“I Cigni del Cremlino. Balletto e potere nella Russia sovietica”

di Massimiliano Craus
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“La letteratura non è un lusso, ma una necessità”. Ecco l’incipit di un mondo di cultura che gira velocemente attorno alla danza ed alla sua arte aleatoria. Un mondo che si è scritto pian piano nero su bianco grazie al contributo costante della casa editrice Gremese, storico sostegno culturale di Tersicore letto e straletto dagli addetti ai lavori e dagli appassionati di mezzo mondo. Eh sì, Gremese è ormai un punto di riferimento insostituibile nella letteratura e nella storia della danza da anni, con un puntuale aggiornamento dei contenuti e della forma sempre più accattivanti e stimolanti per la curiosità dei tanti lettori. Del resto il ballettomane di un tempo, ovvero quello del pubblico zarista di fine Ottocento, possedeva una cultura assai consolidata di danza e di musica da sostituirsi al mero chiacchiericcio degli addetti ai lavori dell’epoca a proposito di prime rappresentazioni, di prime ballerine e di coreografi più o meno apprezzati.

E così ecco che Gremese porta avanti la sua mission internazionale con l’obiettivo di educare il suo pubblico di lettori, emancipandolo fin oltre i confini geografici e culturali, scavando negli archivi del mondo della danza e del mondo sui generis. L’ultimo prodotto editoriale che ci piace portare all’attenzione generale è un’opera storica raffinatissima, figlia di una ricerca storica tra gli scaffali dell’Archivio Centrale di Stato per la Letteratura e le Arti di San Pietroburgo e l’Archivio Russo di Stato per la Letteratura e le Arti di Mosca per un tema evidentemente panrusso, nell’assai complesso e controverso periodo sovietico del balletto fin dalla Rivoluzione d’Ottobre. L’autrice Christina Ezrahi, storica della cultura russa e membro della Royal Historical Society, ha voluto fortemente approfittare dello spoglio dei due archivi più attesi al mondo, quelli di San Pietroburgo e Mosca appunto, per conoscere da vicino il balletto ed il potere nella Russia sovietica.

“I Cigni del Cremlino. Balletto e potere nella Russia sovietica” è così diventato il titolo delle fittissime trecentodiciotto pagine edite in italiano a cura di Marta Mele per i tipi della nostra Gremese, in riferimento alla stesura originale di cinque anni fa dal titolo “Swans of the Kremlin. Ballet and Power in Soviet Russia” dell’University of Pittsburgh Press. Un volume impreziosito dalla copertina di un inevitabile “Lago dei cigni” del 1960-1965 rappresentato dall’allora Teatro Kirov. Naturalmente all’autrice non sono bastati gli archivi dei due maggiori teatri Mariinskij e Bolshoi per cui si registra un contributo massiccio proveniente da decine di archivi minori ma di assoluto valore per la compiutezza dei dati e delle informazioni a carico delle “scoperte scientifiche” di quest’immane produzione storica.

E così ecco che scorrono godibili i capitoli ad ampio spettro del libro di Christina Ezrahi, a cominciare dalla sopravvivenza. Eh sì, viene ribattezzata proprio così dall’autrice la primissima convivenza dei due teatri maggiori di San Pietroburgo e Mosca alla Rivoluzione d’Ottobre. Naturalmente quella rivoluzione era assolutamente avversa a tutto il mondo zarista rovesciato per cui, a maggior ragione, gli inutili orpelli del balletto andavano recisi dalla cultura e dalla tradizione russa e panrussa. E così i primi anni post-rivoluzionari furono difficilissimi, con una crisi istituzionale, artistica e culturale che poteva davvero scompaginare il destino aureo di Tersicore. La malnutrizione dei ballerini, la mancanza di riscaldamento nel rigido inverno, le incertezze politiche e sindacali e la perdurante sfiducia di tutto il mondo della danza non poteva che sfaldare e minare le fondamenta dell’istituzione di balletto, peraltro già di per sé presa di mira dalla nuova intellighenzia. Da qui la sopravvivenza di Christina Ezrahi, superata a malapena e con le ossa rotte.

Fino alla pressione ideologica che il balletto classico ha dovuto tollerare, seppur a fatica, per via di politiche culturali sovietiche sempre più audacemente anti-tersicoree. Qui l’autrice prende in esame il periodo che va dal 1923 al 1936, giusto in tempo per prepararsi allora e prepararci al tacito scontro tra l’arte e la politica con il fare autoritario del consiglio artistico del Teatro Kirov di San Pietroburgo negli anni Cinquanta e Sessanta. In quegli anni si registrarono vere e proprie battaglie a passi di danza, sia intestine che planetarie, almeno sul versante mediatico che poteva dividere nettamente la cortina di ferro al di qua ed al di là dei due mondi. Quella cortina di ferro fu spezzata in grande stile dalla tournée londinese della compagnia di balletto del Teatro Bolshoi di Mosca nel 1956. In quell’occasione il mondo occidentale scoprì da vicino l’universo sovietico del balletto, giusto in tempo per assistere ai festeggiamenti dei primi cinquant’anni della Rivoluzione d’Ottobre.

La tournée londinese del 1956 segnò dunque la definitiva consacrazione occidentale del balletto sovietico, riconoscendone all’unanimità i meriti indiscutibili e grandiosi della scuola e dell’arte coreutica. Ci furono anche trattative per uno scambio tra “La fille mal gardée” di sir Frederick Ashton ed il “Romeo e Giulietta” di Leonid Lavroskij che però dal Cremlino fecero sapere di non gradire. E’ poi nota la versione british del titolo di William Shakespeare a firma di Kenneth McMillan che ha poi spopolato i palcoscenici di tutto l’Occidente, quasi a dispetto di quella trattativa fallita. Ma nel frattempo oltre quella cortina di ferro nasceva il vero balletto d’ispirazione sovietica, nel nome di Leonid Jakobson e con il titolo de “La Cimice” del 1962 che segnava evidentemente il nuovo repertorio made in URSS.

Eppure fu Jurij Grigorovic a destabilizzare l’intero movimento sovietico del balletto, esattamente sei anni dopo quella poco edificante cimice di Leonid Jakobsen. Con lo “Spartacus” d’ispirazione imperiale ed antischiavista, la Rivoluzione d’Ottobre compiva il suo definitivo salto di qualità. Qui Spartaco rappresentava davvero il fermento rivoluzionario, anche se ben oltre i tempi prestabiliti, per portare in scena un balletto dal forte impatto politico. La chiave di volta dell’intero volume e delle ricerche di Christina Ezrahi sta dunque proprio intorno a “Spartacus”: fu davvero il vessillo sovietico della Rivoluzione o, al contrario, fu il mezzo creativo del balletto che fronteggiava la tentata manipolazione del balletto stesso? Probabilmente “Spartacus” fu il vessillo di entrambe le posizioni, tuttavia i risultati salienti di quest’immane operazione storica risiedono nel fallito golpe sovietico al mondo della danza che ha saputo intelligentemente resistere e rispondere ad armi più che pari. E se anche in epoca sovietica fu deciso che Sigfried non dovesse più perdere al cospetto di Rothbart, è anche vero che Romeo non fu mai salvato da fra Lorenzo, com’è giusto che fosse!

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