Quando mi trovo di fronte ad allievi che manifestano il desiderio di fare della danza il proprio lavoro, in qualità di formatore sento un enorme senso di responsabilità nei loro confronti. Non solo perché si aspettano da me che io gli trasmetta tutto il bagaglio di cui sono a conoscenza, cosa che cerco di fare sempre con tutti, amatori e non, ma soprattutto perché so che quando arriverà il momento di separarci, affinché possano proseguire gli studi, gli si parerà davanti un tale vuoto che si vedranno costretti a volgere altrove il proprio sguardo. La danza è nomade, una viaggiatrice per definizione, chi la sceglie come compagna sa già che lo attenderà una vita con la valigia sempre in mano, a caccia di ingaggi e audizioni o anche solo per portare il proprio lavoro in tournée. Una volta gli artisti erano dei personaggi un po’ ai margini, sempre spiantati e senza il becco d’un quattrino, non era raro che riuscissero a far emergere il proprio talento solo perché accolti in strutture istituzionali nelle quali l’accesso allo studio era gratuito. Oggi invece per diventare un professionista dello spettacolo dal vivo devi disporre di un fondo cospicuo, poiché una qualsiasi scuola di formazione parte da un costo base di diverse migliaia di euro all’anno, e quindi la morale di questa triste favola è che non tutti coloro che nutrono sogni e hanno talento possono dare corpo a questo desiderio. Ormai avere sulla carta un percorso in una delle scuole blasonate in giro per l’Europa e per il mondo, è un biglietto da visita importante quando poi ti presenti alle audizioni, soprattutto per quanto riguarda la danza contemporanea, poiché la formazione in cui sei cresciuto come artista dice già molto delle tue competenze e di che tipo di danzatore sei.
Considerando che all’estero ci sono molte più possibilità di studiare gratuitamente, grazie a borse di studio o strutture simili ai nostri conservatori, dove la formazione è ancora a carico dello Stato (sempre che si riesca a superare l’audizione per accedervi), è anche vero che rimangono da coprire i viaggi e la vita all’estero, ossia una parte consistente della spesa complessiva. La danza si comincia a studiare da giovani, a volte da adolescenti, per questo è molto frequente che le famiglie si trovino a gestire non solo le spese per sostenere gli studi coreutici ai propri figli, ma anche l’indotto emotivo nel vederli partire da giovanissimi in queste solitarie avventure, mossi solo da una forte motivazione e tanta forza di volontà. Ogni volta che in Italia si parla di bamboccioni e di mammoni io penso a questo piccolo esercito di giovani danzatori che affronta delle durissime prove fin dalla più tenera età per inseguire un sogno che nessuno può sapere con certezza se diverrà realtà o meno. Io stessa ho fatto parte di questa armata e tornassi indietro rifarei ancora quella scelta perché anche se le cose poi non sono andate come io avevo immaginato nei miei sogni più rosei, almeno posso dire di averci provato con tutta me stessa, e con il senno di poi posso dire di avercela fatta, dal momento che mi guadagno da vivere con la danza.
In Italia non esistono scuole gratuite e statali per la danza, sempre fatta eccezione dell’AND, ed è molto difficile ricevere una formazione che si possa comparare al livello internazionale, per cause che vanno ben oltre le responsabilità individuali e le competenze degli insegnanti, che spesso ce la mettono tutta e si impegnano per cercare di dare il massimo ad ogni occasione. Purtroppo questo riguarda anche il contesto culturale e politico in cui operiamo, tutt’altro che favorevole e accogliente nei nostri confronti e verso il nostro contributo alla società. Tutte le questioni di cui abbiamo parlato in questi anni, qui su SetteOtto: il riconoscimento del nostro come un mestiere, l’assenza di un inquadramento contrattuale, la mancanza di compagnie sul territorio, e di una programmazione che garantisca loro pubblico e date, assenza di un mercato del lavoro, assenza di diritti, paghe misere, quando ci sono. Tutto questo rende il nostro un ‘non-lavoro’ che possono fare solo le persone che se lo possono permettere. Per tutti gli altri professionisti che vogliono continuare a danzare ci sono due vie: o lavorare a queste condizioni e pagarsi le bollette facendo un secondo lavoro, oppure partire e tentare la fortuna altrove, che è la strada che tentano tutti, almeno una volta. Questo chiaramente non invoglia gli studenti a rimanere qui, molti di loro, quelli che possono, vanno a studiare direttamente nei luoghi in cui poi esiste una reale continuità tra la fase di formazione e quella di lavoro, dove magari alla fine del percorso hai in mano una laurea. Tuttavia sento di voler ricordare anche agli studenti che hanno deciso di formarsi qui in Italia, quanto sono fortunati ad avere questa opportunità, invitandoli a cogliere ogni singolo istante di lezione come qualcosa di estremamente prezioso, perché per ognuno di loro ci sono molti altri ragazzi che si vedranno costretti a rinunciare ai propri progetti di danza, a causa della questione economica. Credo che il libero accesso allo studio di alto livello, per tutti i meritevoli, dovrebbe essere un obiettivo comune per migliorare la qualità del lavoro: allievi promettenti e talentuosi richiedono insegnanti competenti e motivati, e questo forse potrebbe risollevare le sorti della danza, da sempre ‘cenerentola delle arti’, nel paese che non solo è stato la culla del Rinascimento, ma che ha dato i natali al balletto, e quindi ha dimostrato una certa sensibilità nei confronti della creazione artistica. Mi chiedo: come mai in Italia esistono tanti conservatori e solo una scuola di danza riconosciuta e gratuita?