Danzatrice, cantante, attrice e performer tra le più apprezzate in Italia. Da cosa è nato l’amore per lo spettacolo a tutto campo?
Nasco come ballerina classica, poi nel tempo è arrivata la recitazione e infine il canto. Quando ho cominciato, non esistevano le scuole di musical. In qualche modo, grazie a Saverio Marconi che ha portato il musical in Italia, ci siamo inventati un mestiere.
Hai iniziato come danzatrice, diplomandoti presso la Royal Academy of Dancing di Londra. Cosa ti spinse ancora bambina, verso una scuola di danza?
Fu la mia nonna paterna. Aveva solo figli e nipoti maschi, ma aveva sempre sognato una vita da ballerina. Così a quattro anni m’iscrisse a una scuola di danza. Sono sempre stata la più piccola dei corsi che frequentavo ma, essendo di natura molto competitiva, non mi sono mai abbattuta. Anzi ero spronata a fare sempre meglio. Col tempo, poi, mi sono innamorata della disciplina e della bellezza della danza e non ho più smesso.
Quando crescevi, avevi dei modelli, dei punti di riferimento? Che cosa sognavi da piccola?
Quando ero bambina si facevano le file fuori dai teatri per vedere Carla Fracci e Rudolf Nureyev. Ricordo che mia madre riuscì a portarmi al Teatro comunale di Firenze a vederli in “Giselle”. Furono grandi esempi per tutti i giovani danzatori di allora…e non solo. Poi amavo Sylvie Guillem. Volevo diventare bella e brava come lei.
Sei stata una delle pioniere del musical del bel paese. Oggi, rispetto agli anni 90, in Italia si sono compiuti enormi passi avanti. Non solo per il numero di produzioni ma anche per la qualità dell’offerta. Possiamo auspicare un giorno che Milano diventi come Broadway?
Non credo. I performer nostrani sono sempre più preparati, ma il pubblico italiano non è ancora pronto. Si reca in teatro ad assistere allo spettacolo che conosce – perché magari anche un titolo cinematografico- o per vedere il personaggio televisivo prestato al musical. I giovani fan fatica a lavorare in Italia e molti di loro decidono, giustamente, di trasferirsi all’estero dove si lavora meglio e ad altissimi livelli. L’Italia è un paese con altre tradizioni. Il musical è spesso considerato uno spettacolo di serie B e messo in secondo piano rispetto ad altre produzioni. Speriamo in un futuro migliore.
Hai interpretato tantissimi personaggi. A quale sei più legata?
Tutti hanno avuto e hanno, per motivi diversi, uno spazio speciale nel mio cuore. Alcuni mi somigliavano, altri erano diversi da me. Ogni spettacolo arriva nella vita in un momento ben preciso e per un motivo. ? compito di ogni performer scoprire quale sia questo motivo e goderne.
Esistono talenti italiani capaci di esprimersi a 360 gradi? Nella danza, nel canto e nella recitazione?
Non quanto io mi augurerei. Oggi molti ragazzi diplomati all’interno delle tante “Accademie di musical” sorte, pensano di essere preparati con soli tre anni di studio. E la materia nella quale sono chiaramente più deboli è proprio la danza che richiede un impegno e una dedizione totale e a lungo termine. Il risultato e che si hanno attori che cantano, cantanti che recitano, ma che spesso. ballicchiano.
Quale coreografo e regista, a tuo avviso, è riuscito, più di altri, a tirare fuori il meglio di Francesca Taverni?
Saverio Marconi è stato il primo che ha creduto in me e gliene sarò sempre grata. Marco Iacomelli mi ha regalato la possibilità di interpretare al meglio un personaggio complesso come Diana Goodman in “Next to normal”; in generale però, tutti i registi che mi hanno diretto, rispettando la mia individualità, hanno tirato fuori qualcosa di me che sono riuscita a portare sulla scena.
“Rent”, Chorus Line”, “La Febbre Del Sabato Sera”, “Cats”, sono solo alcuni dei titoli che ti hanno visto protagonista. Quale ti è rimasto nel cuore?
“A Chorus Line” è stato il primo. E come tutti i primi amori non si scorda mai.”Rent” mi ha cambiato la vita. “Cats” mi ha regalato anni di vita in Germania: è un musical fantastico che ogni performer/ballerino dovrebbe interpretare. “Next to normal” è arrivato in qualche modo per dare concretezza scenica alla mia maturità sia artistica, sia come donna sia come mamma. Ogni musical interpretato è nel mio cuore, nessuno escluso.
Il musical e il personaggio che vorresti interpretare?
Non so, il prossimo che mi sarà proposto. Aspetto fiduciosa.
Oggi sei impegnata in teatro col musical “Sister Act”. Ci racconti di questa nuova avventura?
Tornare a lavorare con Saverio Marconi dopo diciassette anni da “A Chorus Line” è stato un grande piacere e onore. Saverio mi ha aiutato a trovare la chiave per interpretare la Madre Superiora, regalandomi la misura giusta che solo un occhio attento e infine esperto può avere. “Sister Act” è uno spettacolo divertente, commovente e di successo.
Da qualche tempo sei testimonial di “Non Posso Ho Danza”. Com’è nata questa collaborazione?
Ho conosciuto Carlotta Pia a Parma, dove avevo la direzione artistica del corso di musical all’interno di “Professione Musical”. Le magliette che indossava mi hanno sempre incuriosito molto, tant’è che le avevo proposto di farne alcune con la scritta “Non Posso Ho Musical”. La frase, che è poi il marchio dell’azienda, mi ricorda tanto la mia adolescenza, i tempi in cui, anziché divertirmi con gli amici, passavo le mie giornate alla sbarra. Quando mi ha proposto di essere una dei testimonial del marchio mi ha fatto immensamente piacere. Non potevo rifiutare. Ancora grazie.
Ti vedresti un giorno come direttrice di un teatro stabile del musical?
Temo che in Italia non esisterà mai una realtà di questo tipo. Di certo mi piacerebbe molto dirigerlo. Amo le nuove sfide.
Quali sono le caratteristiche che ti hanno permesso di costruire una carriera così lunga e di successo?
Credo l’impegno, la dedizione e la mia tendenza al perfezionismo. Non mi sento mai abbastanza preparata e tendo a studiare senza sosta affinché mi trasformi in quel personaggio senza limitarmi a portare in scena la mia persona fisica. E poi mi metto sempre in discussione affidandomi totalmente al regista che mi dirige. Penso realmente che il segreto di una carriera così longeva sia assolutamente questo.
Che cosa apprezzi nelle nuove generazioni di ragazzi che vogliono “fare musical” e che cosa invece critichi?
Mi fa molto piacere che aumenti il numero di ragazzi che frequenta le scuole di musical, scuole che proliferano senza sosta e non sempre però sono di qualità. Mi spiace però che i giovani, oggi, non siano sufficientemente motivati e spesso, una volta usciti dalla scuola, smettano di studiare sentendosi arrivati. La realtà è che in questo mestiere non si finisce mai di imparare. Mai frase fu più vera e realistica.
Il musical che vorresti interpretare?
Vorrei farli tutti.Una vita solo non basterebbe. A oggi sono contenta di ciascun musical interpretato e per fortuna non sono affatto pochi. Il prossimo sarà un altro bellissimo regalo.
Se dovessi definire te stessa come artista, quali parole utilizzeresti?
Onesta, passionale, testarda, di certo non pressappochista e tendenzialmente secchiona.