Dichiariamo aperta ufficialmente la stagione dei saggi, un momento di tale fermento da superare generosamente, in quanto ad attenzione al dettaglio e sfarzo, i preparativi delle star per la croisette al festival del cinema. Dietro alle quinte scorrono fiumi di adrenalina ed è tutto un susseguirsi di urlettini, scongiuri, pianti, crisi, risate: un caleidoscopio emozionale che lascia sfiniti, prima di tutto, gli insegnanti che, per quanto comincino a prepararsi mesi e mesi prima, arrivano al giorno del debutto con quella antipatica sensazione di non aver davvero centrato l'obiettivo. Ma si sa, è sempre così, non si è mai veramente pronti per andare in scena, dopo tutto è proprio questo aspetto a rendere la cosa ancora più elettrizzante: come fare un salto nel vuoto, in cui l'atterraggio è il momento più interessante e divertente della faccenda, perché avviene sul palcoscenico.
Qualcuno di voi forse ha già superato questo momento, più o meno indenne, e sente ancora nel corpo le vibrazioni di quegli istanti trascorsi sulle tanto agognate assi di legno della scena, con il cuore che pare sul punto di scoppiare nel petto. Qualcun altro, invece, potrebbe essere agli ultimi giorni prima del grande evento, quelli più frenetici, nei quali manca sempre ancora un costume, qualcuno si ammala o si fa male, e si entra in quella orribile fase in cui più si provano le coreografie e peggio è. Ogni ennesima ripetizione porta gli insegnanti alla disperazione più assoluta, con il rimorso per non aver fatto qualcosa di più semplice, diverso, difficile, allegro, impegnato, breve o chissà cos'altro.
Il conto alla rovescia giunge al termine e quasi si vorrebbe solo aprire quel dannato sipario e vomitare sulla platea tutto in una volta sola. Ooooh. Fatto.
Non è detto che i saggi di danza siano un appuntamento così atteso da tutti, però. Certo, se già io stessa mi emoziono a vedere gli allievi sul palcoscenico, danzare liberi e felici, immagino come i genitori possano andare in brodo di giuggiole nel vedere i loro piccoli-grandi cuccioli lassù. A volte, però, confessiamolo pure, ci lasciamo prendere un po' troppo la mano nel voler organizzare lo spettacolo del secolo, per fare la felicità degli allievi, che non vedono l'ora di scatenarsi nelle danze più selvagge, per appagare le aspettative dei genitori, spesso i critici teatrali più esigenti che io abbia mai incontrato, ma un po' anche per noi e per la scuola, per concederle il prestigio di esprimersi in una serata davvero speciale.
Come sanno i lettori che mi seguono fin dall'inizio, io non sono una grande amante di quei saggi di fine anno, diciamo, che vivono di un certo barocchismo, e con questo intendo una certa tendenza all'esagerazione a tutti i costi, quell'andare oltre il limite che il contesto imporrebbe. Parlo di costumi troppo costosi, scarpe da punta ai piedi di bambine troppo piccole, difficili variazioni di repertorio danzate da adolescenti claudicanti, balletti su tematiche epocali, tipo la shoah, il riscaldamento globale o il fallimento del modello economico capitalista in occidente, ma anche brani non adatti all'età delle interpreti, in particolare in ambiti coreutici più urbani, dove a volte capita di vedere piccole lolite sculettanti in abiti seducenti, alla vista delle quali la femminista che c'è in me emerge dagli abissi nelle sembianze di amazzone che imbraccia l'arco. Insomma, io sposo la scelta, praticata da pochi, di fare un saggio ogni due anni, per poter dedicarne uno allo studio, gesto didatticamente necessario per riconsegnare la dovuta importanza a questo momento della vita danzante come base imprescindibile di ogni esperienza scenica.
Detto questo esiste un aspetto di alcuni saggi che davvero mi scatena l'orticaria, e cioè la loro eccessiva durata: rassegnamoci all'idea che superate le due ore, compreso l'intervallo, non dovremmo più parlare di spettacolo ma di sequestro di persona. Ci sono saggi che arrivano a durare anche quattro ore, con i ragazzi che saltano da una coreografia all'altra attraverso cambi di costume che metterebbero in difficoltà anche Arturo Brachetti, agitati come in preda ad una possessione demoniaca, che probabilmente non riusciranno a dormire per una settimana, in attesa di smaltire l'adrenalina. Alla fine dello spettacolo sono sfiniti, svuotati, senza essersi davvero resi conto di ciò che è successo, nell'unica azione compulsiva e reiterata di inanellare una coreografia dietro l'altra con la stessa avidità con cui i golosi mangiano le ciliegie.
Devo ammettere che da diverso tempo ricevo parecchi inviti per i saggi di danza delle scuole, cosa che mi mette in imbarazzo perché chi mi conosce sa quanto detesti uscire alla sera e quanto io sia uno spettatore veramente esigente e incontentabile. Come fare, quindi, a scegliere quale andare a vedere? Semplice: chiedo la durata dello spettacolo. Se questa supera l'ora e quarantacinque minuti, declino l'invito.
Eh già… è proprio come state pensando in questo istante: sono andata a vedere ben pochi saggi, ma quelli che ho visto sono stati assolutamente gradevoli, semplici, essenziali, e probabilmente la loro preparazione non ha impedito agli allievi di dedicare tempo anche allo studio durante tutto l'anno.
Il teatro è un po' come la tavola, bisogna sempre alzarsi con ancora un pizzico di appetito, non gonfi e bolsi per aver mangiato troppo!