L’argomento di oggi riguarda un aspetto che dovrebbe essere sempre preso in considerazione dagli insegnanti di danza o da chiunque pratichi discipline corporee come conduttore, ossia l’utilizzo del tocco come strumento di facilitazione nell’apprendimento del movimento.
Da quando ho cominciato a seguire formazioni che esulano dalla danza in senso stretto, prima con la biodinamica craniosacrale e poi con lo yoga, ho potuto apprezzare quanto la qualità del tocco possa fare la differenza nella trasmissione di informazioni non verbali, e di quanto noi esseri umani siamo suscettibili a questo tipo di comunicazione, vulnerabili ad essa, oserei dire. Ho sempre pensato che la mente può ingannare ma il corpo non mente mai, per questo sono convinta che dalla qualità del tocco di un insegnante si capisce molto più di quello che mille parole possono raccontare, riguardo alla sua strategia di vita, la sua visione del proprio lavoro, e l’amore che nutre verso sé stesso. Gli allievi percepiscono tutto questo a qualche livello, anche se a volte non ne sono proprio coscienti, per questo dobbiamo stare molto attenti alla nostra presenza quando agiamo su di loro attraverso il tocco, per essere coerenti nel veicolare le informazioni, integrando tocco, parole e intenzione.
Durante lo sviluppo della vita in utero, dalla regione che ospita il grande cuore embrionale, più o meno durante la quarta settimana di gestazione cominciano a spuntare i due abbozzi di quelle che poi diventeranno braccia e mani. Toccare qualcuno, visto da questa ottica, diventa un atto di intima connessione con un altro essere. A noi non rimane che scegliere se farlo ascoltando questa antica connessione, oppure lasciandoci condizionare da tutte le corazze che attorno al cuore sono poi state costruite dall’esistenza stessa, da tutte le esperienze che attraverso il tocco hanno provocato in noi emozioni drammatiche, da tutti i condizionamenti sociali che ci fanno assumere un certo atteggiamento autoritario quando copriamo il ruolo di guida, ma anche da come i nostri insegnanti ci hanno trasmesso la danza quando siamo stati allievi e da molto altro ancora.
Nella mia esperienza ho notato quanto l’utilizzo del tocco può essere addirittura dannoso quando non viene praticato con le giuste premesse, ma anche quanto non sia per nulla scontato che a tutti piaccia riceverlo. Mi è capitato molte volte, infatti, di sentire il corpo di un allievo irrigidirsi sotto alle mie mani o percepire l’innalzarsi di muri invisibili anche solo ad un mio semplice avvicinamento con l’intenzione di toccare. Bisogna imparare ad ascoltare questo genere di segnali per poter andare incontro alle necessità di chi ci sta di fronte. Non conosciamo la storia personale degli allievi, non sappiamo se e quanto essere toccati, per loro, possa rivelarsi un’esperienza percepita come troppo invasiva o addirittura violenta.
Io stessa ricordo ancora ogni schiaffetto, strattone o graffio che i miei insegnanti mi hanno inferto, e le parole o gli sguardi che hanno accompagnato quel gesto, certo senza avere la volontà di violare la mia persona, ma solo a causa di una atavica ignoranza che affligge la nostra categoria. Uso questo termine nel senso letterale e non come giudizio: un’ignoranza che spesso trova la sua origine in questo immaginario terribile che ruota attorno alla danza classica, alimentato anche da certe brutte trasmissioni televisive, in cui sembra che gli insegnanti debbano per forza essere dei mostri a due teste per poter assurgere allo status di ‘Maestro’. I miei ricordi riguardo ai tocchi indelicati che ho ricevuto durante la mia lunga formazione non sono di certo dovuti al dolore fisico, poiché per fortuna non ho incontrato insegnanti così poco amorevoli da farmi male sul serio, ma sono legati a doppio nodo alle emozioni che ne sono scaturite, che mi sono rimaste appiccicate addosso come l’etichetta di un prezzo che, si presume, tutti debbano pagare per danzare.
Il tocco di un insegnante è un’arte che dovrebbe avere due caratteristiche principali: sapienza e rispetto.
Un tocco sapiente è quello dell’insegnante che conosce non solo l’anatomia ma anche le fisiologia del movimento, e che è in grado di individuare, volta per volta, il luogo preciso in cui un dato tocco, dato con la giusta qualità, intensità e intenzione, può stimolare la corretta azione da fare. Per esempio, per facilitare la tenuta della gamba alla seconda, si può usare una mano per sostenere e proteggere il ginocchio e l’altra per accompagnare la rotazione esterna stimolando la propriocezione dei muscoli rotatori del femore, anziché afferrare il piede per tentare di ruotare la gamba, creando una condizione conflittuale per il ginocchio.
Un tocco rispettoso è quello di una mano che accompagna e facilita, senza mai punire. Che sostiene senza mai giudicare. Che accoglie senza mai forzare.
Negli ultimi anni ho preso l’abitudine di non toccare mai alla prima volta che un allievo partecipa alla mia classe. Se percepisco nervosismo o tensione anche nelle successive, quando mi avvicino, allora chiedo il permesso verbalmente, per essere sicura che sia pronto a ricevere il contatto, cercando di essere il più accogliente possibile. Vi assicuro che anche avendo questa estrema cura, rispetto e amore verso la persona che è ha scelto di venire a studiare da noi, questa riesce a migliorare tecnicamente e artisticamente.