Il mondo dello spettacolo pagherà un caro prezzo a causa della BREXIT

di Susanna Mori
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Da quando, il 1mo Gennaio 2021, mi sono improvvisamente svegliata, nella mia casa londinese, con lo status di “extra-comunitaria”, ogni giorno la mia è diventata una vita in salita.

Come se non bastasse il COVID-19, Brexit impatta in molti modi la vita di tutti noi che abitiamo sull’isolona (come chiamo io la Gran Bretagna) e non passa giorno che io non lanci feroci anatemi contro coloro che hanno votato “sì” per lasciare la Comunità Europea.

Oltre 500.000 europei, di cui più di 20.000 Italiani, se ne sono già andati dal Regno Unito e altri si stanno organizzando per seguirli.

Dopo molti tentennamenti, molti nostri connazionali hanno preso la (saggia) decisione che “è meglio essere affamati in patria terra che in territorio straniero”. E come dar loro torto? Dai super dazi imposti per la merce che viene (inevitabilmente) importata dall’Europa, alla mancanza di cibo fresco che, a causa dei ritardi doganali, arriva sui punti di scarico già avariata, i britannici (ed io con loro) si vedono costretti ad uno slalom giornaliero per poter comprare a prezzi ragionevoli quello che fino a ieri conseguivano senza troppo sforzo.
Immagino questo sia il bello di vivere su un’isola estraniata dal resto del mondo, ma rimane comunque un fatto piuttosto strano se si pensa che stiamo parlando della Gran Bretagna e non di un’isoletta nel mezzo del Pacifico.

Io, che ho sempre ritenuto il grande Amazon un amico-nemico da usare con cautela, mi ritrovo adesso a venerarlo e a rivolgermi a “lui” con la speranza del naufrago in cerca di un passaggio sicuro.

In questo allegro panorama, non poteva certo mancare la ripercussione che avrebbe ricevuto il mondo della danza a seguito della scelta illuminata di Brexit.

Nei giorni scorsi Julian Bird, rappresentante dei sindacati SOLT e UK Theatre, ha rilasciato un’intervista dove rivela che, nonostante la continua collaborazione che, negli ultimi 4 anni, li ha visti lavorare a fianco del governo inglese, le loro proposte non sono state incluse nell’accordo di libero scambio con l’Unione Europea.

In pratica, Bird afferma che fino ad ora (cioè poche settimane fa, ndr) le conseguenze di Brexit nei confronti del mondo dello spettacolo britannico non fossero chiare e quindi “…ora che l’accordo di libero scambio con l’Europa è stato concluso e stiamo comprendendo cosa significhi concretamente, vogliamo lavorare con il governo e le controparti europee su altri meccanismi che possano salvaguardare la storica reputazione del Regno Unito quale esportatore di teatro di qualità e incoraggiare i colleghi Europei a collaborare con noi”. Julien Bird rivela infatti che, guardando i mesi futuri del 2021 e 2022, sono già arrivate cancellazioni di spettacoli, con profitti e posti di lavoro che lasciano il Regno Unito in favore dell’Europa.

Uno dei maggiori problemi è rappresentato dalla disomogeneità delle politiche d’ingresso nei Paesi Europei.

Il discorso è molto semplice: in ossequio al principio di reciprocità che regola i rapporti internazionali, la decisione del Regno Unito di bloccare la libera circolazione degli Europei sul suo territorio, ha portato la UE ad adottare le stesse misure nei confronti degli abitanti di Sua Maestà, qualora questi vogliano entrare in uno dei ventisette paesi europei.

Il consorzio sindacale formato da UK Theatre, SOLT, ABO, One Dance UK, ISM e UK Music afferma che: “A causa di Brexit, le diverse politiche in termini di visti e permessi di soggiorno in tutta Europa stanno creando grave incertezza. Chiediamo che il governo riveda le politiche in tema di soggiorni brevi nel Regno Unito e raggiunga un accordo con l’Europa per superare tali limitazioni che influiscono gravemente sulla già grande precarietà degli artisti e del mondo dello spettacolo”.

Da non sottovalutare poi il fattore “trasporto”. Dal 1mo Gennaio 2021, ogni volta che troupe, attrezzature e merci varie (essenziali per la buona riuscita di uno spettacolo) passano la dogana, sono sottoposte a visti d’ingresso e dazi doganali esosi (e ridicoli) che creano ulteriori problemi al fluido movimento del settore.

In sostanza quindi, i sindacati britannici chiedono al proprio governo “di garantire un’esenzione per questi prodotti, nonché aiuti economici per bilanciare i nuovi costi e le perdite accumulate, così come è avvenuto per il settore della pesca”.

Insomma, un altro esempio dove si vede che è una pura illusione (o meglio idiozia) pensare di poter essere felici a scapito del nostro vicino.

Mala tempora currunt, direbbe mio padre.

Sed peiora parantur, aggiungo io.

Concludo con l’augurio a tutti noi di buona fortuna perché, a parte sporadici casi senza speranza, ci stiamo ormai rendendo conto che senza teatro, senza arte e senza danza, siamo TUTTI un pò più soli e molto, molto più tristi.

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