“Giselle” e “Lo Schiaccianoci”: al Regio di Torino Maria Kochetkova danza senza Simkin e non c’è la Danza Araba

di Giada Feraudo
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Il Teatro Regio di Torino ha ospitato per la seconda volta -la prima nel 2022-  il Balletto dell’Opera di Tiblisi, che ha portato in scena due titoli del repertorio classico: Giselle e, nuovamente, l’immancabile  Schiaccianoci di Natale.

La compagnia, diretta da Nina Ananiashvili, una delle danzatrici di punta della fine del secolo scorso, ha confezionato due spettacoli che sicuramente hanno riempito spesso il teatro ma ha confermato di avere ancora molta strada da fare per raggiungere i livelli di eccellenza che sarebbero auspicabili per calcare un palcoscenico come quello del Teatro Regio, ovvero quello che dovrebbe essere il più importante teatro della città.

Giselle
(La recensione si riferisce allo spettacolo andato in scena sabato 14/12 ore 20).

Giselle è notoriamente uno fra i balletti più complessi del repertorio, soprattutto in ragione dei suoi personaggi, poliedrici e spesso in evoluzione, in particolar modo i protagonisti. Le capacità interpretative richieste ai danzatori sono davvero importanti in quanto devono essere capaci di dipingere, con i loro gesti e le loro emozioni, le profonde sfaccettature degli individui di cui indossano le vesti ed è soprattutto per questo che è davvero difficile mettere in scena una valida ed emozionante versione di questo balletto.

Nell’interpretazione del Balletto dell’Opera di Tiblisi, nella versione coreografica di Aleksej Fadeečev e Nina Ananiashvili,  è mancato in diversi momenti quel “di più” che l’avrebbe elevato al di sopra dello schema di una coreografia tecnicamente abbastanza pulita e ben eseguita ma talvolta un po’ appiattita.

Non male il corpo di ballo, pur con qualche sbavatura nel primo atto, non particolarmente convincente nel valzer, che dovrebbe essere un pezzo corale molto movimentato in quanto a coreografia ma che è risultato, invece, un po’ scarno e non troppo dinamico, se non in alcuni passaggi coreografici obbligati, rimasti fedeli al disegno originale. Un po’ deludente anche il pas de deux dei contadini, che qui diventa un pezzo d’assieme che coinvolge parecchi elementi del corpo di ballo.

Meglio il secondo atto, anche se purtroppo l’organico era abbastanza ridotto, un vero peccato considerando che la seconda parte di questo balletto è fatta principalmente dal corpo di ballo, e i “pezzi forti” quali la traversata delle Villi non hanno avuto un’intensità tale da riuscire a strappare al pubblico l’applauso che spesso scroscia spontaneo.

Purtroppo l’assenza di Daniil Simkin, dovuta ad un infortunio durante la rappresentazione della sera precedente, si è fatta sentire. Masaaki Goto ha rivestito i panni di Albrecht al suo posto ma, nonostante un’esecuzione tecnica buona, non è riuscito ad emergere al fianco di Maria Kochetkova. La mancata esecuzione degli attesi (ed immancabili) entrechat-six alla fine del secondo atto inoltre, banco di prova per tutti gli interpreti di questo ruolo, ha lasciato un po’ di delusione dal momento che questo passaggio è un vero e proprio must del balletto in questione.

Emozionante, invece, l’interpretazione di Maria Kochetkova. Il personaggio di Giselle sembra fatto su misura per lei: la sua figura piccola ed esile la fa sembrare una ragazzina sul palco (del resto, Giselle è poco più che un’adolescente), senza nulla togliere alla grandezza e alla complessità che questo personaggio acquisisce nel corso dello svolgimento della storia.

La scena della pazzia ha fatto versare qualche lacrima a diversi spettatori, inclusa la sottoscritta: Maria Kochetkova è stata capace di trascinare il pubblico nel vortice delle sue emozioni e della sua disperazione, dando al suo personaggio un’intensità drammatica molto interessante.

Il secondo atto l’ha vista trasformata in uno spirito evanescente e delicato ma nello stesso tempo dotato di una ferma volontà. Giselle è diventata una delle Villi ma, pur restando di animo gentile e delicato, mostra pienamente una maturità e una solidità che non le appartenevano nella vita terrena. Continua ad essere innamorata di Albrecht, il quale nel frattempo si è amaramente pentito del proprio errore, ed è determinata a salvargli la vita, nonostante Myrtha, la regina delle Villi, interpretata da Mari Lomjaria, si opponga a questo desiderio con la sua danza gelida e granitica.

Ciò che è venuto un po’ meno, soprattutto nel pas de deux del secondo atto, è stato il senso di evanescenza e di inafferrabilità dello spirito-Giselle. Nei ripetuti incroci con cui i protagonisti attraversano a più riprese il palcoscenico i contatti erano troppo materiali, come se avvenissero fra due entità dotate di un corpo fisico e non fra spirito e materia; mancava la sensazione, insomma, che Albrecht abbracciasse un fantasma, percependo la sua presenza con gli altri sensi escluso il tatto.

Eccellente invece l’interpretazione dell’orchestra del Teatro Regio, che, sotto l’ottima bacchetta del Maestro Papuna Gvaberidze, ha saputo conferire alla meravigliosa partitura di Adolphe Adam tutte le sfumature e i chiaroscuri che la caratterizzano. Coinvolgenti i pezzi corali, delicato ma a tratti anche malinconico e disperato il ricordo; intense e drammatiche le scene forti.

 

Lo Schiaccianoci
(La recensione si riferisce alla recita di domenica 22/12).

Lo Schiaccianoci, siamo d’accordo, è un immancabile classico natalizio e la magia della sua musica è sempre piacevole all’ascolto ma, diciamolo, in una città dove si rappresentano sì e no due balletti all’anno nel suo teatro più importante, vedere sempre la stessa cosa dopo un po’ quella magia la fa passare.

Il sopra citato balletto ritorna a Torino per la seconda volta nella versione coreografica della sua direttrice, Nina Ananiashvili, e Aleksej Fadeečev. Così come due anni fa, nonostante il teatro gremito (era domenica pomeriggio), chi fra il pubblico di danza un po’ se ne intende è uscito dal teatro non sazio. Anzi decisamente con l’amaro in bocca. A partire dall’allestimento e dai costumi, la maggior parte dei quali poco valorizzavano lo spazio e gli interpreti. Passi questo ma la coreografia, soprattutto nei pezzi d’assieme, si è rivelata assai povera sia nel disegno spaziale sia nelle sequenze di passi, che si ripetevano molto spesso. Molto discutibile, inoltre, la scelta di far ballare i solisti delle danze del secondo atto anche nel valzer dei fiori e in alcuni altri momenti dove normalmente non dovrebbero comparire. Forse per riempire la scena dal momento che l’organico era anche qui abbastanza scarno, ma questo ha immediatamente fatto venire in mente a chi è del settore una soluzione “da saggio”, adottata dagli insegnanti quando devono a tutti i costi trovare un modo per far entrare in scena i bambini al fine di evitare le ire funeste dei genitori i quali altrimenti direbbero che i loro figli stanno troppo poco in scena.

Inaccettabile, inoltre, l’estromissione della Danza Araba, che non è stata eseguita, come se non si trattasse di uno dei pezzi più importanti e sicuramente più belli e attesi del balletto. Un vero e proprio colpo al cuore. Sinceramente a una mutilazione del genere non mi era mai capitato di assistere, nemmeno, appunto, a un saggio. Dopo un tale taglio si desidera soltanto che lo spettacolo termini al più presto per timore di vedere altri scempi e per fortuna, dopo un valzer dei fiori poco fiorito e un pas de deux variazione e coda non particolarmente brillanti, il sipario si chiude e i saluti sono presto finiti.

La speranza si dice sia sempre l’ultima a morire, dunque in queste ultime ore dell’anno prevalgano l’ottimismo e l’augurio a tutti gli amanti della danza di tornare ad assistere, nelle prossime stagioni, a rappresentazioni all’altezza di quelle che il Regio ha offerto in passato e che, si auspica, tornerà ad offrire al suo pubblico affezionato.

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