Il Lago dei cigni di Nureyev al Teatro alla Scala: il successo dei due primi cast

di Nives Canetti
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Risentendo alla Scala già solo le prime note del “Lago dei cigni”, come non dare ragione a Nureyev quando disse che il vero Rothbart del Lago è Tchaikovsky? Ci strega, ci porta in un’altra dimensione, sempre doppia, malinconica tragica struggente ma anche ammaliante seduttiva, perfida. Mai come in questo caso, la musica sublime guida l’interpretazione e segna la strada alla danza in modo totalizzante e coinvolgente. E quest’anima doppia di Tchaikovsky e del suo Lago, Nureyev l’ha resa al suo massimo rispetto a tutte le versioni precedenti: la contrapposizione di Odette a Odile, ma anche Rothbart che si riflette nel precettore Wolfgang, la malinconia potente del principe, un po’ amletico, che posto davanti all’obbligo di sposare una donna si rifugia nel sogno di amare un cigno bianco e in questo sogno irrealizzabile soccombe per colpa di un reale cigno nero. (Viene in mente il triste matrimonio “dello schermo” di Tchaikovsky).

Ricordo che quando questo Lago comparve alla Scala a non tutti piacque subito, anzi, probabilmente perché rispetto alle versioni più prettamente favolistiche precedenti, Nureyev propose una lettura che da alcuni fu percepita come un attacco di egocentrismo. In realtà con la sua operazione iniettò modernità in un capolavoro classico mantenendolo tale nella forma ma con un’introspezione assolutamente nuova, quasi da drama ballet, scavando nella psiche dei personaggi e rendendo il libretto ancora più universale e apprezzabile ai giorni nostri. È noto poi quanto Nureyev abbia centralizzato la figura del principe sia in termini drammaturgici che coreografici e quanto questo abbia partecipato a far evolvere la danza maschile anche nel classico, mentre al contempo Béjart lavorava nella stessa direzione ma su altri binari.

Due i cast che sono riuscita a vedere: Manni, Andrijashenko e Agostino come Rothbart alla prima rappresentazione, e Arduino, Coviello e Fagetti alla quarta il 20 settembre.

Nicoletta Manni è stata una vera Regina dei cigni: elegantissima quasi irraggiungibile ma al contempo appassionata, una Odette dalle braccia mai esagerate: forse siamo abituati a più svolazzamenti, qui non c’erano. E la sua Odile era più seduttiva che perfida, con una sicurezza tecnica ma anche interpretativa che la porta a livelli davvero molto alti. Manni ha sicuramente affinato nel tempo il lavoro sugli accenti calibrando la velocità dei passi per arricchire l’interpretazione: splendide le chiusure dei giri in attitude en dehors della variazione, sfidando il pubblico dritto negli occhi. Timofej Andrijashenko è un bellissimo principe, tecnicamente preciso, qua e là con qualche esitazione nella tenuta delle posizioni e splendido in partnership con la Manni. Marco Agostino ha reso un Rothbart malvagio e sottile, precettore subdolo e credibile nel primo atto, pulito nella variazione del terzo atto.

Martina Arduino restituisce un’Odette più morbida, molto lavorata nelle spalle, nel busto e nella schiena e la sua intesa con Coviello è stata molto bella, romantica e piena di abbandono. Odile è qui più perfida che seduttiva, e la sua intesa con Rothbart è diabolica.

Claudio Coviello, che ha ballato questo ruolo per la prima volta dieci anni fa, ha fatto suo il malessere profondo del principe di Nureyev. La sua danza parla da sola, ed è costellata di piccoli particolari espressivi che rendono viva e credibile l’azione. Ormai ha un suo modo personale di interpretare qualsiasi stile, unico e riconoscibile. Il suo assolo del primo atto è struggente: le sospensioni, il legato, l’uso della testa e l’esecuzione delle “svisature” tipiche di Nureyev rendono perfettamente l’inquietudine del personaggio, addolcendo certe stranezze e asperità della coreografia. Christian Fagetti ama il ruolo di Rothbart infinitamente e si vede, lo ha affinato nel tempo. La manipolazione della mente del principe nel primo atto è strisciante anche nelle controscene durante il valzer e la polacca. Sicuro nella variazione del terzo atto e mai esagerato.

Di rilievo il pas de trois di Navrin Turnbull, Linda Giubelli e Alessandra Vassallo, leggero, brillante, spensierato, sempre in levare, belle elevazioni di tutti, variazioni femminili difficilissime ma rese con grazia (mi hanno ricordato un po’ Lehznina e Ivanova nella versione del Kirov).

Le coreografie dei gruppi di Nureyev sono sempre difficilissime e molto articolate nei tempi e nei movimenti (ogni tempo un passo) e nell’arco delle due serate il corpo di ballo si è ben assestato, soprattutto quello maschile nella Polacca. Ricordo che alla Scala la Polacca di Nureyev fece scalpore la prima volta che andò in scena perché ballata solo da maschi non si era mai vista e fu interpretata un po’ come una forzatura. Oggi è molto apprezzata, splendida con i quattro gruppi di quattro ragazzi che si incrociano su tempi diversi, un impianto coreografico che richiede la massima precisione alla compagine maschile. La sera del 20 questa precisione c’è stata al di fuori di una falsa partenza che l’ha resa anche più umana.

Fluide e precise le coppie del valzer, splendidi i cigni nell’atto bianco di Ivanov anche se con qualche disomogeneità nelle altezze, una menzione speciale ai quattro cignetti veramente identici e perfetti (Agnese Di Clemente, Giordana Granata, Marta Gerani e Linda Giubelli), brillanti le danze di carattere del terzo atto. Sarà che ho un debole per la danza napoletana perché la ricordo ballata con una verve infinita da Bruno Vescovo nella versione di John Field con Rosalia Kovacs, Anna Maria Grossi e altre partner, ma mi piace nominare le due fresche e brillanti coppie Linda Giubelli e Federico Fresi, Denise Gazzo e Rinaldo Venuti. Da segnalare anche Agnese di Clemente, Andrea Risso e Domenico di Cristo, visti solo in prova.

E poi lascio per ultimo il mio amatissimo quarto atto, capolavoro di Nureyev, forse una delle sue vette più alte. Un passo a due disperato su un brano tratto dal pas de six del terzo atto raramente usato introduce la tragedia finale, in cui il principe vede svanire Odette con Rothbart come aveva sognato all’inizio del balletto. Ma soprattutto viene posta al centro dell’atto la danza dei cigni che si snoda attraverso ricami coreografici assolutamente unici. Corpo di ballo a livelli eccelsi. Spero che questo atto su Scala TV venga ripreso dall’alto per mostrare i disegni che il corpo di ballo esegue simulando le onde del lago e lo stormo di cigni in volo.

Spettacolo a livelli artistici molto alti, con un corpo di ballo che si amalgama sempre di più e solisti davvero eccellenti. Ottima direzione di Koen Kessels con l’orchestra giovane dell’Accademia che cresce recita dopo recita ma, pur comprendendo le problematiche di programmazione, forse il corpo di ballo della Scala si meriterebbe l’orchestra principale.

Questa settimana si vedrà ancora la coppia Jacopo Tissi con Olga Smirnova (26 settembre), mentre i nostri Alice Mariani e Mattia Semperboni hanno ballato il 21 e il 23 .

Il 27 settembre su Scala Tv ballerà l’ultimo cast, Maria Celeste Losa e Navrin Turnbull, giovani solisti della compagnia al debutto. Va visto: https://lascala.tv/it/evento/94e62f3f-ab0a-4f88-b22c-30795401177e/

Poi la compagnia andrà in trasferta al Teatro Lirico di Cagliari per altre 7 recite dal 3 all’8 ottobre con la direzione di Kevin Rhodes: https://www.teatroallascala.org/it/stagione/2022-2023/tournee/cagliari/tournee-corpo-di-ballo-il-lago-dei-cigni-ottobre-cagliari.html

Prossimo balletto in cartellone, Onegin.

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