Riccardo Battaglia nasce a Milano nel 1991 e cresce a Pescara dove intraprende lo studio della danza. La sua passione e il suo talento gli permettono di vincere diversi concorsi nazionali e lo portano fino alla “Land of opportunity” dove entra nella compagnia di Alvin Ailey a New York. Tornato temporaneamente in Italia, questo meraviglioso ballerino si racconta oggi ai lettori di Dance Hall News.
Come ti sei avvicinato alla danza?
Potrei dire di aver iniziato prima a ballare che a camminare. A 2/3 anni ero un fan di “Non è la Rai” e di Ambra Angiolini, imitavo tutte le esibizioni del programma. Una vera passione innata. Dopo vari tentativi e lezioni di prova, a 8 anni sono riuscito a trovare una scuola che fin dal primo momento mi ha fatto innamorare della danza, la New Step. Sarà stato che c’erano altri maschietti (è un aspetto che conta) e che adoravo lo stile della mia maestra, Paola Lancioni. Mi divertivo davvero tantissimo! Studiavo modern jazz, mi scatenavo, ero un bimbo felicissimo quando entravo in sala. A 11 anni mi sono avvicinato anche alla danza classica alla quale ho unito in seguito lo studio del tip tap e del contemporaneo, sempre presso la stessa scuola. Dopo aver finito gli studi e aver preso la maturità scientifica con 100 e lode, ho deciso che avrei voluto intraprendere la carriera di danzatore. Cosciente dei miei limiti, sapevo che se avessi voluto raggiungere alti livelli avrei dovuto studiare in un’accademia. Così ho fatto l’audizione per l’Alvin Ailey School ed ho ottenuto una borsa di studio completa. Sono partito subito ed ho perfezionato le mie basi, lì ho studiato danza classica e moderna, specificatamente tecnica Horton e Graham, West African, Jazz americano, Hip Hop ed improvvisazione.
L’America era un tuo sogno o è stata una sorpresa della vita?
Fin da piccolo ho sempre avuto il mito dell’America. I film, i musical e le serie tv ambientate negli States mi hanno sempre affascinato. Sicuramente un contributo è stato dato anche dai video che trovavo online, in particolare del programma statunitense “So You Think You Can Dance”, che all’epoca andava tantissimo e in cui i ballerini erano fantastici e si cimentavano con tutti gli stili. A 17 anni vinsi il concorso Expression a Danza in Fiera e come premio ricevetti una borsa di studio per il corso estivo all’Alvin Ailey. Andai per la prima volta a New York e fu amore a prima vista! Capii subito che volevo trasferirmi in quella città e, come dicevo, grazie alla borsa di studio completa presa in seguito ci riuscii. Quindi era nei miei obiettivi, ma il destino ci ha messo del suo.
Tu sei stato il primo ballerino italiano ad entrare nella compagnia di Alvin Ailey. Che sensazione provi pensandoci? Che accoglienza hai trovato?
Se penso a quel giorno, quando mi ha chiamato Robert Battle (il Direttore della compagnia) in ufficio per offrirmi un contratto, mi commuovo… Era proprio il sogno che si avverava. Ho pianto, riso, un insieme di emozioni mai provate. Ho sperato di danzare con quella compagnia per anni.
L’organizzazione dell’Alvin Ailey per me è stata casa per tutto il periodo vissuto a New York. Sono stato studente nella scuola, ho danzato per la compagnia junior Ailey II, ho iniziato il mio percorso da insegnante ed ho anche lavorato in segreteria per un periodo. Dopo cinque anni di audizioni finalmente ce l’avevo fatta, ero entrato nella prima compagnia! È stata un po’ la chiusura del cerchio di questa mia relazione con l’Alvin Ailey.
Il fatto di essere il primo italiano ha portato un senso di responsabilità, ma anche di orgoglio, che potrò avere con me per sempre.
L’accoglienza è stata fantastica, già conoscevo la maggior parte dei danzatori e facevano tutti il tifo per me affinché mi prendessero. Durante i mesi di tour mi sono legato molto a tutti ed ho conosciuto persone davvero splendide.
Com’era la tua giornata tipo quando lavoravi in compagnia?
Durante i periodi di prova, la giornata iniziava alle 10:30 con lezione riscaldamento di un’ora e mezza. La maggior parte delle volte di danza classica ma in base al repertorio della giornata, poteva variare. Breve pausa e poi si continuava con le coreografie degli spettacoli, fino alle 19:30, con una pausa pranzo di un’ora.
Nei giorni delle performance, sia che fossero a New York o in tour, le giornate partivano un po’ più tardi, intorno alle 12:00/13:00 con prove delle coreografie, sempre necessarie essendo un repertorio molto conosciuto e con diversi cast per ogni pezzo. Prima dello show veniva offerta una lezione di riscaldamento, facoltativa, e pronti con trucco e costume si andava in scena. La giornata finiva verso le 22:00 di solito, a fine spettacolo.
Quali sono stati gli incontri più significativi fatti durante il tuo percorso e perché?
Credo che ogni persona incrociata durante il mio percorso sia stata significativa: le diverse culture e personalità, i valori di ognuno, mi hanno insegnato ad essere ancora più aperto verso il mondo, ad ascoltare il prossimo sempre e comunque.
Tra i più importanti, i miei primi maestri di danza, Paola Lancioni e Americo Di Francesco. I loro insegnamenti sono stati fondamentali per la mia vita e carriera. Un altro incontro speciale è stato quello con Christopher Huggins, insegnante e coreografo americano, conosciuto durante un workshop a Ravenna con IDA danza. Fu lui a dirmi di andare a New York e ad assegnarmi poi la borsa di studio per l’Ailey. Durante gli anni negli States, i miei colleghi nelle varie compagnie in cui ho lavorato, hanno contribuito più di tutti alla mia formazione. Anche ai miei boss per cui ho danzato negli anni, Elisa Monte, Troy Powell, Nick Pupillo, sono molto riconoscente. Ma due persone stupende che voglio citare, sono Matthew Rushing, ora direttore artistico associato dell’Alvin Ailey, persona straordinaria, e Dudley Williams. Mr Williams (1938-2015) era una leggenda della danza, lavorò contemporaneamente con Alvin Ailey e Martha Graham. Non dimenticherò mai quando mi fece una sessione privata di coaching per le coreografie di Ailey “Streams” e l’assolo “I wanna be ready” del capolavoro Revelations.
Mettendo a confronto il mondo della danza o più in generale dello spettacolo in USA e in Italia, quali sono le prime differenze che ti vengono in mente?
Credo che parlando in generale, negli USA ci sia un po’ più esposizione al mondo dello spettacolo dal vivo, soprattutto per i più giovani. Se si prendono in esame le grandi città dove ho vissuto, New York e Chicago, ad esempio, ci sono più licei delle “Performing Arts”. I ragazzi si hanno la possibilità di scegliere una scuola dove fare canto, danza, musica, recitazione a pari passo con le altre materie già dai 13 anni. Sarebbe stupendo poter introdurre questa opzione anche in Italia. Se penso a quanto mi sono sentito diverso, non capito, durante gli anni scolastici, per via della mia passione… Spero in futuro si potrà avere qualcosa di simile anche qui.
Un altro aspetto che ho trovato in America, è lo spirito di quell’American dream che non rimane solo sogno, ma con impegno e lavoro duro può diventare realtà. C’è molta meritocrazia, e non vengono posti mai limiti in base a chi sei e da dove vieni, interessa principalmente vedere cosa sai fare e come lo sai fare.
Appena tornato in Italia, la scorsa estate, hai lavorato ne “Le creature di Prometeo”…
Con Daniele Cipriani ci eravamo sentiti in passato ma non avevo ancora avuto il piacere di lavorare con lui, Sono davvero grato di aver avuto l’opportunità di essere tra i ballerini de “Le creature di Prometeo”, un’esperienza fantastica e speciale, in tutto e per tutto, iniziando dagli incredibili costumi del maestro Roberto Capucci. Ho amato il mio “uccello del paradiso”, è stato veramente un onore poter danzare vestendo una sua opera d’arte. Poi le coreografie di Simona Bucci con cui, sul mio pezzo, c’è stata una vera e propria collaborazione. Mi sono trovato benissimo a lavorare con lei ed ho adorato le sue lezioni di warm up. L’orchestra del Teatro Carlo Felice di Genova, impeccabile. Le due location, fantastiche: il Festival di Nervi ed Festival dei Due Mondi di Spoleto, famosissimo in tutto il mondo, per cui mi esibivo per la prima volta nella mia carriera. E tutti gli altri danzatori con cui ho stretto bellissimi rapporti e con cui ci sentiamo tutt’ora. Era quello che mi serviva in quest’anno in cui mi sono trovato privato del mio lavoro senza preavviso.
Ti abbiamo visto anche in televisione. Per esempio, a settembre 2020 a Tu Si Que Vales in un’emozionante performance che iniziava con un’omaggio a New York…
L’anno passato mi ha donato anche questa esperienza speciale, che è arrivata quando meno me l’aspettavo. In un momento in cui ero fermo ed ero abbastanza giù di morale, ho ricevuto la chiamata dal programma televisivo “Tu Si Que Vales”. Ho pensato quindi di raccontare la mia storia attraverso un pezzo danzato, con la collaborazione di musicisti, percussionisti fantastici. Dal mio arrivo a New York, nella prima parte, al mio sogno che si avvera, la felicità… Poi le delusioni, l’inizio della pandemia e la mancanza di lavoro…finendo con una rinascita. Volevo fosse un messaggio di speranza. Devo dire che in quel momento, avere la validazione dei giudici e conduttori mi ha dato tanta forza per andare avanti. È un ricordo che porterò sempre con me, e mi è piaciuto esibirmi per la tv, l’adrenalina era a mille in studio!
Probabilmente te lo avranno già chiesto ma la domanda, guardandoti, sorge spontanea: non hai mai pensato anche al mondo della moda?
Ti ringrazio! Ho una storia simpatica: appena mi sono trasferito a New York, a 19 anni, preso dallo spirito di iniziativa, sono andato in un’agenzia di moda, senza foto o nulla, pensando funzionasse come nei film “Entro, mi vedono, mi ingaggiano”. Non è andata proprio così haha, mi hanno guardato un po’ strano e mi hanno consigliato di fare qualche provino e di tornare. In più la mia proprietà di linguaggio dell’inglese non era buonissima all’epoca. La mia carriera nella moda è terminata lì, haha. Poi, aggiungo che posare di fronte alla camera non è semplice per me, non riesco a stare fermo. Nessun problema con servizi fotografici e video in cui ballo, però. Infatti mi son ritrovato spesso a lavorare come modello/ballerino, sia per brand di indumenti specifici per la danza che anche per moda in generale.
Oltre all’America, hai lavorato anche in Germania. In che occasione e che ambiente hai trovato?
Non mi sono fatto mancare nulla, sì! Dopo tanti anni in America avevo un po’ il pallino dell’Europa. Negli States si parla molto della danza in Europa e si pensa che tutto funzioni meglio qui. È un po’ il concetto dell’erba del vicino sempre più verde. In un momento in cui ero rimasto senza lavoro da un giorno all’altro (purtroppo succede anche questo per noi artisti), ho deciso di scrivere ad un coreografo con cui avevo lavorato mentre danzavo per “Visceral Dance Chicago”, Kevin O’Day, sapendo lui fosse in Germania. Ho scoperto, così, che sua moglie, Dominique Dumais, era la nuova direttrice del Mainfranken Theater di Würzburg, in Baviera. Uno dei loro ballerini doveva sottoporsi a tre operazioni, e stavano cercando qualcuno che lo rimpiazzasse per i mesi che doveva stare fermo. Dopo una videochiamata ed inviato il mio materiale, con filmati di performance e improvvisazioni, mi è stato offerto un contratto di 7 mesi da ospite che ho piacevolmente accettato. Una nuova esperienza che mi ha fatto crescere molto: ambiente diverso, stile diverso, un tipo di lavoro nuovo, nuova lingua, nuovo tutto. Ho scoperto quanto il mondo del teatro e della danza funzionino bene in Germania, lì è davvero visto come un vero lavoro, sei dipendente comunale o statale, tutelato in tutto. Anche quella penso sia stata una tappa fondamentale della mia vita e carriera, è arrivata in un momento buio in cui avevo il bisogno di un grande cambiamento. Nel mio cuore porto tutti i colleghi. fantastici, sono stato fortunato ad avere conosciuto anche lì persone stupende. In più ho avuto l’opportunità di esibirmi per la prima volta con un musical, Evita.
La tua carriera è stata quasi tutta all’estero e avevi anche già insegnato in America. Ora ti chiedono lezioni in Italia ma, quando sarà possibile, ti piacerebbe continuare a lavorare qui o nel futuro pensi di puntare di nuovo all’estero?
In sincerità, sento che il mio lavoro all’estero non è finito. Vivere in diverse città e cambiare tante realtà, mi ha fatto crescere tantissimo e mi ha aperto la mente. Ho ancora bisogno di questo. Sono un curioso di natura, ho voglia di conoscere il mondo della danza e persone di diversi Paesi. Detto ciò, sto apprezzando davvero tanto questo anno passato in Italia, mi sto riconnettendo con la mia terra e questa cosa mi piace molto. In più sto mettendo delle basi per un futuro a livello lavorativo. Mi piacerebbe un giorno poter conciliare le cose viaggiando spesso tra America, Italia e il resto del mondo, perché no.
Come pensi che usciremo da questa situazione? Pensi che in Italia il settore sarà schiacciato o che nasceranno nuove opportunità?
Credo che appena si potrà, si tornerà a creare spettacoli come prima, la scorsa estate ne è un esempio. Tante nuove produzioni hanno già inventato palchi speciali, spazi appositi con pubblico distanziato ecc. che rimarranno comunque un’astuta aggiunta alle modalità di fare spettacolo. Inoltre, nonostante l’arte dal vivo sia un’emozione unica ed irripetibile, ora ci sono tutte le opzioni virtuali che hanno preso piede, che secondo me continueranno ad esistere, sia nelle lezioni che nelle performance. Cosa triste davvero, è che tanti artisti e tecnici dello spettacolo hanno dovuto per forza cambiare strada e tra loro, tanti probabilmente non torneranno a fare quello che facevano prima.
Un consiglio per i giovani che oggi sognano di diventare danzatori.
Da insegnante dico studiate e lavorate sodo sempre. “Non si finisce mai di imparare” è un luogo comune, ma i luoghi comuni esistono per un motivo. E coltivate i rapporti con le persone, sono fondamentali in questo lavoro e nella vita. Ma soprattutto divertitevi, emozionatevi e vivete liberi di sentirvi voi stessi. È benissimo accettare consigli, ma non lasciate che nessuno vi metta in una box e imponga la sua visione su di voi senza un minimo di collaborazione. Da non dimenticare anche che essere un artista e poter farne una professione è un privilegio, quindi godiamoci questo stupendo dono!
Grazie per il tempo che ci hai dedicato e in bocca al lupo per un futuro ricco di successi in giro per il mondo!