Christian Fagetti: “A volte, nella mia vita, mi piacerebbe avere il coraggio che sono obbligato ad avere nel mio mestiere…”

di Elio Zingarelli
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“A volte, nella mia vita, mi piacerebbe avere il coraggio che sono obbligato ad avere nel mio mestiere…”

Mi convinco sempre più che l’essere una “bella” persona non sia condizione necessaria per essere un artista, e neanche un bravo artista. Quando però si verifica una conciliazione tra i due stati, il risultato è un’autenticità percepibile in qualsiasi occasione: in movimento sul palcoscenico o seduti di fronte a una tazza di caffè durante un pomeriggio uggioso. Quest’ultima è la circostanza in cui si è dipanata la conversazione tra il sottoscritto e Christian Fagetti, ballerino solista del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala di Milano. La conoscenza dell’altro non può essere delegata ai social networks e neanche a un solo e breve incontro. Ma l’autenticità è cosi immediata e sincera che basta una Instagram story per averne parvenza e un confronto per averne conferma. Pertanto, ho deciso di incontrare Christian Fagetti che con tanta generosità si è reso disponibile al mio invito e con altrettanta naturalezza e spontaneità ha risposto alle domande poste che non avanzavano alcuna pretesa di verità ma trattenevano, e spero ora palesino, soltanto stima e curiosità. Buona lettura.

Christian sei nella fase matura del tuo percorso artistico. Cosa ti capita di fare più frequentemente: bilanci, progetti futuri o, semplicemente, vivere il presente?

Tutte queste cose, ma nell’ultimo anno sto iniziando a fare soprattutto dei bilanci, mi porgo delle domande. Tuttavia, nonostante tra un mese io compia 36 anni, e i problemi fisici che avvolte mi rendono altalenante, sto iniziando a pensare anche ad altro. Essendo una persona molto curiosa, ho tanti interessi diversi.

Durante la tua attività artistica hai interpretato balletti di repertorio, pezzi contemporanei, riscritture e poi restaurazioni delle versioni “originali” di titoli classici. Come danzatore ritieni che quest’ultime operazioni siano funzionali oggigiorno?

Io credo di si. Nonostante molti grandi coreografi impegnati in questi lavori sostengano di iniziare dallo studio di fascicoli originali come garanzia di fedeltà alla prima versione, in realtà credo che ci mettano sempre qualcosa di personale dentro. Anche per il danzatore ritengo sia comunque un percorso intrigante, un’opportunità di ritornare un po’ indietro nel tempo e danzare in maniera diversa. Io lo trovo interessante.

La musica, però, nella maggior parte dei casi, rimane sempre la stessa. Che valore ha per te la musica mentre danzi?

La musica è fondamentale, soprattutto in questo ultimo periodo. Nel passo a due che sto danzando su una canzone di James Blake, al di là delle parole, la musica mi aiuta a manifestare le mie sensazioni ed emozioni; le stesse che provo nella vita ma che non sempre riesco o posso esprimere. Attraverso la musica qualcosa si sblocca in me e mi consente di vivere con maggior intensità e consapevolezza le mie emozioni. Stesso discorso quando danzo nei balletti classici ove la musica, pure, ha una grande importanza.

Oggi, nei balletti classici, mi sembra si tenda a danzare tutto nello stesso modo, senza curarsi delle peculiarità del ruolo o del balletto stesso. Convieni con me? Credi sia venuto meno un discorso stilistico? Come definisci lo stile che è necessario nel balletto classico ma non nella danza contemporanea?

Sono pienamente d’accordo. Io do molta importanza a questo. Ormai trovo ci siano tantissimi ballerini bravi e nel contempo pochissima cura e una scarsa coltivazione di questo aspetto. Personalmente ho deciso di fare un corso di recitazione perché so che può aiutarmi molto nel mio mestiere. Lo stile credo sia qualcosa che rimanga nel tempo, o che dovrebbe rimanere. Nei balletti classici, vedi Il lago dei cigni, ci sono delle figure prestabilite che dovrebbero essere fatte sempre in un determinato modo. Anche in questo credo ci sia attenzione ma non sufficiente. Mi piacerebbe vederne di più. Io Christian, nonostante la mia personalità e fisicità, devo essere in grado di applicare lo stile. Ad esempio in Serata William Forsythe. Blake Works V danzerò in due pezzi che sono completamente diversi: nel passo a due, dove indosso scarpe da ginnastiche, i movimenti sono molto differenti da quelli di The barre project. Devo essere camaleontico per adattarmi a tutte le situazioni. Questo è un aspetto del mio lavoro che apprezzo molto e che rende interessante il nostro mestiere.

Come imposti il rapporto coreografo-interprete: ovvero, come bilanci le esigenze del coreografo e la tua creatività e libertà espressive?

Questo è un percorso delicato perché a volte un’artista sente un movimento in un modo personale che non è affine alla volontà del coreografo. Non c’è una libertà totale nella nostra espressione. Sono molto meticoloso nel mio lavoro che però prevede un processo di costruzione che avviene con la guida del coreografo o del maître. Pertanto, è giusto che ci sia un lavoro in comune e non solo individuale che altrimenti vanificherebbe l’impegno lavorativo e la linea guida illustrata dai maestri.

Invece, come ti relazioni agli altri danzatori? In Blake Works V interpreti un passo a due insieme ad Alice Mariani, prima ballerina del Piermarini. Cosa prediligi danzare: assoli, passi a due o pezzi collettivi?

Personalmente ritengo sia più difficile danzare i passi a due perché bisogna creare proprio un legame, una sintonia con il tuo partner, e non sempre ciò avviene in modo naturale. Con Alice Mariani, una ballerina che io ammiro tantissimo, abbiamo fatto un lavoro particolare. A causa di un suo infortunio siamo stati costretti a interrompere le prove, poi le abbiamo riprese cambiando alcune passaggi della coreografia. Quando finalmente abbiamo danzato insieme sul palcoscenico, tutto il lavoro fatto, giorno dopo giorno, ha portato a un risultato: ci siamo sentiti. Prediligo comunque danzare da solo perchè posso essere incondizionatamente me stesso. Posso permettermi di mostrare sfaccettature diverse della mia persona, dare più colore alla mia danza. Non avendo avuto la fortuna di avere un fisico da principe, ho dovuto lottare tanto con il mio corpo e ancora ci sto lottando, e lo farò per tutta la vita, fino all’ultimo giorno. Ma sono felice. All’inizio è stato motivo di molta sofferenza: collo del piede appena accennato, gambe un po’ strane. Con gli anni ho imparato ad apprezzarmi. Io sono questo, nel bene e nel male, come nella vita. In scena noi portiamo una parte della nostra vita, anche nel nostro modo di muoverci. Io sono questo: sono riuscito a diventare un ballerino solista, ho danzato dei ruoli incredibili che hanno segnato molto la mia carriera e hanno permesso al pubblico di conoscermi meglio. Spero di aver dato una mia interpretazione a ruoli come Rothbart, Mercuzio, Hilarion, Espada che è il ruolo che ho ballato di più nella mia carriera. Per questo preferisco danzare da solo. Non perché io mi senta più “figo”. Ho fatto comunque molta gavetta. Sono molto legato all’ensemble per lo spirito di condivisione e di collettività che si instaura con i colleghi. Ho danzato moltissimo nel corpo di ballo e continuo a farlo, credo, sempre discretamente perchè riesco a essere un numero ma quando ballo da solo con la mia personalità, sono Christian. Anche questo fa parte della curiosità di cui ti parlavo prima, dell’essere camaleontico che per me è una delle caratteristiche fondamentali che un ballerino deve avere, altrimenti, davvero, si danza tutto nello stesso modo.

Hai mai augurato a te stesso di non dovere affrontare un ruolo perché distante dalla tua personalità o perché tecnicamente troppo difficile? Hai cambiato idea? Lo hai affrontato? Oggi lo affronteresti?

Si, tante volte, tantissime volte. Poi, però, ho sempre affrontato tutto. È successo soprattutto per un elemento tecnico che, per scarso coraggio, avevo paura di eseguire nel modo giusto. Tante volte ho pensato di uscire di scena poi in realtà ho sempre affrontato. A volte, nella mia vita, mi piacerebbe avere il coraggio che sono obbligato ad avere nel mio mestiere perché, in qualche modo, una cosa che temi la devi affrontare. Nella vita, invece, puoi sviare, girare attorno e non arrivare diretto. Spesso mi dico “se solo nella mia vita avessi il coraggio di quanto danzo sarebbe tutto più bello e io sarei sicuramente meno altalenante.”

Sei nato e cresciuto a Milano ma la tua mamma è originaria del Cilento. Per questo dici di apprezzare molto il sud, la sua gente, la sua cultura. Hai mai constatato, o solamente avvertito, nell’ambito coreutico una forma, seppur lieve, di pregiudizio nei confronti dei danzatori meridionali o che hanno studiato nelle scuole del Sud Italia?

Assolutamente no. Anche perché tra i migliori ci sono proprio i danzatori che vengono dal sud. Guarda Claudio Coviello, Nicoletta Manni, Vittoria Valerio. Abbiamo tantissimi talenti che vengono dal sud.

Negli interventi dei danzatori ricorre spesso la parola bellezza. Pensi si tratti di un abuso? Consideri la bellezza soltanto come una gradevolezza estetica?

Si fa abuso di molte parole, soprattutto della parola amore. Ormai tutti chiamiamo tutti “amo”. Quindi la parola, in generale, oggi è abusata. Io tutte le volte che uso la parola bellezza è perché lo credo davvero. La bellezza cos’è? È un insieme di cose. È quello che vedi ma anche quello che ti arriva, che ti smuove dentro. Se una persona mi fa provare un emozione per me diventa la più bella del mondo al di là dell’estetica. Stesso discorso vale per uno spettacolo: devo uscire da teatro turbato per qualcosa che mi ha smosso dentro. Per me questo è bellezza.

A seguito di un importante intervento che ha cambiato definitivamente i lineamenti del tuo volto, non hai esitato a pubblicare sui social networks foto personali. Qual era il tuo intendo? Solo una necessità di condivisione o il trasferimento di un messaggio?

Entrambe. Mi piace usare i social, soprattutto se posso aiutare qualcuno. Ho deciso di condividere questo percorso perché io non ho avuto nessuno da seguire. Molte persone, anche le più titubanti, hanno avuto coraggio di affrontare l’intervento grazie alla mia testimonianza e questa è una delle cose che mi ha reso più felice in assoluto. É piuttosto invasiva come operazione, anche a livello psicologico. All’inizio non riuscivo a respirare, a mangiare, a parlare, ad alzarmi dal letto. Ho comunque deciso di affrontare la situazione di petto per ovviare a dei problemi fisici, tutt’ora irrisolti, ma anche per una questione estetica. Oggi, vivo meglio con la mia immagine anche se mi sono reso conto che in termini di autostima le mie incertezze persistono. L’involucro è cambiato ma la persona è rimasta la stessa, con le sue imperfezioni. Ad ogni modo è un intervento che ti cambia la vita, perché inconsciamente ti vergogni di essere come sei. È brutto dirlo ma è così. Sicuramente c’era una necessità di condivisione per avere un supporto dai miei followers, anche se i messaggi per quanto possano rallegrare non sostituiscono la vicinanza di una persona cara. E poi, in realtà, io non sono solo come mi presento sui social, nonostante mostri spesso le mie fragilità oltre alla parte più bella e spensierata. Mi piace molto condividere i miei pensieri che spesso accompagnano foto o video attinenti al momento della mia vita che sto vivendo.

Recentemente, su Instagram, hai inaugurato la rubrica “Dietro le quinte” di cui curi anche le riprese e il montaggio. Com’è scaturita l’idea? Dietro a questo impegno c’è la volontà di cimentarti in altri ambiti vicini ai tuoi nuovi interessi?

Noi ballerini pubblichiamo spesso prove in sala o in scena ma non avevo mai pensato a una possibile rubrica. È stata una mia follower a suggerirmi l’idea. Dopo un sondaggio con esito positivo ho fatto scegliere ai miei followers anche il nome. Mi piace molto coinvolgere le persone che mi seguono. Così è nato il “Dietro le quinte”. Durante il lockdown vedendo molti film ho iniziato a focalizzarmi sull’aspetto della fotografia, delle riprese e delle angolazioni. Così, per gioco ho fatto i primi reel per me e poi per i miei colleghi. In seguito è nata la rubrica. Per la prima puntata non hai idea del numero di visualizzazioni. Di solito utilizzo subito la ripresa. Non ci sono molto editings e questo, secondo me, è la bellezza: mostrare la naturalezza di quello che viviamo al momento. Purtroppo è un impegno che richiede molto tempo e per questo ho preso una pausa. Ma tornerò molto presto.

C’è qualcosa che ti manca e di cui avverti la necessità? Credi che la danza possa sopperire a questa mancanza?

Si, c’è qualcosa che manca nella mia vita di uomo. Quello che mi manca da sempre, da 36 anni, è l’amore, la condivisone con un’altra persona, una relazione che non ho mai avuto nella mia vita. È sempre stato un amore unilaterale ma ora desidererei una condivisione d’amore che vada al di là dell’amicizia. È una mancanza che si riverbera anche nel mio lavoro perché quando devo interpretare un rapporto di condivisione posso solo immaginarlo perché non l’ho mai vissuto.

Grazie Christian

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