Intervista a Marianna Suriano, prima ballerina del Teatro dell’Opera di Roma

Dalla Scala all’Opera dove, lo scorso giugno, ha realizzato un sogno

di Fabiola Di Blasi
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Cara Marianna, grazie per essere con noi oggi e complimenti per la tua carriera ricca di continui successi. Tu sei milanese e ti sei formata alla Scuola di ballo del Teatro alla Scala. Che ricordi hai di quegli anni?

Sì, vengo dall’Accademia del Teatro alla Scala e ricordo quel periodo con tantissimo affetto, con gioia e anche con un po’ di malinconia perché sono stati anni molto duri ma belli. È stato il periodo in cui mi sono formata, in cui ho imparato la disciplina e l’amore per questo lavoro e ho capito che era quello che volevo fare. Certo, parliamo di anni impegnativi perché, come gli altri ragazzi che hanno scelto questo percorso, non ho avuto un’adolescenza: noi avevamo l’Accademia e poi il liceo serale, lo studio occupava tutto il nostro tempo.

Quando è avvenuto il trasferimento a Roma e come lo hai vissuto?

Appena dopo il diploma ho lavorato sei mesi al Teatro alla Scala e poi sono andata a Roma per un mese (o almeno così doveva essere) perché avendo uno stacco di contratto alla Scala ho colto un’occasione lì. Quel mese si è trasformato in dodici anni! Alla fine, ho preferito rimanere al Teatro dell’Opera dove ballavo già ruoli da solista e principali che mi davano soddisfazione. Sono rimasta volentieri, Roma è una città che adoro.

In questi anni nella compagnia del Teatro dell’Opera, ti sei distinta per tecnica, precisione, eleganza ed interpretazione. Quali sono i ruoli che ti sono rimasti nel cuore e perché

Scegliere il ruolo più bello è dura… In questi ultimi mesi poi, da quando sono stata nominata prima ballerina, ho interpretato davvero molti dei grandi ruoli che ho sempre sognato. Mi definisco una ballerina classica/neoclassica e quello in cui mi vedo meglio è il grande repertorio come Giselle, La Bella Addormentata, Il lago dei cigni… Sono ruoli che sento molto miei.

Photo Fabrizio Sansoni

Ci sono stati o ci sono degli artisti, del presente e del passato, che ti hanno ispirato lungo il tuo percorso?

Alla Scala ho studiato il metodo Vaganova, per tre anni ho avuto un’insegnante russa a cui devo tutto il lavoro sulla parte superiore del corpo come i port de bras… Il mio modello di ballerina è ancora oggi quello russo: Osipova, Zakharova, Novikova… Trovo in loro un’artisticità che in altre scuole manca. In questo momento sto studiando molto, per la parte dei piedi e del basso gamba con, i francesi come Benjamin Pech. È un lavoro totalmente diverso. Quindi ho iniziato a guardare anche le ballerine francesi e il loro modo di studiare. Hanno quello che in gergo si dice “un basso gamba che parla”. Mi ispirano la Guerin, la Guillem…questi grandi nomi intramontabili.

L’aspetto più bello e quello più brutto del tuo mestiere

L’aspetto più bello è sicuramente il fatto che, essendo un’arte, possiamo esprimere noi stessi e vivere tantissime storie: a seconda del personaggio che interpretiamo attraversiamo diverse esperienze. La parte negativa, invece, (che però non è totalmente negativa perché potrebbe essere anche un motivo di sprono) è che non esiste la perfezione. Siamo sempre alla ricerca di qualcosa in più e anche quando si fa uno spettacolo bellissimo, il giorno dopo ci si attacca alla sbarra e si ricomincia da zero. Non c’è un punto di arrivo e questa potrebbe essere sia una cosa positiva che aiuta ad andare avanti, sia negativa perché non puoi dire mai “Sono arrivata!”

Tramite i social lanci spesso dei messaggi di fede. Questa sembra essere una parte fondamentale di te… Ti va di parlarne?

Sì, assolutamente. Sono molto cattolica e credo che ogni cosa, ogni spettacolo che faccio, non sia merito mio. Ho l’abitudine di fare il segno della croce e dire “Signore, pensaci tu”. Le doti fisiche che ho avuto, la passione e tutto quello che ho potuto fare non sono un caso, è grazie a lui. Quindi sì, quando mi capita condivido questo messaggio, pur rispettando chi non crede, perché è una parte fondamentale di me.

Lo scorso giugno, dopo una recita de “Il Lago dei Cigni” in cui interpretavi il ruolo di Odette/Odile, sei stata nominata prima ballerina del Teatro dell’Opera di Roma. Ci racconti le emozioni che hai vissuto e cosa è cambiato dopo questa importante promozione?

Sembra assurdo, lo so, ma non ho ricordi nitidi di quel momento. È successo subito dopo una recita del Lago dei Cigni. Ero contenta, tutto era andato bene e quando sono arrivati sul palcoscenico Eleonora Abbagnato e il Sovrintendente Giambrone, io ero talmente presa dalle emozioni dello spettacolo che non mi sono resa conto, non ho realizzato subito… Era una cosa che desideravo tanto e so di aver pensato “Non ci credo!” Mi ricordo di esser stata molto felice e di aver pianto… Sono ancora profondamente grata per questa nomina.

Da quel momento è cambiato il fatto che ho potuto fare esperienze e ballare tanti ruoli principali che mi hanno fatto sentire più sicura di me. Prima ero cosciente dei miei limiti. Adesso, dopo Odette/Odile, Aurora, Giselle, dopo Il Rosso e il Nero, Lo Schiaccianoci, Il Pipistrello, tante cose diverse, ho capito che davvero con il lavoro e con la testa, non ci sono limiti. Ho capito meglio chi sono. Non è cambiato invece il senso della responsabilità perché quello l’ho sempre avuto. Sono sempre stata una perfezionista. Voglio essere all’altezza del titolo che porto, è giusto anche nei confronti della compagnia che rappresento.

Un consiglio per i giovani che oggi, in un mondo sempre più competitivo e con pochi posti disponibili per lavorare in Italia, studiano danza sognando di farne il proprio mestiere.

I giovani danzatori, purtroppo, stanno vivendo un momento molto difficile. Ci sono ballerini molto bravi che escono dalle migliori scuole d’Italia che rimangono senza lavoro. Le compagnie sono poche, i posti pochissimi. Io per fortuna non ho avuto difficoltà, sono entrata a 19 anni alla Scala e poi all’Opera… Però mi è capitato di avere un periodo di fermo, durante la pandemia, di stare a casa perché non chiamavano gli aventi diritto (non ero ancora stabile) e sono stata fuori dal Teatro per nove mesi che per un ballerino sono tanti. Lì ho capito quello che possono provare i ragazzi che non riescono ad avere continuità. Sicuramente consiglio di non arrendersi mai. Io in quel periodo mi sentivo persa e sì, ho pensato per un momento di lasciare tutto, di intraprendere un altro percorso e iscrivermi all’Università. Ma ho deciso di insistere, mi sono allenata ovunque, anche in mezzo alle campagne quando non si poteva andare nelle scuole di danza. Per questo io consiglio di non arrendersi mai: prima o poi qualcosa arriva.

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