Nasci a Napoli e all’età di quindici anni entri alla scuola di ballo del Teatro San Carlo. Ci racconti gli anni della scuola?
Sono stati anni belli e importanti. Caratterizzati da una grande costanza, abnegazione e disciplina. Il valore aggiunto di quel periodo è stato di certo la direzione di Anna Razzi, la quale ha saputo insegnare a noi allievi non solo la tecnica ma anche il senso profondo di questa professione e la capacità di affrontare il mondo del lavoro.
Che direttrice era Anna Razzi?
Era e rimane una persona colma di passione. Una donna che vive per la danza e la trasmette con entusiasmo, senza risparmiarsi. Una grandissima danzatrice gentile e disponibile e al contempo severa. E’stata una grande fortuna poter godere della sua direzione.
Poco dopo il diploma diventi solista presso il Teatro Massimo di Palermo. Che differenza c’era tra le realtà teatrali di Napoli e Palermo?
Purtroppo al Teatro San Carlo di Napoli ho trascorso solo gli anni della formazione senza avere la fortuna di potervi lavorare. In generale preferisco lavorare all’estero ma nello specifico ritengo che la professionalità del teatro napoletano sia indiscutibilmente maggiore.
Ci racconti la tua personale esperienza nel programma TV “Amici”?
L’esperienza di “Amici” è ormai lontana. Di certo è stato un bel momento ma non credo che oggi rifarei quel tipo di esperienza. Per me “la casa” della danza è il teatro e non la televisione. E poi, i meccanismi e le dinamiche proprie di quel tipo di programma non mi appartengono.
Che cosa è cambiato rispetto a ciò che vedi oggi in televisione?
La televisione è indiscutibilmente uno straordinario canale di comunicazione. Arriva a chiunque. Anche a tantissimi ragazzi che, dopo aver visto la danza in TV, magari decidono di iscriversi a una scuola di danza e studiare. Però, come ho già detto, non condivido le dinamiche proprie dei talent show, e ancora meno che si siede in giuria e giudica i ragazzi.
Nel 2011 entri a far parte dell’English National Ballet. Che cosa ricordi di quel periodo?
L’esperienza all’English National Ballet è stata meravigliosa e formativa. Ho lavorato al fianco di grandi coreografi e danzatori, ho imparato una nuova lingua e mi sono messo alla prova da tantissimi punti di vista. Non dimenticherò mai la premier de “La sagra della primavera” di Mc Millan al London Collisium. Una serata che porterò sempre con me.
Si susseguono tante altre bellissime occasioni di lavoro. Quale porti nel cuore?
I mesi trascorsi al maggio Musicale Fiorentino sono stati davvero belli. Ho avuto la grande fortuna di ballare da solista in produzioni prestigiose: “Sei danze” di Jirì Kylian accanto a Letizia Giuliani, “I quattro temperamenti” di Balanchine con Federica Maine, “Step text” di William Forsythe e molte altre. Ma aldilà dell’aspetto lavorativo, a Firenze ho incontrato persone splendide che tuttora sono dei grandi amici.
Da qualche anno sei testimonial di “Non posso ho danza”. Come e quando è nata questa collaborazione?
Un caro amico conosceva molto bene la fondatrice, Carlotta Pia, e me la presentò. Nacque l’idea di una collaborazione di cui oggi sono estremamente fiero. “Non posso ho danza” è un marchio pensato con grande intelligenza e di certo molto confortevole per i danzatori. Inoltre è un ottimo “dance design”.
Oggi sei danzatore presso l’Israel Ballet di Telaviv. Ci racconti questo periodo della tua vita?
Israele è un luogo bellissimo e mi son trovato molto bene sia da un punto di vista lavorativo che umano. Mi affascinano le persone, il loro modo di vivere e la loro cultura. Inoltre il modo in cui si approcciano al lavoro è molto professionale e puntuale. Al momento mi sono preso una pausa dalla compagnia ma non è detto che non ci torni in futuro.
C’è qualcuno cui devi dire grazie?
Di certo al mio primo insegnante, Michele Villanova. Fu lui a capirmi e motivarmi, credendo in me e regalandomi la fiducia in me stesso di cui avevo bisogno.
Dopo tante esperienze all’estero, torneresti a lavorare in Italia?
Mi spiace molto dire certe cose ma l’Italia è, per quanto riguarda la danza, e non solo, un paese alla deriva. In tanti anni trascorsi all’estero, ho costatato di persona una differenza abissale. Nel nostro paese mancano il rispetto e la cultura della danza. Per noi danzatori non è facile e ci costringono col tempo a cercare fortuna fuori. Mi auguro un giorno, che le cose possano cambiare. In fondo, è sempre il mio adorato paese.