con me, e con ogni spettatore, con un linguaggio fino a quel momento sconosciuto.

Quello è IL momento in cui il mio cuore comincia a sciogliersi.

La nascita di un danzatore è come un rituale sciamanico di iniziazione, e non è così scontato che accada, né per tutti succede allo stesso modo. Non dipende da quanta tecnica hai, da quanto hai studiato o da quanto sei bello. Nascere alla danza è qualcosa che non riguarda il corpo, che ne è solo uno strumento al servizio. Il danzatore stesso spesso è stupito e basito di fronte alla sua propria nascita, perché sente di aver ricevuto una rivelazione che cambierà per sempre il suo modo di percepirsi. È qualcosa di cui quasi non si dovrebbe neanche parlare, mentre io, che sono sempre un fiume in piena, gonfio di parole, oggi ne ho violato il mistero, ho cercato di afferrare l’inafferrabile, di definire l’indefinibile. Fallendo miseramente nell’intento.

Non esiste una danza più pura di quella, perché tutte le nascite successive non avranno quella trasparenza cristallina. Dopo un simile evento dovremmo tutti tacere, rimanere in silenzio, fermi, ad annusare l’eco di quella vita che è sgorgata pura dalla sorgente per un istante, assorbendone l’essenza sottile, prima che si trasformi in qualcos’altro.

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