Il Gala Fracci del 9 Aprile alla Scala non solo celebrerà l’arte della più grande ballerina italiana del Novecento, ma sarà anche l’occasione per salutarne un’altra, che con la Fracci ha avuto non pochi punti di contatto (oltre ad avere lineamenti ed espressioni impressionantemente somiglianti): Emanuela Montanari.
Per la Montanari infatti il sipario della Scala si aprirà per l’ultima volta, e sarà il suo saluto alle scene scaligere, che sono state la sua casa fino dai tempi della scuola di ballo. E lo farà con quel meraviglioso passo a due di Chèri di Roland Petit che fu celebrazione dei 60 anni di Carla Fracci su musica di Poulenc.
Vedere dalle quinte la Fracci che ballava Onegin per la prima volta alla Scala nel 1993, fu per Emanuela, ai tempi diciassettenne, una rivelazione. Capire che si poteva ballare raggiungendo quelle vette interpretative fu uno stimolo potente, una conferma che valeva la pena migliorarsi sempre di più per arrivare a poter ballare ruoli dove il pathos, la verità in scena, la sensibilità e l’intelligenza interpretativa danno un senso compiuto alla danza, dove ad ogni gesto e ad ogni sguardo è legato un significato profondo (dove l’artista si vede dall’infinitamente piccolo come dice Stendhal). Queste sono le caratteristiche che segnano la carriera di Emanuela Montanari. Infatti proprio con Tatiana in Onegin, viene nominata solista circa dieci anni dopo, nel 2004.
Ora come solista (? no comment) saluta il suo pubblico della Scala dopo una carriera costellata di grandissime soddisfazioni e meravigliosi ruoli da tragedienne che fanno parte della storia del teatro di balletto.
Ci volle Sylvie Guillem a portarla alla ribalta, prima con Myrtha e poi con Giselle nella sua “Giselle” del 2000/2001 in tournée a New York, Londra e alla Scala. Da lì una serie di ruoli sempre più importanti nell’arco di questi venti anni.
Ne ometto alcuni perché sono davvero tanti e non vorrei fare un mero elenco: quelli che ricordo di più sono Chloé in Daphnis et Chloé di John Neumeier, una splendida Marguerite Gautier nella Dame aux camélias sempre di John Neumeier, Giulietta nel Romeo e Giulietta di Kenneth MacMillan, L’Arlèsienne di Roland Petit, Giselle nella versione Yvette Chauviré, poi Marguerite and Armand di Frederick Ashton; Giulietta in Roméo et Juliette di Sasha Waltz, Tatiana in Onegin di Cranko, Manon nell’Histoire del Manon di MacMillan, Mrs Dalloway e Viriginia Woolf in Woolfworks di MacGregor. E tanti altri.
Ancora Sylvie Guillem nel 2015 la richiama per un duo di Russel Maliphant “Here & after” nel suo tour di addio alla danza “Life in progress” che la porta a ballare per un anno in tutto il mondo.
Le sue performance in partnership con Massimo Murru resteranno sempre nei miei occhi, senza però tralasciare quelle con Antonino Sutera e ultimamente con Claudio Coviello.
La sensibilità interpretativa è cosa piuttosto rara nel panorama del balletto attuale così dominato dall’eccesso di tecnica spesso fine a sé stessa. Ed è proprio per questo che un’interprete raffinata, sensibile e vera come Emanuela Montanari mancherà molto, al suo Teatro e a chi tra il pubblico cerca la sostanza oltre alla forma.