Il processo di Cannito in scena al Teatro Nuovo di Torino. Brescia e Gravina splendide interpreti

di Francesco Borelli
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Esistono storie che, seppure raccontate e tramandate nel tempo, ti accorgi, magari una sera seduto sulla comoda poltrona di un teatro, di non conoscere affatto. O meglio, ti rendi conto che mancava un punto di vista capace di regalarti una visione d’insieme più completa e, forse, veritiera. “Carmen, Medea, Cassandra, il processo” del maestro Luciano Cannito è andato in scena lo scorso week end presso il Teatro Nuovo della città di Torino. Una vera e propria dichiarazione se non d’amore, di comprensione e affetto verso donne il cui unico dramma è stato quello di amare e di averlo fatto profondamente. Le protagoniste, accanto a un bravissimo Josè Perez e all’attore Gennaro Di Biase, sono Vanessa Gravina e Rossella Brescia.

Vanessa Gravina è brava e intensa. Splendidi occhi, ha una voce potente e la sua recitazione è perfetta; diretta e drammatica non desidera il perdono ma il riscatto. Vanessa si muove sul palco con la forza di un uomo e l’agilità di un felino arrabbiato e le sue parole commuovono e ti trafiggono con la forza di mille spade.

La danza, invece, è tutta di Rossella Brescia. Dimenticate la ballerina televisiva con abiti succinti e tacchi alti. Qui la Brescia è danzatrice a tutto tondo. Gambe interminabili e linee "da Zakharova". Piedi e braccia che raccontano la tensione e la passione dei personaggi che sta, senza ombra di dubbio, vivendo con totale immedesimazione. Equilibri e arabesque che toccano il cielo. Un continuo esibirsi in passi a due all’ultimo respiro in cui tecnica, bellezza e passione si coniugano senza tradire l’uno o l’altro aspetto. Precisa nei passaggi più complicati, sicura come solo una danzatrice di grande esperienza può essere, la Brescia regala a Carmen, Medea e Cassandra una voce fatta di sudore e gambe. Una voce intensa e fiera, capace di arrivare anche all’ultimo spettatore, rapendolo e trascinandolo in storie di donne che meritano di essere raccontate.

La bellezza dello spettacolo sta in un intreccio geniale, costruito con astuzia e talento dal maestro Luciano Cannito il quale regala alle sue eroine la possibilità di riscattarsi da secoli di racconti che le vogliono infedeli, assassine, infanticide e visionarie. Rimangono le colpe. Ma le sue donne hanno amato. Qualcuno ha mai realmente parlato dell’amore? Ha raccontato con parole femminili le motivazioni che hanno indotto queste protagoniste della letteratura di tutti i tempi ad agire in modo efferato, a compiere delitti atroci e a rendersi colpevoli per sempre? Cannito non le giustifica ma regala loro un “processo” che non è mai avvenuto. Queste donne, carnefici certo, ma vittime al contempo di efferate logiche maschili, non sono solo archetipi senza tempo, non appartengono solo alla mitologia ma vivono OGGI, con altri nomi e altri volti. Carmen è a Lampedusa tra sbarchi di migranti e mercanti di carne umana. Medea è vittima di un interrogatorio senza possibilità di replica in cui rivendica tutti gli altri delitti commessi per amore di Giasone. Ma si sa i delitti non sono tutti uguali. Cassandra rivive nella Sicilia degli anni cinquanta; vittima del non ascolto e del potere tutto maschile, la Cassandra di Cannito è testimone di un nuovo cavallo di Troia che entra subdolamente nelle nostre case: la TV.

La danza è ascoltata, le parole viste. Prosa e balletto si sposano perfettamente, elementi complementari l’uno dell’altro. La danza racconta attraverso parole in movimento, le parole danzano e si librano leggere e incisive in maniera descrittiva e d’impatto. Il processo di Cannito è un atto d’amore, pieno di rabbia e grazia. Una denuncia più che mai attuale dell’indifferenza, della solitudine e del dolore di tutte le donne di oggi vittime di violenza e abbandono. E’ bello pensare che proprio un uomo sia riuscito a regalare una voce così potente e delicata insieme a problematiche tutte femminili. Da vedere.

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