Finche c'è tango c'è vita questa settimana torna alle radici del tango, guarda indietro alla fine dell’800 quando “ non si sa come un bel giorno nacque il tango”.
La radice lo sappiamo tutti è l'organo della pianta che assorbe acqua e sali minerali dal terreno, fondamentali per la vita delle piante. Se tagliate le radici, la pianta morirà!
Tornare alle proprie radici é un tema molto forte per l'uomo, soprattutto oggi che forse, più che mai le ha smarrite.
Le abbiamo perse noi europei e le stanno perdendo tutti i popoli costretti all’emigrazione.
C'è sempre qualcosa di triste e obbligato nella rinuncia alle proprie radici, ai propri culti, ai propri avi. Le radici ci agganciano alla nostra madre terra, al nostro da dove veniamo, ma non per legarci ad essa anzi per darci la possibilità di esplorare altro.
In sanscrito la parola radice ci aiuta in questo concetto perché “vardh-ati “ comprende l’idea di elevazione, la crescita che fa prosperare; ecco perché nei miti di molti popoli antichi ricorre la simbologia dell’albero perenne con le radici rivolte verso il cielo.
Più profonde sono le nostre radici e più facilmente potremo aprirci all'altro.
Le radici del tango sono ancora più profonde della loro origine argentina, poiché sono nell’Africa oscura, nel ballo Canyengue che é la forma di tango più antica.
La parola Canyengue infatti é di derivazione africana: molto probabilmente il significato allude al “camminare cadenzato“ tipico dei neri.
Non tutti sanno che il tango infatti ha una lontana origine nei ritmi portati dagli schiavi africani all’epoca della colonia spagnola in Argentina: i neri ballavano in luoghi noti come “Tambo” durante il loro giorno libero, accompagnati dai loro tamburi “Candombe”.
In quella parte di terra conosciuta come Rio della Plata, c'erano anzitutto gli schiavi africani ad attendere gli emigranti europei e i Gauchos argentini, c'era la loro musica a confondersi e fondersi con quella portata dagli europei e quella suonata dagli indigeni.
Il ballo di coppia era nuovo per gli africani: ballavano fianco a fianco o faccia a faccia, senza abbraccio, in una sorta di parodia delle danze europee, cui aggiungevano i loro movimenti risultando così uno stile lascivo. Gli europei ne presero gli elementi essenziali, cercando di mettere più rigore nei passi e nella postura.
Il Canyengue fu ballato negli anni 1880-1920, e poi segui la naturale evoluzione della vita rioplatense trasformandosi e lasciando spazio alla forma di Tango più simile a quella che conosciamo.
La coppia nel Canyengue è completamente “apilada”, uomo e donna ballano cioè sullo stesso asse condiviso, sono di fronte, con lo sguardo nella stessa direzione: la dama balla con il suo braccio sinistro che va a cingere completamente la spalla sinistra del compagno che le abbraccia la vita e la mano destra é stretta invece in quella dell'uomo verso il fianco di lui in una sorta di “ stringimi, stringimi”!
Si tratta di uno stile picaresco e divertente, leggero ma danzato verso la terra, le ginocchia sono più flesse del normale consentito nel tango; rilassato e giocoso, non favorisce la competizione fra i ballerini e tutti si godono l'origine ludica e “anti stress” del tango di una volta.
Per poter ballare un buon Canyengue bisogna apprendere a scaricare il peso a terra, a sentire le proprie radici, rilassarsi e abbandonarsi a se stessi. E un ballo dolce, morbido anche se fatto di puro contatto carnale tra i partner che costantemente si sfiorano le gambe e rimangono uniti col petto nei loro movimenti di piedi rapidi e corti. Considerato un ballo popolare o comunque di nicchia forse proprio per il suo essere estremamente giocoso, carismatico e un po' provocatorio, é a tratti decisamente spavaldo!
Ecco forse é per questo che mi piace tanto, per il suo essere spavaldo e col sorriso sulle labbra! A voi un video:
https://m.youtube.com/watch?v=aZHNQqdMI7w
E come sempre buon Tango a tutti, a chi lo balla, a chi inizierà a ballarlo, a chi lo ascolterà oppure lo guarderà, a chi lo ama e a chi lo rifiuterà e male ne parlerà … A chi vive insomma perché Finché c'è tango c'è vita!
Un abbraccio!