Questa settimana vorrei parlarvi di grounding, un concetto molto importante, che non riguarda solo la danza, ma si estende anche all’esistenza dell’individuo. Il termine nasce con la Bioenergetica, una tecnica che appartiene all’ambito della psicologia, sviluppata da Alexander Lowen a partire da alcune intuizioni di Wilhelm Reich, suo insegnante. Potremmo forse dire che tutto il pensiero bioenergetico è stato costruito proprio attorno al concetto di grounding, che vede una sua efficace traduzione in italiano come ‘radicarsi’.
Nella sua esperienza come psicologo, Lowen si rese conto di quanto fosse importante essere radicati nella realtà, connessi e presenti alla vita, per la propria realizzazione come esseri umani. Osservando le posture nei corpi dei suoi pazienti, si rese conto di quanto il radicamento fosse importante innanzitutto nel corpo: nel momento in cui il corpo è allineato e saldo, con i piedi ben radicati al suolo, allora l’energia potrà fluire liberamente, garantendo una visione migliore. In molti casi le tensioni presenti nelle gambe impediscono di ‘scendere in sé stessi’, restando letteralmente ‘appesi’, intrappolati in alto, bloccati, senza avere quelli che comunemente vengono chiamati ‘piedi per terra’. Le persone che vivono questo senso di sradicamento e di instabilità spesso tendono a compensare l’insicurezza che ne consegue sviluppando smisuratamente il proprio ego o cercando di ricoprire ruoli di potere. Purtroppo, però, il potere che si conquista per sopperire alla fragilità non vibra come quello che scaturisce da un profondo radicamento.
Nel balletto classico le linee e i vettori di forza sono spesso diretti lungo la linea verticale, con una preponderanza direzionale dal basso verso l’alto. La danza classica vive questo respiro aulico ed etereo che sale verso il cielo. Abbiamo visto nel periodo del tardo romanticismo uno sviluppo importante del balletto, in Russia, che lo ha portato molto vicino a come lo conosciamo oggi. La figura femminile era vista come una creatura ultraterrena che tende a volare, a divenire leggera e impalpabile, puro spirito, rimanendo in contatto con la terra solo con la punta del piede. Una creatura tuttavia solitaria e malinconica, che vive la propria esistenza drammaticamente. Dal punto di vista iconografico e drammaturgico, la danza classica non ha grounding, al contrario vive in questo sogno impossibile di recidere ogni legame con la forza di gravità, permettendo al ballerino di divenire un essere atto al volo pur non possedendo ali piumate.
In verità la tecnica del balletto ha pretese diametralmente opposte: per ottenere l’illusione del distacco dalla terra, il corpo del danzatore deve avere un buon grounding – prendendo in prestito questo termine coniato da Lowen – sviluppando l’abilità di utilizzare quel radicamento per spingersi contro al suolo e soltanto in una seconda fase salire verso l’alto. Bisogna immaginare proprio il corpo come un albero, il quale prima di potersi sviluppare verso l’alto deve gettare le proprie radici nella terra. Tanto più cresce la sua chioma quanto più le radici dovranno spingersi sempre più in profondità.
Lavorare sul radicamento con gli allievi, per me, vuol dire costruire le fondamenta su cui la danza potrà ergersi maestosa, stabile e sicura. Dal punto di vista prettamente fisico, essere radicati nella danza vuol dire sentirsi connessi con la gravità, lasciarsi attraversare da essa, usando il corpo come tramite per il passaggio di questa forza che ci connette direttamente con il centro della Terra. I piedi letteralmente ‘mordono’ il pavimento, attuando contro di esso una spinta che ha origine dal centro del corpo, e come scopo produrre una contro-spinta uguale e opposta che dal suolo riattraversa il corpo sostenendolo nella salita. Bisogna essere connessi con il pavimento quando ci si prepara a saltare, quando ci si appresta a salire su un relevé, ma anche semplicemente per restare fermi in una posa, mantenendo comunque una presenza vibrante e significativa dal punto di vista drammaturgico, scenico, estetico. Si tratta di un dialogo da intrattenere attivamente e non da subire con atteggiamento passivo.
Allargando il campo d’indagine, lasciandoci trasportare dalle interessanti ricerche di Lowen, lavorare sul radicamento durante lo studio del balletto crea sostegno anche dal punto di vista emotivo, consegnandoci la chiave per rimanere connessi alla realtà, nel presente, in ascolto aperto e non giudicante di ogni reazione sensoriale del nostro corpo e delle sue relazioni con l’ambiente. Il fatto che nel balletto si sviluppino muscoli forti e coordinazione nelle gambe, non ha niente a che vedere con la scelta, conscia o meno, di ritirare le energie dalla parte bassa del corpo per spingerle verso l’alto, considerando anche la presenza intrinseca di questa corrente di flusso già nella storia stessa di questa danza, come abbiamo visto. È importante dire che, per aiutare i clienti a sviluppare grounding, Lowen lavorava proprio sul rilascio delle tensioni attraverso esercizi specifici. Infine sappiamo come spesso i nostri allievi vivano, giustamente anche, di sogni, desideri e di una ideale esistenza immaginata come solo le persone sensibili e creative sanno fare per natura. Lavorare sul radicamento crea la giusta distanza da cui osservare le cose, senza uccidere il sogno, ma sviluppando una certa capacità di discernimento. Il radicamento rende la danza più potente, consapevole e piena sotto ogni punto di vista. Il danzatore radicato si trova esattamente dove desidera essere, capace di divenire un grande spazio all’interno di una piccola quantità di materia, tesa tra cielo e terra.
L’immagine è la riproduzione fotografica di un quadro realizzato dal danzatore e maestro Maurizio Tamellini.