Danzatrice e coreografa, Leda Lojodice ha lavorato anche nel cinema con grandi registi come Franco Zeffirelli e Roberto Benigni ma è indubbiamente impressa nella mente dei cinefili per la sua interpretazione de la bambola meccanica nel film Il Casanova di Federico Fellini. In occasione dei 40 anni dall’uscita del film, celebrati con un mese di eventi nella città di Rimini (www.dancehallnews.it/leda-lojodice-la-bambola-meccanica-di-fellini-celebra-il-casanova/), Dance Hall News pubblica per la prima volta in Italia la lettera in cui la Signora Leda Lojodice parla del grande regista, di Nino Rota e della creazione del suo personaggio.
Sono una persona sentimentale e credo profondamente che il ricordo sia l’unica esperienza che nessuno ci può portare via. Affermo con certezza che l’incontro con il Maestro Rota e poi Federico Fellini abbia inciso in maniera indelebile sul mio vissuto creativo di Ballerina e poi di Coreografa. Forse il segreto di allora è stato quello di lasciarmi coinvolgere dalle parole di Fellini e trasportare dall’ascolto della musica di Rota verso la scoperta di un senso ulteriore delle cose: infatti, anche se in quel momento di artista quella Bambola del Casanova significava per me il danzare una delle tante bambole del balletto da me già interpretate, d’istinto pensai che potenzialmente quest’ultima poteva essere, e forse lo è diventata in quel contesto, una nuova interpretazione di bambola: un personaggio estraniante di disorientamento emotivo che l’avrebbe resa universale. In seguito, soprattutto dopo aver girato il finale del film, la cui scena è stata montata nell’immensa piscina degli studi di Cinecittà diventata per l’occasione una gelida Venezia, incamerai un profondo sentimento del sublime. Ma questi, sono pensieri maturati con il senno del poi ! Oggi so per certo che l’eredità tecnica ricevuta da quella esperienza, che ho spesso utilizzato nel mio percorso di ballerina o coreografa, è quella di essere entrata in possesso di una grande rapidità inventiva rispetto ai ridotti tempi di produzione messi a disposizione dal cinema o dal Teatro; inoltre ho acquisito l’essere sempre pronta all’immediato cambiamento creativo richiesto dal produttore ed infine ho esercitato un dominio spontaneo di me stessa nei rapporti interpersonali per non lasciarmi intimidire dall’aureola dei Miti con i quali via via nel tempo ho collaborato. Ho lavorato giovanissima come ballerina per la scena del Ballo del film Giulietta e Romeo di Franco Zeffirelli ed è lì, su quel set, che ho conosciuto l’allora già famoso Maestro Nino Rota. Quella musica è stata il motivo conduttore di tante mie master classes future per le scuole di balletto, cinema o teatro di prosa ed in seguito, quand’ero Prima Ballerina nei Teatri lirici, ho rivisto spesse volte il Maestro Rota. Un uomo dal carattere tenero ed affettuoso, curioso della danza e, come musicista, un artista così competente nel proprio specifico da poterlo ascoltare per ore. Dopo il Casanova, per delle interviste radiofoniche o per la Tv, spesso mi chiedeva con curiosità come avevo fatto ad inventare dei movimenti o intere sequenze di passi alternati visivamente aderenti al ritmo musicale e tuttavia non corrispondenti al conteggio musicale dettato dallo spartito. Come spiegarlo in parole ?! Per me l’invenzione non riguardava tanto il conteggio musicale, quanto il creare delle pause remote non scritte sullo spartito musicale ma utili per me ad una dissociazione dei movimenti degli arti inferiori nell’esecuzione dei passi rispetto alle braccia e alla testa. Questa è stata la mia invenzione tecnica, che ha suscitato una simbiosi magica con la straordinaria creazione musicale. La complessità dell’invenzione richiedeva per questo una grande concentrazione – mentale e fisica – nel saper usare con consapevolezza ed al momento richiesto ogni singolo segmento del corpo; concentrazione tanto più necessaria quando si gira un film, ove la medesima scena viene girata da vari punti di vista; qui, per la memoria visiva e la ripetizione delle stesse scene, ero aiutata dalla segretaria di produzione e dalle foto degli assistenti, (a quei tempi ogni scena ripresa non si rivedeva subito come oggi è stato possibile per la coreografia della scena del ballo della Vita è bella di Roberto Benigni), ma ci si doveva ricordare perfettamente la partenza e l’arrivo di ogni momento e movimento per la perfetta riuscita del montaggio finale della sequenza; inoltre, fra gli assistenti vi era una persona addetta esclusivamente al controllo delle palpebre: facendo un esempio, quando ero sdraiata sul letto, Donald Sutherland recitava le parole poetiche tratte dal Petrarca e se io inavvertitamente avessi sbattuto le palpebre si sarebbe dovuto ripetere la scena tutta da capo. Sotto la maschera scorrevano le lacrime eppure, in tutta l’azione mimica, il ricordo va alla mia percezione profonda durante l’esecuzione dei passi affinché ogni movimento della sequenza danzata arrivasse meccanicamente ad articolare ogni singolo segmento del corpo: una sensazione nuova risuonava in me come se delle dita magiche pizzicassero delle corde di uno strumento musicale ad arco. In seguito il maestro Rota mi disse che su indicazione di Fellini aveva usato un’arpa speciale che, nell’emissione dei suoni, producesse lo stesso effetto di quello prodotto dal tocco delle dita di un’artista sull’orlo di bicchieri di cristallo. Tornando a ritroso prima della scelta da parte di Fellini con il Maestro Rota, ci sono nei miei ricordi l’incontro con il famoso cineasta Francese Rene Claire e con il grande coreografo ungherese Aurel Milloss: fra regia e coreografia fui l’interprete assoluta, al teatro La Pergola di Firenze, del balletto surreale Relache inserito fra i due tempi del film Entracte; questo per dire che l’incontro con un altro grande cineasta ed un famoso musicista non mi avrebbe dovuto fare un grande effetto: eppure in questo caso l’audizione con Federico è fissata nel mio cuore anche per l’incredibile momento storico in cui avvenne. Fu la mattina seguente ad una serata di tregenda molto pesante per il mio avvenire artistico. Quella sera, precedente all’incontro, ballavo sul palcoscenico del Teatro Argentina di Roma e, durante l’esecuzione del mio assolo del pas de deux del balletto Don Chisciotte, avvenne all’improvviso un irrigidimento delle mie gambe così violento da impedirmi di continuare l’esecuzione del virtuosismo tecnico sulle punte e, così come credo avvenga in situazioni di panico, in una rapida e lucida successione di pensieri, invece di cadere per terra interrompendo lo spettacolo, decisi di esaurire la musica camminando a passo sciolto ed un grande sorriso verso l’uscita di scena, poi riuscii a danzare anche il finale, ma in preda ad una crisi di pianto per il pensiero di cosa pensasse chi se ne fosse accorto, avviandomi al camerino trovai mia madre felice che mi disse della presenza in platea di Gino Landi -coreografo del film Casanova- che per l’indomani mattina aveva combinato l’incontro con Fellini. La mia mamma cercava di minimizzare l’accaduto e mi rincuorava per ciò che era successo in scena perché ero stata brava a mascherare il malessere; ma soprattutto la grande notizia era che alle nove del mattino Fellini mi voleva vedere! Continuavo a pensare alla causa del malessere e ne dedussi che la vera causa dello shock emotivo era dovuta alla recente perdita di mio padre, ma per me ancor più fu la paura di continuare a ballare: a questo pensò mio fratello, allenatore sportivo, che intuito il mio pensiero di fuggire, mi dette un sonoro schiaffo e,con una pedata mi spedì in scena a ballare il Sogno d’amore. Poi, non bastando tutto ciò, uscita dal teatro non trovai la macchina, che ritrovai verso le sei del mattino! Fu così che alle otto precise mia madre mi telefonò ed essendo io riluttante al pensiero di affrontare un’audizione mi mandò a prendere da un autista privato e mi disse di portare una bella calzamaglia rosa per far vedere il fisico al Maestro Fellini. Così, in tale stato fisico e morale, arrivai a Cinecittà e attesi ore che il regista si facesse vivo. Infastidita dalla lunga attesa stavo per andarmene quando, di fronte allo sguardo attonito dei presenti che avevano già visto file di ballerine che avrebbero atteso tutta la vita pur di essere selezionate da tale Regista, mi diressi verso l’uscita: ma ecco arrivare dal fondo del viale di Cinecittà il coreografo Gino Landi e Federico Fellini. Federico guardò Gino e gli disse: ”questa è la ballerina?”. Ed Io: “prego, sono la Prima Ballerina Leda Lojodice!” e Lui, con aria divertita rispose : “ Piazére! ed Io sono Federico Fellini … Regista !”. Nel frattempo mi prese le mani, e tastando e girando lungamente i miei polsi, mi osservava il viso da vicino come – vidi in seguito – faceva per ogni singola comparsa. Ma io indispettita dissi: “ che fà mi tocca? se vuole vedere il fisico ho portato un costume leggero!” e Lui a Gino Landi: “bel caratterino questa ragazza!” ed io andai a cambiarmi. E fu così che in un giorno assolutamente improbabile della mia vita, fui catapultata nello studio 5 di Cinecittà! Iniziarono una serie di indicazioni a Rino Carboni, celebre creatore della mia maschera facciale, – ricalcata completamente a mia somiglianza per volontà del regista – da cui uscivano solo gli occhi; poi venne il momento del costume da rimettere a misura, poiché quello pronto, creato dal costumista Danilo Donati per una pupazza che giaceva ormai buttata in un angolo, pur se creata da una prestigiosa ditta Francese degli effetti speciali per il cinema, aveva un bustino enorme perché doveva contenere degli strumenti utili ai movimenti delle braccia (che peraltro effettuavano solo apertura e chiusura delle braccia). Seguirono fra di noi altre poche parole d’intesa prima delle prove: “ la bambola? “ e Fellini si limitò a dire: “una bambolina di sevres che balla come i ballerini- partigiani del balletto di Moisseiev”… ed io chiesi quale fosse la musica da seguire e Federico mi rispose vagamente: “ forse un valzeretto..un carillon….” Così, senza una musica, in una saletta per le prove, imbastendo qualche sequenza coreografica per qualche settimana, un bel giorno mi mandarono in sartoria per indossare il costume ed essere pronta in scena. Fui colpita da una viva sensazione! Arrivata sul set vidi un immenso salone con grandiosi organi, un grande camino acceso e un lungo tavolo imbandito e, in mezzo a tanta gente, uno squadrone di comparse vestiti da soldati. Attonita ed affascinata dal tutto e in religiosa attesa, rimasi per quattro giorni dalle sei del mattino alle sette di sera seduta su di un trespolo con una maschera in faccia ed un costume talmente lungo e largo che per non sciuparlo avevano inventato un seggiolone con due gradini ove nessuno, oltre la mia sarta, si poteva avvicinare per via del guardinfante largo due metri; la poverina ogni tanto mi infilava una cannuccia nel foro della bocca della maschera per nutrirmi. Ma finalmente arrivò il mio momento! Andai a piazzarmi dietro ad una quinta e vennero due attori mimi vestiti da buffoni che mi presero sotto le ascelle e mi trasportarono sino al luogo deputato, per poi improvvisamente farmi crollare sui piedi dandomi delle pacche sconce sul sedere e sulle spalle! Dentro di me pensai: haaa!..cominciamo bene! Tuttavia dovrei ringraziare perché, nel farmi crollare sul pavimento così malamente mi costrinsero, per non cadere, ad inventare quel magico movimento a molla dei pupazzi inanimati che và via via rallentando riportandosi così in equilibrio. Il primo impatto non fu dunque così felice e di seguito pensai che non avevo mai sentito la musica con la quale avrei dovuto eseguire l’azione mimica. Per la seconda scena arrivò la prima indicazione di Fellini sul come prendere il bicchiere che poi avrebbe levato dalle mie dita l’attore Casanova e, da questa richiesta, scaturì l’inventare la posizione fissa delle manine della mia bambola; penso.. provo sotto lo sguardo acuto di Federico che, in tutto quel andirivieni di gente, mi parla dolcemente all’orecchio: “Ledina sei pronta?”. Il suono di quelle parole non lo scorderò per tutta la vita! Poi, in mezzo a un grande caos si sentì un urlo al megafono che chiese l’attenzione, si creò un misterioso attimo di silenzio, si sentì: “partito!”. Quello fu il mio primo vero ciak, che vale la pena di vivere anche una sola volta nella vita! Una musica struggente tintinnò nelle mie orecchie, ed iniziai istintivamente a seguirne i conteggi musicali come in trans!.. la voce di Federico mi guidava: “gira la testa, ritorna dritta, alzati, cammina, prendi il vestito, girati di scatto verso Lui, non vuoi, cadi sulla sua spalla…”. Eseguii i suoi ordini come un automa e l’istinto della mia natura di ballerina mi guidò a seguire il tempo musicale, portandomi dietro anche Sutherland, magnifico compagno di lavoro nell’assecondare le mie indicazioni tecniche per farmi girare su me stessa su di un piede come fosse un partner classico del balletto. Mi batteva il cuore per la preoccupazione che non si notasse il respiro e, all’attenzione del musicista che mi guardava incuriosito, ricreai al mio servizio un andamento musicale che mi permetteva di non far sentire il passaggio del peso del corpo da una gamba all’altra, tale da non corrispondere per nulla al tempo reale della musica pur non andando fuori tempo. Il mio apparente impiccio con la musica creò l’ammirazione del Maestro Rota, perché funzionava e rendeva bene la finzione di un essere inanimato che scivola sul pavimento – proprio ciò a cui si riferiva Fellini nell’indicarmi l’andamento dei ballerini di Moisseiev ! La fiducia dei tre creatori – Fellini, Rota, Landi – mi esaltò, quando Sutherland mi adagiò sul letto girai le gambe come facevo con le mie bambole snodate, esattamente al contrario di una posizione dei piedi per una ballerina classica! A seguire Casanova mi rivoltò sopra di lui e Fellini da dietro la macchina da presa urlava: “Chiudi un occhio, due occhi, Donald falla tremare!!…” Donald ed Io eravamo letteralmente stravolti! facemmo un break, una doccia fredda e ricominciammo a girare. L’impresa sembrava al termine! Ci salutammo pensando che forse ci saremmo rivisti all’uscita della pellicola. Invece, mentre ero a Genova per ballare le danze della Favorita di Donizetti, ecco che durante le prove di scena arrivò una telefonata urgentissima di mia madre. Mi allarmai per ciò che poteva essere successo, ma Lei urlando di gioia: “Fellini ti vuole per il finale del film!” . Io conoscendo mia madre credetti che esagerasse: ed invece mi mandarono un aereo privato, e con una macchina privata arrivai a Cinecittà ricevuta in pompa magna come una grande Diva ed istallandomi nel camerino di Sofia Loren di fronte a quello di Donald! Il set era la facciata di San Marco ed una sconfinata distesa di lastre di plexiglas che creavano una finta Venezia innevata; di lato, un macchinario immenso scaricava masse di neve finta; dall’alto della facciata della chiesa si intravedevano dei macchinisti che passavano delle grandi pale davanti a degli enormi riflettori per ottenere l’effetto del passaggio delle nuvole davanti alla luna; purtroppo pioveva a dirotto e quindi, dovendo girare solo di notte, il lavoro s’interruppe continuamente e fummo costretti a ripararci frequentemente sotto una tenda costruita per l’occasione. Fellini rimase sempre seduto accanto a me e mi coccolava perché avevo un gran freddo; con garbo mi infilò nel buchetto del naso.. la cannuccia del punch bollente al mandarino e ridemmo.. quanto ridemmo!!.. ma infine si riuscì a girare quel sublime moto perpetuo della fine del film. Anni dopo, durante la lavorazione della pubblicità per la Banca di Roma, confidai a Federico che grazie a Lui avevo intrapreso un cammino di conoscenza del mondo interiore e che per il mio lavoro di coreografa soprattutto per l’Opera lirica, avevo letto molto sulla storia delle religioni, sul paranormale, il metafisico, i rituali magici, le discipline orientali.. lui mi guardava con un sorriso che non dimentico e disse una frase che rimane scolpita nel mio cuore: “Ora che puoi capire, posso dirti che tutti i nostri incontri non siano mai casuali!. Le nostre sono delle relazioni karmiche.” Oggi Nino Rota e Fellini mi accompagnano ovunque nell’invenzione delle tante bambole create sino ad ora: per L’opera lirica “I racconti di Hoffmann”, o per la pubblicità della pupazza giapponese della Y10 o per altri meccanismi di vario genere a cui sembro essere stata destinata come specialista del settore! qui o là, cambiano le regie, i costumi, i motivi musicali o lo scandire dei ritmi per i movimenti, ma.. quel carillon del Casanova mi risuona dentro e mi accompagna ovunque ad eterna testimonianza di quei magici incontri!
Leda Lojodice
2 comments
Un bellissimo articolo! Pur avendo visto il film non avevo mai avuto modo di conoscere questa lettera che, grazie alla vostra iniziativa ci mostra la bellezza interiore di una grande artista.
Complimenti!
Filippo, grazie a lei per aver dedicato del tempo alla lettura di questa splendida lettera. Buona giornata.