Intorno alle 17,30 della giornata di ieri, mentre mi preparavo a condurre una pratica di yoga online, sulla mia bacheca Facebook cominciano a diffondersi post sulla dipartita di Steve Paxton. Sappiamo bene come fosse giunto ad un’età considerevole della sua straordinaria avventura nel mondo ma quando un simile gigante lascia il piano terrestre è sempre un momento che merita di fermarsi e rendere omaggio.
Steve Paxton nasce a Poenixh, in Arizona, nel 1939 e comincia la sua esplorazione del corpo con la ginnastica, per poi farlo approdare alla danza, evidentemente spinto da necessità profonde che non potevano essere soddisfatte in quell’ambito.
Dopo gli studi al Connecticut College approda a New York nel 1959, alla vigilia di una stagione straordinaria che sta per vedere la luce. Qui inizia la sua carriera prima nella José Limon Dance Company e poi anche nella compagnia di Merce Cunningham.
La sua scintilla creativa troverà però terreno fertile nell’esperienza della Judson Dance Theater, collettivo di artisti, nato da laboratori del compositore Robert Dunn (a sua volta ispirato dai metodi di John Cage) identificato come l’origine della post-modern dance, che ha sede nel Judson Memorial Church a Manhattan. In questa occasione avrà modo di condividere scoperte e intuizioni con molti di quei nomi che hanno cambiato il volto della danza, la sua relazione con il corpo, lo spazio e la società. Raccogliendo l’eredità lasciata dalla ricerca di Cage, Cunningham e Rauschenberg, comincia una ricerca che mette in discussione le convenzioni teatrali e rivoluziona l’estetica della danza attraverso la casualità e l’improvvisazione. Per fortuna rimangono delle riprese video di alcune sessioni di improvvisazione accadute in questo contesto, che sorprendono per attualità e freschezza, per le intuizioni e la reattività di quei corpi nell’atto di creare qualcosa di mai visto prima.
La natura di esploratore e ricercatore instancabile di Steve Paxton si manifesterà in tutta la sua potenza nel 1972, quando darà vita a quella che oggi conosciamo come Contact Improvisation, ossia una modalità di movimento in cui i corpi si muovono a contatto (tra loro e in relazione al suolo) in una danza estemporanea che risponde ad un fluido dare e avere, rotolando, scivolando, stimolando i riflessi e la prontezza del veicolo custode di empatia fisica. Contact Quarterly è la rivista dedicata a questa esplorazione somatica, che raccoglie informazioni e condivisioni provenienti dal cuore di questa comunità appena nata, con cui lo stesso Paxton collabora a partire dal 1975.
Nel 1986 inizia una nuova ricerca chiamata Material for the Spine, ispirata dall’osservazione della colonna vertebrale durante le sessioni di Contact Improvisation, durante le quali diventa un vero e proprio “arto”. Material for the Spine è una riflessione, una meditazione, un’esplorazione scientifica sul potenziale di movimento della colonna vertebrale e del bacino. Questa ricerca sarà poi condensata nella pubblicazione digitale, in forma di CD-Rom, di un’opera realizzata in collaborazione con Contredanse, Bruxelles, dando vita poi anche a mostre con i suoi materiali.
Innumerevoli sono i premi e il riconoscimento che Steve Paxton ha ricevuto da ogni parte del mondo, tra cui anche un Leone d’Oro alla carriera rilasciato dalla Biennale di Venezia nel 2014, accompagnato da una motivazione istituzionale che sottolineava l’importanza del suo apporto nell’aprire nuove strade prima inimmaginabili.
Questo straordinario artista e ricercatore ha avuto il privilegio di nascere in un momento estremamente favorevole della cultura americana, anni in cui gli artisti hanno davvero raggiunto un apice che ha avuto un’immensa risonanza in tutto il mondo, il cui potere di trasformazione potrebbe essere paragonabile a quello del Rinascimento italiano.
Per citare James Hillmann, in questo grembo fertile Steve Paxton ha potuto liberare a pieno il potenziale della sua ghianda e lo ha fatto donando a tutti noi nuovi strumenti e nuovi concetti, coinvolgendo l’intera comunità nell’alimentare il fiume di quella trasformazione necessaria che ha concesso al movimento danzato e di ricerca di trovare una nuova forma e una libertà mai sperimentata prima.
La Contact Improvisation è una danza di relazione, si fa insieme, si tratta di una pratica che avvicina le persone prima di tutto a sé stesse (scoprendo i propri schemi motori e psichici, le proprie strategie di vita) e poi anche all’altro, con cura, attenzione, rispetto, in una dimensione gioiosa e giocosa. I festival e gli eventi in cui appassionati e maestri di questa pratica si incontrano, per il puro piacere di stare insieme attraverso il contatto e la sperimentazione, sono innumerevoli in tutto il mondo. Un’enorme comunità dialoga attraverso il corpo e il contatto, e da oggi in poi sarà proprio questa comunità a portare avanti l’eredità di questo gigante che ci ha lasciati.
Ora dopo ora i messaggi di cordoglio e commozione per la scomparsa di Steve Paxton si sono succeduti sempre più numerosi, l’emozione che dilaga tra i danzatori è prevalentemente un’immensa, incondizionata gratitudine nei confronti di quest’uomo e un grande rispetto per la grandezza di cui si è fatto canale che ha la fragranza dell’amore, della pace e della libertà, tutti valori di cui il mondo oggi ha un gran bisogno.