Finché c'è tango c'è vita questa settimana vi porta a ballare a Berlino, considerata una delle metropoli del tango, per molti la più importante dopo Buenos Aires.
Chi ha navigato sulla mia pagina FB la scorsa settimana non ne sarà sorpreso avendo visto i miei post sulla leggendaria sala da ballo Clarchens BallHause, elegante ambiente d'altri tempi situata in quello che oggi è il raffinato quartiere ebraico Scheunenviertel.
Ed è proprio qui che i legami fra tango argentino, Germania e popolo ebraico si tessono in una storia che é ancora abbastanza oscura e poco studiata, ma evidente nei fatti.
Il famoso bandoneon, lo strumento per eccellenza del tango argentino, fu inventato infatti nel 1846 da Heinrich Band, un tedesco originario di Krefeld e, solo grazie agli emigranti salpati in seguito dall’Europa, arriva qualche decennio dopo in Argentina.
Nei primi anni venti giunge invece il tango in Europa radicandosi molto in Germania, dove artisti famosi amavano esibirsi, anche perché proprio a Berlino c'era un centro per la produzione di dischi. Si mescolò al gusto e alla lingua tedesca, contaminandosi ulteriormente con gli influssi provenienti dall’Est Europa e molti compositori integrarono le varie culture creando nuovi brani con testi in tedesco.
Molto importante é stato inoltre il forte influsso che i musicisti e compositori ebrei ebbero nel tango col suono dei loro violini, lasciando una forte impronta nella produzione dei brani. Nacque così la definizione di Tango Jiddish o Judischer Tango con i testi scritti e cantati in lingua ebraica.
L’Argentina ospitò poi una fetta consistente di ebrei emigranti che nei tanghi esprimevano tutto il loro dolore per l'abbandono della patria come nel famoso tango intitolato Ich hab kein Heitmatland che è uno dei più dolorosi, scritto nel 1933 da Friedrich Schwarz, un giovane compositore ebreo sulla via della deportazione.
É la Storia quindi con la S maiuscola che lega il tango alla Germania.
E tanta storia si respira ancora al Clarchens BallHaus soprattutto nella sala degli specchi al piano superiore, la Spiegelsaal, così chiamata per i grandi specchi degli anni ’20 segnati dalle rughe del tempo, dai bombardamenti subiti ancora visibili nelle crepe dei muri non restaurati. Il maestoso lampadario chandelier al centro del soffitto ancora ti fa spalancare la bocca sognante in un grande ohhhhhh di stupore quando lo guardi e pensi a quante coppie di ballerini ha illuminato nel tempo e di quante vedove ha rischiarato il dolore. Si, perché al Clarchens BallHause molte donne vedove di guerre hanno raccontato la loro triste storia accompagnate dalla musica del luogo.
La sala fu aperta nel 1913 da Fritz Buhler e sua moglie Clara, conosciuta affettuosamente come Clarchen, per essere un punto di riferimento e un luogo di accoglienza culturale e di musica, che purtroppo vide e visse anche la musica della guerra. Fu occupato dagli eserciti e convertito a loro rifugio, così come fu anche rifugio di ebrei e perseguitati fuggitivi che i coniugi accoglievano di nascosto fra le note del tango.
Il Clarchens BallHause racconta tante storie anche senza le parole se si sanno ascoltare i suoi muri e già nel giardino decadente che ti accoglie all'ingresso, immagini la vita di chissà quante sigarette fumate nei lontani decenni.
Nel 2005 é stato salvato dalla decadenza e dalla inevitabile chiusura da David Regehr e Christian Schulz che hanno provveduto a rimetterlo in sicurezza, tanto da poterlo far tornare a nuova storia consentendogli di accogliere ballerini tutte le sere con notti dedicate non solo al tango ma anche a swing, valzer, salsa, cha cha. Si mangia anche una buona pizza, cosa non da sottovalutare per noi italiani che senza pizza non sappiamo proprio restare!!!
É stato davvero emozionante arrivare in questo luogo con le mie scarpe da tango rosse dove tanti ballerini prima di me hanno disegnato sul pavimento della sala chissà quanti ochos adelante y atras danzando sul tempo ciclico e infinito della vita, quella con la V maiuscola.
E come sempre buon Tango a tutti, a chi lo balla, a chi inizierà a ballarlo, a chi lo ascolterà oppure lo guarderà, a chi lo ama e a chi lo rifiuterà e male ne parlerà … A chi vive insomma perché Finché c'è tango c'è vita!
Un abbraccio!