Gabriele Frola: “sono soddisfatto di ciò che ho fatto, e il futuro è tutto da scrivere”

di Francesco Borelli
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Vieni da una famiglia di artisti, i tuoi genitori sono entrambi danzatori. Quanto le loro carriere e la loro influenza hanno condizionato le tue scelte?

Ho avuto la fortuna di crescere in un ambiente in cui si è respirata la danza nella sua essenza più pura, ma ho avuto due straordinari genitori che non hanno mai condizionato alcuna delle mie scelte. Hanno lasciato, a tutti noi figli, una grande libertà.

Ci racconti la tua infanzia vissuta tra pliè e battement tendu?

Credo di avere avuto un’infanzia molto normale. Fino all’età di sedici anni ho pure giocato in una squadra di calcio. Di certo ho trascorso molto del mio tempo all’interno della scuola di danza dei miei genitori e questo ha fatto sì che mi appassionassi alla musica e alla danza. Tra la sbarra e il centro ho però avuto modo di divertirmi e godermi appieno la mia età.

Qual è stato l’insegnamento più grande che ti hanno lasciato i tuoi genitori?

Mi hanno insegnato a non arrendermi mai, a lottare per perseguire un risultato. Non solo nella danza ma anche nella vita.

Ti sei formato presso la scuola dei tuoi genitori per poi scegliere la strada di Amburgo per concludere la tua formazione. Quali sono le differenze tra le scuole italiane e quelle europee?

Dopo l’esperienza ad Amburgo ho trascorso un altro anno in Messico. Io credo fortemente che la cosa più importante sia trovare il maestro giusto e poi, impegnarsi al fine di apprendere nella maniera corretta ciò che ti è trasmesso. Penso dipenda moltissimo da noi, partendo dall’ovvia constatazione che l’insegnante, a monte, sappia fare il suo lavoro.

Attualmente lavori presso il National Ballet of Canada. Hai iniziato come apprendista per poi entrare nel corpo di ballo e infine divenire primo solista. Come sei arrivato in compagnia?

Danzavo al Grand Prix de Lausanne, il concorso internazionale cui assistono i direttori delle scuole e delle compagnie più importanti de mondo. Fu lì che il direttore della compagnia giovanile canadese, Lindsay Fischer, mi vide e mi offrì il primo contratto per la compagnia nelle vesti di apprendista.

Hai interpretato ruoli di grande rilievo in numerosi balletti. Quale tra i tanti ti ha maggiormente coinvolto?

Certamente “Nijinsky” e “La bella addormentata”. I ruoli interpretati all’interno di queste coreografie sono stati, per me, un vero banco di prova. E mi hanno permesso di imparare nuovi aspetti del mio carattere e di conseguenza, crescere. Tanto sulla scena quanto nella mia vita privata.

Neumeier, Macmillan, Ashton, Nureyev: hai danzato molte delle loro coreografie. Quale stile coreografico senti che ti appartiene di più?

Non è facile dare una risposta. Ciascuno di loro ha creato coreografie in cui mi sento a mio agio e altre in cui invece non ho potuto esprimere appieno me stesso. Se dovessi scegliere, preferirei Nureyev. Credo che i suoi balletti rispondano più di altri al mio stile.

Sei giovanissimo eppure pluripremiato. Da Cuba a Helsinki fino al Canada hai riscosso “fortuna e gloria”. Ci racconti l’emozione legata a ciascuno dei premi ricevuti?

E’ sempre molto difficile raccontare un’emozione. Soprattutto quando si tratta di sensazioni così fortemente personali. Ciascun premio ricevuto è coinciso però con un momento bellissimo e di grande soddisfazione.

Da tempo sei testimonial di “Non Posso Ho Danza”. Com’è nata questa collaborazione?

Carlotta Pia, fondatrice del marchio insieme al padre Roberto, è stata allieva della scuola dei miei genitori. Ci conosciamo da moltissimo tempo e siamo molto legati. In occasione della nascita di “Non Posso Ho Danza”, Carlotta mi propose di essere uno dei testimonial e accettai felicemente. Credo abbiano creato uno stile divertente, comodo e realmente adatto alla danza.

Perché ritieni che tanti dei danzatori italiani emigrino all’estero per trovare una realizzazione artistica?

L’Italia attraversa un momento davvero difficile. Trovare realizzazione nell’arte e nella danza costituisce un percorso difficoltoso e poco soddisfacente. Ed è un vero peccato. Guardando le numerose compagnie esistenti al mondo ti accorgi che esistono tantissimi ballerini italiani bravissimi e con grandi carriere. Ma hanno dovuto lasciare il proprio paese per dare concretezza ai propri sogni.

Torneresti a lavorare in Italia?

Mi piacerebbe molto ma non credo che al momento ci siano i presupposti. Chissà, forse un giorno.

Come ti definiresti come danzatore?

E’una domanda cui non riesco a rispondere. Io m’impegno al fine di offrire esecuzioni tecnicamente ineccepibili e trasmettere emozioni. Sarà poi il pubblico a giudicare e definirmi.

Così giovane, eppure con una carriera già alle stelle. Cosa ti aspetti dal futuro?

Ho tanti sogni e spero di raggiungerli. Per esempio mi piacerebbe molto interpretare il ruolo di Basilio in Don Quixotte. Di certo, mi sento già estremamente fortunato. Fino ad’ora ho realizzato tanto e il futuro…chissà, è tutto da scrivere.

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