Trenta minuti di coreografia per nove danzatori, trenta minuti che si aprono e si chiudono con la medesima immagine, trenta minuti in cui ognuno degli interpreti cerca di raccontare la propria individuale esperienza attraverso il gesto ma anche attraverso l’uso, forte, della parola.
Non sapevano dove lasciarmi… La difficoltà a relazionarsi, ad esprimersi e a farsi ascoltare da quelli che dovrebbero essere i propri interlocutori si traduce, scenicamente, nella figura di una sorta di giornalista che rincorre con un microfono i danzatori sul palcoscenico, ponendo loro domande che non trovano risposta se non il silenzio o il respiro ansimante che denota, in questo contesto, metafora però della quotidianità, la fatica richiesta dalla performance appena eseguita. Fino a quando non arriva LA domanda, quella che improvvisamente richiama l’interesse di tutti. La necessità di raccontare la propria esperienza personale, in questo caso legata alla danza, diventa quasi una lotta, in cui i danzatori si contendono il microfono talvolta con violenza, quasi a voler primeggiare o ricercare un’attenzione forse troppo spesso negata. L’importanza di condividere il proprio vissuto e la propria personalità è alla base di questo lavoro di Cristiana Morganti, che per tanti anni ha condotto una parte fondamentale della sua esperienza artistica e personale accanto a Pina Bausch.
«Partendo da elementi autobiografici – dichiara -, ho voluto giocare su aspetti della danza e della vita, in una dinamica che annulla continuamente il sottile confine tra dentro e fuori scena, tra realtà e finzione. La sfida per me era di riuscire a rivelare al pubblico l’unicità di questi interpreti come artisti completi, al di là delle loro straordinarie capacità tecniche».
Molto diverso è invece il secondo pezzo presentato nel corso della serata.
Si tratta di Wolf, dell’israeliano Hofesh Shechter, uno dei coreografi contemporanei più apprezzati nel panorama della danza internazionale.
Wolf è un suo vecchio lavoro, rivisitato e riadattato per e con i sedici danzatori di Aterballetto.
In un ambiente quasi lunare, desolato e a tratti alienante, in cui lo spazio è tagliato da una luce intensa che perde però la sua definizione in una nebbia fluttuante, in cui i toni predominanti sono quelli del grigio, i pezzi di gruppo acquistano una forza selvaggia e animalesca, esprimendo un’energia che molto si avvicina a un sentimento di rabbia a lungo represso che trova il suo sfogo all’improvviso, esplosivamente. La musica, in parte composta dallo stesso coreografo, è ossessiva e amplifica così questa sensazione di trovarsi in un non-luogo, dove ciò che emerge con un’intensità enorme è un’energia selvaggia, sotterranea e forse distruttiva, quasi come avviene nei sogni, per cui «quando ti risvegli non ti sai spiegare come e perché certe idee e cose siano avvenute, e perché proprio in quel modo» (Hofesh Shechter).
Dopo l’anteprima al Festival Torinodanza, andata in scena lo scorso 19 ottobre, e la Prima Assoluta svoltasi a Gorizia in occasione della NID Platform (New Italian Dance Platform) il 21 ottobre, Aterballetto presenterà lo spettacolo a Reggio Emilia, presso il Teatro Romolo Valli, per poi proseguire con altre date in tutta Italia.
Crediti fotografici: Viola Berlanda