Martedì 16 ottobre p.v. alle ore 21, presso il Teatro Astra di Torino, andrà in scena lo spettacolo dal titolo Focus@MatsEk. Si tratta di una serata molto particolare, volta a celebrare i quarant’anni di danza di Pompea Santoro attraverso una selezione coreografica che vedrà protagonisti i giovani danzatori dell’Eko Dance Project, che faranno rivivere sul palcoscenico alcuni fra i ruoli più celebri scaturiti dalla mente del geniale coreografo svedese Mats Ek.
Nel 1978, a soli sedici anni, Pompea Santoro lascia Torino per entrare a far parte del Cullberg Ballet di Stoccolma diretto all’epoca da Birgit Cullberg e in seguito, dal 1980, dal figlio di quest’ultima, Mats Ek.
Inizia da allora per la Santoro una lunga e ricca carriera che la porterà a restare in Svezia per ben venticinque anni, nel corso dei quali interpreterà tutti i maggiori ruoli del repertorio del coreografo, prima come danzatrice e poi come assistente.
Le abbiamo rivolto alcune domande per capire meglio ciò che vedremo nel corso della serata e per fare un “focus”, appunto, su alcuni aspetti fondamentali del suo lavoro.
Una lunga carriera nella danza che dura da 40 anni, celebrata da una serata in tuo onore. Com’è nata questa idea e cosa vedremo nel corso dello spettacolo?
Tutti i miei spettacoli nascono con il proposito di dare ai ragazzi un’opportunità per esibirsi. In particolare, quest’iniziativa è nata parlando con Paolo Mohovich, direttore artistico di Palcoscenico Danza. Tutti gli anni io e i ragazzi dell’Eko Dance Project partecipiamo alla sua manifestazione e, in fase di programmazione, ci siamo chiesti che cosa avremmo potuto presentare per questa Stagione.
Siamo nel 2018: esattamente quarant’anni fa io partivo dall’Italia per andare in Svezia, dove per venticinque anni ho avuto la possibilità e l’onore di danzare tanti ruoli importanti creati da Mats Ek, prima come danzatrice e poi come sua assistente. Non ho pertanto solo interpretato questi ruoli ma li ho anche passati a grandissime artiste quali Sylvie Guillem, Tamara Rojo, Lauren Cuthbertson, Marie-Claude Pietragalla, Marie-Agnès Gillot e tante altre.
Per me è un’opportunità fantastica poter trasmettere ai giovani la grandissima fortuna e la gioia che hanno permesso a me di costruire la carriera che ho avuto, desidero davvero che anche loro possano sentire l’entusiasmo di danzare queste coreografie che personalmente mi hanno aiutata a crescere artisticamente ma anche tecnicamente perché sono tutte abbastanza impegnative e difficili.
Carmen, Adela, Giselle… tutti personaggi che nel corso della tua carriera hai interpretato molte volte. Quali sono le caratteristiche di queste donne di Mats Ek?
Tutte le donne di Mats Ek sono donne molto forti, così come lo era la sua mamma, Birgit Cullberg, a cui lui si ispirava tantissimo. Tutti i ruoli che lui ha creato hanno alcune caratteristiche di sua madre e io, interpretandoli, mi sono sempre ritrovata molto in ognuno di essi, mi sono appartenuti tutti quanti perché anch’io mi ritengo, così come Birgit, una donna molto indipendente, molto forte e determinata.
Nei panni di chi ti sei sentita meglio e perché?
In ogni ruolo che ho interpretato nel corso della mia carriera da danzatrice ho messo qualcosa di me, anche se non tutti sono stati creati per me. Ad esempio sappiamo che Giselle è stata creata per Ana Laguna, la moglie di Mats Ek, ma nonostante ciò quando ho avuto l’occasione di danzarla Mats mi ha aiutata a trovare la “mia” Giselle, quella che si avvicinava di più al mio carattere, alle mie peculiarità. Quando si interpreta un personaggio è assolutamente necessario cercare dentro sé stessi qualcosa che possa assomigliargli e svilupparlo. In tutti c’è dunque veramente qualcosa di mio, devo dire che mi sono ritrovata in ognuno di questi ruoli, anche se i due che ho sentito particolarmente vicini alla mia personalità sono stati Adela, ne La casa di Bernarda Alba, e Giselle. Sono, secondo me le due donne nelle quali ho realmente ritrovato me stessa e con cui nel corso degli anni, danzandole, sono cresciuta, sviluppandone a mio modo l’interpretazione, progressivamente, con la mia maturità artistica. D’altra parte, se pensiamo alla prima volta che ho danzato Adela avevo diciassette anni, l’ultima ne avevo trentasei, quindi posso davvero dire che è un personaggio che ho elaborato e fatto crescere insieme alle mie esperienze. Idem per Giselle, che ho danzato per dieci anni, in più di cento recite: l’ho vissuta per tanti anni, ha fatto parte del mio percorso di vita.
Anche in Aurora, da La Bella Addormentata, ho trovato qualcosa di mio, nonostante sia forse il ruolo meno forte essendo questa protagonista una vittima, al contrario delle altre donne, perché mi ha fatta tornare indietro agli anni della mia adolescenza, quando ero molto vulnerabile, un po’ persa. Anche in questo caso, interpretando il personaggio, ho ritrovato parte della mia personalità, ovvero quella di una sedicenne molto simile a me.
Hai qualche rimpianto? In particolare scelte che adesso, a distanza di anni, avresti o, viceversa, non avresti fatto?
Assolutamente no, rifarei tutto così come l’ho fatto in passato.
Forse l’unica cosa che vorrei aver avuto è qualcuno accanto a me che mi avesse aiutata a capire prima di quanto ho fatto autonomamente l’importanza grandissima di aprirmi verso altri stili. Io adoravo lo stile di Mats Ek e quello di Kylián piuttosto che quello di Nacho Duato ed ero sempre un po’ riservata e chiusa verso altri approcci più contemporanei. Ricordo, ad esempio, la prima volta che venne Ohad Naharin: per me era molto distante da quello che era il mio lavoro, ero un po’ scettica, mi mettevo dietro nelle sue lezioni, non mi interessava più di tanto e lo davo a vedere. Potessi tornare indietro vorrei essere in questo senso un po’ più aperta alle novità, ed è quello che adesso cerco di insegnare e di dire ai miei allievi, la necessità di cercare di essere sempre curiosi nei confronti di nuovi stili e nuovi coreografi.
Cosa avresti voluto fare se non fossi diventata la ballerina e l’insegnante che sei?
Chi mi conosce bene sa che la danza non era il mio sogno di bambina, piaceva molto a mia madre, che mi ha iscritta a scuola di danza quando avevo sette anni, ed è da lì che, con il tempo, mi sono appassionata fino a far sì che diventasse la mia vita. Io però da piccola giocavo sempre a fare la segretaria, perciò se non avessi fatto la ballerina oggi sarei sicuramente una business woman, oppure la segretaria di qualche ingegnere o di qualche avvocato. Anche ora, da grande, mi piace moltissimo l’ufficio, mi piace il computer, mi piacciono le ricevute, mi piace scrivere, sono molto tecnologica, quindi posso dire che sicuramente avrei lavorato in quel campo.
Sono comunque felicissima di essere quello che sono: insegnare, trasmettere, modellare, è una cosa che mi piace tantissimo perché guardo i ragazzi davanti a me e il loro talento è qualcosa che, in un certo senso, vedo nascere, crescere, forse non è l’espressione giusta ma ho po’ “il controllo della situazione”. Quando sei danzatore non è proprio così, perché tutto dipende da ciò che gli altri vedono di te e in te, tu non ti vedi. Stando dalla parte dell’insegnante invece io osservo chi ho davanti, mi piace provare a lavorare per ottenere ciò che ho in mente e che ritengo il meglio per quella persona, riesco in questo modo a plasmare, a trasmettere e a rendere visibile il lavoro, raggiungendo un determinato risultato, e questo mi dà una soddisfazione immensa, è davvero incredibile.
Non ci resta che fare un grande in bocca al lupo a Pompea Santoro e ai suoi ragazzi, e ancora mille auguri per i suoi primi quarant’anni di carriera.
Informazioni
Teatro Astra // 16 ottobre 2018 // Eko Dance Project // ore 21,00
Spettacolo fuori abbonamento
Intero € 22,00 // ridotto € 15,00 // under 26 € 10,00
In vendita presso
Biglietteria TPE – Teatro Astra
Via Rosolino Pilo 6, Torino // Tel. 0115634352