A 50 anni dal debutto a Londra e a 30 anni dalla prima scaligera, L’histoire de Manon, tratta dal romanzo dell’abate Prévost che racconta della tragica vita di una giovane ragazza contesa fra l’amore e le seduzioni della ricchezza, non perde un grammo della sua potenza espressiva, della ricchezza dei suoi particolari e del fascino perverso di una storia di perdizione e di grande amore.
Se forse in alcuni punti il titolo di Kenneth MacMillan risulta un po’ lento e prolisso specialmente nelle variazioni e nelle scene corali (mi riferisco ad alcuni intrattenimenti nel secondo atto e alla danza delle deportate nel terzo), è assolutamente vero che la narrazione del percorso di Manon verso il baratro, fra splendidi appassionati passi a due d’amore, assoli intensi e malatissime danze con uomini vari, è un capolavoro dallo smalto intramontabile che appassiona ed emoziona il pubblico, anche quello che non l’ha mai vista e che non necessariamente frequenta il balletto classico.
La storia di Manon si può essenzialmente riassumere nelle conseguenze della sua fuga dalla povertà: il terrore che Manon prova nel primo atto davanti al lacero cacciatore di topi che le si para davanti e da cui lei fugge disgustata e spaventata, si ripropone anche nei suoi deliri del terzo atto quando sta morendo nelle paludi della Louisiana. Ed è poi sul carattere di questa ragazza in fuga che le varie interpreti possono dare le loro sfumature personali: per questo Manon è un ruolo tanto ambito dalle étoiles di tutto il mondo.
Citando “The MacMillan Estate”
la prima interprete, Antoinette Sibley la vedeva come una ragazza “che ha permesso che tutto le accadesse… Non credo che sia una complottatrice, prende decisioni solo quando deve”. Lynn Seymour l’ha resa più spietata: lei e suo fratello sono “fatti della stessa pasta, entrambi banditi, usano tutto ciò che hanno per ottenere ciò che vogliono… Ha infranto le regole e la punizione l’ha schiacciata”. Natalia Makarova la vedeva come una creatura istintiva che vive per il momento, “estraendone tutta l’eccitazione possibile. Allo stesso tempo sa perfettamente che verrà il giorno in cui dovrà pagare il prezzo… per il piacere di vivere appieno”. L’astuta Manon di Sylvie Guillem ha usato il suo fascino sessuale per sopravvivere in un mondo dominato dagli uomini. La sfortuna di Des Grieux è stata quella di essersi imbattuta nel suo cammino proprio quando stava scoprendo il suo potere. Laddove le altre Manon muoiono come vittime disperate, flosce come stracci, Guillem continua a combattere, sfidando la morte stessa.
Sylvie Guillem nel corso della sua vita ha poi smussato questo lato “astuto” di Manon, accentuando la parte romantica e trascinante con Des Grieux, basti ricordare la sua memorabile ultima Manon alla Scala nel 2011 con Massimo Murru.
Manon inoltre è un balletto fatto di tanti particolari che aiutano gli artisti nell’approccio all’interpretazione: penso al carro delle prostitute che vanno verso la deportazione a monito di un destino orrendo per le ragazze che non sottostanno alle regole del bel mondo. Oppure a quel piccolo raccapricciante gesto che Lescaut fa nel passo a tre del primo atto schiacciando di forza la testa di Manon sul petto di GM. Oppure il saluto al letto dove era stata con Des Grieux che Manon fa prima di partirsene con GM e con i suoi soldi. Lì c’è tutta Manon.
Al Teatro alla Scala le due Manon che abbiamo visto in questa ripresa sono state il primo e il terzo cast caratterizzate dalla presenza di due ospiti al loro debutto scaligero, chiamati da Manuel Legris già a giugno in sostituzione degli infortunati Vittoria Valerio e Timofej Andrijashenko: Myriam Ould Braham étoile appena ritirata dall’Opéra de Paris che ha ballato con Claudio Coviello, e Reece Clarke principal della Royal Ballet & Opera House che ha ballato con Nicoletta Manni.
La Manni, molto cresciuta nel ruolo, ha lavorato sul personaggio traendone delle nuances piuttosto delicate sicuramente più sulla falsariga di Antoinette Sibley, una Manon travolta dagli eventi che gioca a fare la cortigiana senza una vera convinzione, attratta inesorabilmente dal luccichio dei gioielli. La vera forza della sua interpretazione è centrata sul rapporto con Des Grieux, i passi a due con lui sono davvero travolgenti, dinamici, veloci, sicuri nel totale abbandono.
Reece Clarke è stato un partner perfetto per la Manni, molto british, di una bellezza apollinea, altissimo, elegante e signorile, non sempre precisissimo ma espressivo nella danza, un po’ meno autentico negli atteggiamenti del volto. Un Des Grieux disarmato, ingenuo e anche lui travolto dagli eventi.
Myriam Ould Braham étoile uscente dell’Opéra de Paris, ha portato un glamour francese molto raffinato al ruolo a cui dà, insieme a Coviello, un emozionante crescendo interpretativo. Dopo un primo atto molto trascinante ma delicato con una certa malinconia di fondo, la fierezza con cui affronta il secondo atto nel suo assolo giocato fra GM e Des Grieux è magistrale. Per poi arrivare al pas de deux finale con una carica di disperazione rara, totalmente rassegnata.
Claudio Coviello dal canto suo è un Des Grieux appassionato e irruente, segue Manon ma si ribella (bella la resa attoriale nel passo a due del braccialetto), è profondamente incisivo nelle sue espressioni, non recita, “è” Des Grieux. Molto lirico nell’assolo del primo atto con qualche piccola esitazione ma con uno splendido legato, sfodera un carattere deciso nel corso della vicenda fino ad arrivare all’ultimo passo a due dove combatte la rassegnazione di Manon incitandola a voler sopravvivere alle paludi della Louisiana. Grande intesa sulla scena fra i due.
Diverse interpretazioni quindi, una più “british”, l’altra dal sapore più europeo, che vanno incontro ai diversi gusti del pubblico riscuotendo entrambe un notevole successo dalla sala. E sicuramente la tendenza dell’ultimo periodo di invitare ospiti stranieri da altre compagnie arricchisce la visione e l’esperienza della compagnia di casa.
Ben cesellato il Lescaut di Nicola Del Freo, tecnica splendida, giri precisi e grande elevazione, un vero delinquente ed un ubriacone perfetto. La sua amante, Martina Arduino, gli sta sicuramente al passo, balla un ruolo faticosissimo in modo delizioso, estremamente brillante, forse solo un po’ troppo eccessiva nelle espressioni buffe, che peraltro sembra aver smorzato nel corso delle recite.
Gabriele Corrado è stato estremamente giusto sia come Monsieur GM che come Carceriere. Bravi Domenico Di Cristo e Valerio Lunadei come capi dei mendicanti. Smagliante il corpo di ballo attivo, presente e sempre nel ruolo a fare da corrnice alla vicenda rappresentando una società piuttosto decadente fatta di poveri straccioni, di maschi prevaricatori, di vecchi un po’ bavosi e di prostitute scemette, dove l’unica figura veramente pura è Des Grieux che infatti è l’unico che si salva anche nel romanzo. Perché, morale, la punizione è inevitabile per tutti: in fondo chi scrive è pur sempre un abate.
Ottima la direzione precisa e brillante di Paul Connelly e come sempre splendide le musiche di Jules Massenet, orchestrate da Richard Yates (la romanza qui nel link cantata da Josè Carreras Ouvre tes yeux bleus è la musica del passo a due della camera da letto); di impatto le scene originali di Nicolas Georgiadis, ambientate nella Francia pre-rivoluzionaria, che riflettono tutta la decadenza e l’oppressione della opulenta e al contempo degradata società del tempo.
Questa settimana ci saranno altre tre rappresentazioni: il 17 luglio balleranno Virna Toppi e Marco Agostino con Mattia Semperboni e Alice Mariani nei ruoli di Lescaut e dell’amante, secondo cast che ha già debuttato l’11 luglio. Mentre il 16 e il 18 luglio torneranno in scena Myriam Ould Braham e Claudio Coviello, affiancati stavolta da Christian Fagetti e da Caterina Bianchi.
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