Siamo appena entrati nell’anno nuovo ma non possiamo dimenticare quanto visto sulle scene del Teatro dell’Opera di Roma in questo 2016, soprattutto perché considerato a destra e a manca un anno di svolta legato alla nomina della direttrice Eleonora Abbagnato. Una direzione artistica che si è da subito dichiarata aperta al cambiamento ma, al contempo, alla strenua difesa della tradizione classica del comparto danza capitolino. Si leggono in quest’ottica i titoli rappresentati lungo l’anno solare appena scorso, con una miscellanea di balletti utile a soddisfare le esigenze del pubblico per fidelizzarne lo zoccolo duro ed aprirsi a nuovi spiragli di giovani e curiosi. Una maniera di intendere l’universo della danza al Costanzi magari non nuovo ma, certamente, dotata di un nuovissimo e più redditizio appeal griffato dalla bellissima Eleonora Abbagnato. Si è scritto da più parti della forse troppa sudditanza ai titoli ed ai personaggi del Teatro dell’Opéra di Parigi, giocando con l’accento francese da aggiungere all’occorrenza anche alla vocale romana, giusto per restare ancorati al passato ed al presente dell’étoile/direttrice palermitana. Del resto questo doppio incarico non aveva accontentato proprio tutti, anche perché le sue esibizioni qua e là avrebbero potuto togliere spazio alle giovani stelle emergenti del Teatro dell’Opera con tutto quello che ne consegue.
E noi eravamo lì ad osservare, proprio a cominciare dalle rappresentazioni de “Lo Schiaccianoci” dello scorso Natale, coreografato allora come in questi giorni da Giuliano Peparini con un inaspettato successo di critica e pubblico con incassi da record. Un inizio niente male per la giovanissima neo-direttrice, costernato dalla nomina a prima ballerina di Rebecca Bianchi, quasi a voler smentire radicalmente le voci di un etoile/direttrice con l’asso pigliatutto tra le dita. Quello “Schiaccianoci” era ed è oggi un titolo classico ma rivisitato in chiave moderna da un coreografo non classico: un mix vincente che, a giusta ragione, è stato riproposto con risultati altrettanto gratificanti. Il secondo step del 2016 è stato invece appannaggio di una serata con ben quattro coreografie tratte dal repertorio di George Balanchine (“Serenade” di Piotr Ilich Ciaikovskij), Benjamin Millepied (“Closer” di Philip Glass), William Forsythe (The vertiginous thrill of Exactitude” di Franz Schubert) e Rudolf Nureyev (“Raymonda” di Alexandre Glazunov) con l’inequivocabile titolo di “Grandi Coreografi” allestito per galvanizzare i giovani emergenti della compagine ed educare oltremodo l’appassionato pubblico del Costanzi.
Giusto in tempo per portare in scena il capolavoro “Le Parc” di Angelin Preljocaj sullo spartito di Wolfgang Amadeus Mozart, coreografo evidentemente amato da Eleonora Abbagnato che ha offerto grande smalto al repertorio con un ensemble capitolino sempre più ricco di titoli e coreografi ospiti. L’estate nella residenza di Caracalla non ha portato grandi novità al repertorio stesso, proponendo titoli buoni per tutte le stagioni ma soprattutto per quella estiva con l’immensa gioia delle casse del soprintendente Carlo Fuortes che con la “Serata Nureyev” ed il consueto “Roberto Bolle & Friends” ha fatto luccicare gli occhi degli appassionati con una carrellata di titoli ottocenteschi quali “Il lago dei cigni” di Piotr Ilich Ciaikovskij, “La Bayadere” di Ludwig Minkus ed il terzo atto di Raymonda. L’estate è andata via con un bilancio parziale più che soddisfacente, salvo le remore dei tradizionalisti e degli oltranzisti del repertorio classico. Del resto anche al Teatro dell’Opéra di Parigi ed al Teatro Alla Scala di Milano si segue il solco dell’alternanza tra classico e contemporaneo, sia per svezzare i corpi di ballo che per emancipare gradualmente il vecchio pubblico e conquistarne uno nuovo di zecca. Tentativi che non sempre funzionano ma che, a maggior ragione, necessitano di titoli pensati ad hoc e coreografi capaci di scardinare le resistenze più prevenute ed ostili al cambiamento.
E così la seconda parte dell’anno solare si apre con un titolo che pare voglia andare incontro proprio ad entrambe le frange, ovvero quella degli innovatori e dei tradizionalisti. Il titolo va bene soprattutto ai secondi, con “Il lago dei cigni” di Piotr Ilich Ciaikovskij che garantisce un’appartenenza al repertorio romantico così caro al Costanzi ed ai ballettomani di lungo corso. Però Eleonora Abbagnato strizza l’occhio anche agli innovatori, intenta com’é a rinverdire non solo anagraficamente la sua compagnia ma, soprattutto, allargarne le maglie del repertorio ed allungarne oltremodo gli spiragli vero un orizzonte che vada molto al di là delle Alpi. Se è verissimo che la direttrice ha un cordone ombelicale troppo parigino è altrettanto vero che sta spingendo forte sull’acceleratore del repertorio contemporaneo per i suoi baldi giovani con risultati che, probabilmente, si apprezzeranno in un futuro più remoto che prossimo. Ed “Il lago dei cigni” di Christopher Wheeldon è la chiave di volta. Dopo i successi statunitensi del giovane coreografo britannico, ecco che il suo esperimento lacustre da un milione di dollari diviene ben presto l’esperimento romano di Eleonora Abbagnato che si spinge con il titolo ma non con la coreografia, lasciando ancora tempo al suo ensemble per entrare nel novero delle grandi compagnie di balletto. Un’operazione sagace, mirata soprattutto a non rischiare di perdere terreno con alcuna frangia ed a far divertire i propri ragazzi con Piotr Ilich Ciaikovskij e la versione lacustre del rampante Christopher Wheeldon. Questa bella occasione è poi diventata magica per Alessandra Amato, ballerina amata da queste parti e nominata etoile proprio con il titolo che fu di Marius Petipa e Lev Ivanov.
Per poi tornare al sicuro con Giuliano Peparini ed il suo “Schiaccianoci” di sicuro successo, apripista però di una prima assoluta al Teatro dell’Opera, ovvero “Il Pipistrello” di Roland Petit sullo spartito di Johann Strauss j. La bellissima idea è stata la rappresentazione la sera del 31 dicembre con il titolo musicato da Strauss con evidente richiamo al Concerto di Capodanno di Vienna notoriamente dedicato ed incentrato sugli spartiti dei compositori della famiglia Strauss. Qui Luigi Bonino ha sapientemente riproposto la coreografia sulle corde capitoline, scoprendo un ensemble capace di cogliere al volo i nuovi contenuti impartiti con rappresentazioni briose proprio come il libretto pretende. In questa occasione più che in altre, Eleonora Abbagnato ha scoperto di avere a disposizione una compagnia versatile ma su cui cucirne addosso un repertorio classico più rigoroso, così da accontentare finalmente anche i più attempati criticoni del loggione.
Crediti fotografici: Yasuko Kageyama, Fabio Lovino