Gala Fracci alla Scala: un ricordo pieno di affetto e di grande danza

Roberto Bolle, Alessandra Ferri, Jacopo Tissi e Davide Dato tra gli interpreti

di Nives Canetti
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Grande successo di pubblico e molti applausi per la seconda edizione del Gala Fracci alla Scala grazie ad un programma ben articolato e pensato con perizia da Manuel Legris. L’equilibrio tra vari brani del repertorio di Carla Fracci, riferimenti alla sua cultura e omaggi tout court del presente ha creato una serata piuttosto memorabile. Serata peraltro tutta scaligera anche per gli artisti ospiti presenti: Bolle Ferri e Tissi, unica eccezione Davide Dato da Vienna per la prima volta sul palco scaligero.

L’importanza di questo omaggio alla Signora Fracci risiede principalmente nel tramandare alle giovani generazioni il suo repertorio e l’essenza della sua grande arte. Chi non l’ha vista ballare dal vivo deve avere gli strumenti per rendersi conto delle vette interpretative che raggiungeva in scena e del suo impegno nel promuovere la cultura della danza a tutti i livelli, dai teatri tenda al Metropolitan di New York.

È importante quindi rivedere in scena pezzi meno noti del suo repertorio, come Le Loup di Roland Petit, Le Papillon di Pierre Lacotte ispirato alla Taglioni, le Spectre de la rose con cui debuttò; ma anche il Pomeriggio del Fauno, non quello di Nijinsky che Fracci ballò più volte, ma quello di Amodio che fu grande prova di Luciana Savignano, citando quel periodo così fertile e vivo della danza italiana di cui Fracci faceva parte. Oppure la Danse Siamoise del Pavillion d’Armide che riporta ai Balletti Russi di Diaghilev, mondo che Fracci apprezzava particolarmente e al quale spesso faceva riferimento impersonando Karsavina o portandone il repertorio in scena nelle sue scelte di direzione artistica a Roma.

È importante ricordare ai giovani che all’interno dei Vespri Siciliani di Verdi c’è un balletto splendido che Fracci danzò in una versione di Misha Van Hoecke alla Scala e che viene ormai tagliato ovunque dalle versioni di oggi dell’opera: per fortuna Jerome Robbins lo riprese per le sue Saisons e Manuel Legris nel suo Verdi Suite, brano che ormai raccoglie un grande successo alla Scala dal 2020 e anche in questo Gala.

È importante ricordare che Carla Fracci non era “solo” interprete ma nel Lago dei Cigni la sua Odile era entusiasmante anche dal punto di vista tecnico e tirava giù il teatro. E che la sua Raymonda, purtroppo lontana dalla Scala, ebbe un successo clamoroso.

È importante che alcuni grandi ballerini di oggi in momenti maturi della loro carriera, dimostrino che ballare è una prerogativa senza età e che, come la Signora Fracci sempre affermò, la maturità artistica va valorizzata e non va messa in un angolo, a meno che non sia una scelta circostanziata e coerente come ad esempio quella di Sylvie Guillem. E allora bene vedere l’omaggio di Alessandra Ferri e Roberto Bolle dopo 16 anni di nuovo insieme sul palco scaligero per ricordare Carla Fracci.

Le due étoile hanno interpretato “After the rain” di Christopher Wheeldon, sulla musica sospesa e ipnotica di Arvo Pärt, un brano pieno di poesia e di pathos. Bolle ha ballato anche l’appassionato passo a due della campagna dalla Dame di Neumeier insieme ad una disarmata e innamorata Marguerite/Nicoletta Manni, ruolo che purtroppo a Fracci sfuggì per le circostanze della vita.

Splendido l’Après midi d’un faune di Amedeo Amodio: un fauno si risveglia e richiama l’attenzione con delicati movimenti della testa la sua ninfa per intrecciare con lei una danza sensuale e morbidissima. La rilettura dei movimenti del fauno di Nijinsky in chiave moderna, che in certi momenti fa sembrare i ballerini due statue di Bernini, rende questo pezzo assolutamente attuale. È una coreografia del 1971 e ricordo molto bene Amodio e Savignano interpretarla magistralmente ma oggi un fantastico Domenico Di Cristo, elemento sempre più di spicco, e la brava Agnese Di Clemente l’hanno resa altrettanto bene e con accuratezza nello stile. Un pezzo che lascia senza fiato, di profonda poesia. Peccato solo la parrucca di lei, veramente dozzinale: il diavolo sta nei dettagli.

Un assaggio del Pavillion d’Armide di John Neumeier, che era in programma a ottobre (ora sostituito da Onegin), è stato portato con grande piglio e presenza da Davide Dato dell’Opera di Vienna nominato primo ballerino nel 2016 da Legris. Una forza interpretativa incredibile la sua nel rappresentare questa Danse Siamoise, esotico e sensuale assolo di Nijinsky dai movimenti forti netti e decisi, molto potente. Raro da vedere in scena, forse più difficile da capire per un pubblico meno abituato ma di grandissimo valore.

Altro passo a due particolare e raro, Le Loup di Roland Petit. Con alcuni spunti poi ripresi da Petit nel suo Notre Dame, le Loup richiede agli interpreti la capacità di creare un’atmosfera un po’ inquietante e scura: in questo sono riusciti molto bene Marco Agostino e Martina Arduino, lui un lupo convincente e lei una moglie appassionata e persa nel suo amore improbabile per lui.

Di tutt’altro tono le Papillon, omaggio al suo coreografo Pierre Lacotte da poco scomparso. Romantica ricostruzione di metà ottocento, il passo a due deve rappresentare la leggerezza e l’impalpabilità di una principessa farfalla e di contro è faticosissimo, pieno di batterie e di salti che levano il fiato. Ma Linda Giubelli, solista che sempre più si fa notare nell’ensemble scaligero, e Nicola Del Freo sono stati perfetti stilisticamente e tecnicamente, rendendo questo passo a due con due assoli maschili, due assoli femminili e la coda, molto piacevole e apparentemente senza sforzo.

Verdi Suite di Manuel Legris si conferma un bellissimo divertissement dove a fronte di un ensemble sicuro e brillante, emergono Marie Celeste Losa e Alice Mariani e soprattutto Claudio Coviello di una sicurezza sfavillante con un legato stupendo e una musicalità davvero impressionante. Un primo ballerino unico.

Per il resto a fronte di uno Spettro della rosa non particolarmente entusiasmante con Jacopo Tissi, dalla danza non sempre curatissima, e Letizia Masini deliziosa ma poco incisiva, si è visto un pas de trois dal terzo atto del Lago dei Cigni di Nureyev con Nicoletta Manni Odile di pregio, Timofej Andrijashenko bel principe ma dallo stile un po’ baldanzoso e Christian Fagetti, Rothbart di nome e di fatto, perfettamente nel ruolo perfino ai ringraziamenti e con bella resa tecnica.

Forse a fine serata è risultata un po’ lunga la chiusura sul Pas Hongrois di Raymonda, ma assai brillante è stato Navrin Turnbull nel suo assolo e Martina Arduino molto pulita nella variazione solistica “dello schiaffo”. Precise e di effetto le 8 coppie del corpo di ballo, qualche sbavatura nel difficile passo a 4 dei cavalieri.

La direzione d’orchestra di Kevin Rhodes sempre musicalmente vivace e tesa con bei colori resta ad un livello molto alto, anche se in qualche raro piccolo momento non c’è stato un accordo perfetto con la scena, ma avercene di direttori così per il ballo. Preciso e senza sbavature il pianismo di Yoshikawa soprattutto in sintonia con il violoncello di Alfredo Persichilli in Spiegel im Spiegel di Arvo Pärt.

È stata una serata dall’allure mondana grazie ad uno sponsor molto glamour ma soprattutto una festa della danza per chi è tornato a casa con i brani preferiti della serata negli occhi e nella mente il ricordo della Signora Fracci.

Appuntamento al Teatro alla Scala il 19 aprile 2024 con la terza edizione del Gala Fracci.

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