“Il vento? Io sono il vento. Il mare e la luna? Sono il mare e la luna. Lacrime, dolore, amore, voli degli uccelli? Sono tutti loro. Danzo ciò che sono. Peccato, preghiera, fuga, la luce che non è mai stata sulla terra o sul mare? Ballo ciò che sono”
Ultima di quattro figli, Isadora Duncan nacque a San Francisco il 26 maggio 1877. Sua madre era una pianista irlandese e suo padre uno scozzese che abbandonò la famiglia in seguito a uno scandalo bancario, quando lei aveva appena tre anni. Isadora trascorse l’infanzia fra le melodie della musica suonata da sua madre, che la educò a uno spirito di libertà e indipendenza.
Entrò nella compagnia teatrale di Augustin Daly, a New York, all’età di 19 anni, dove ballò e recitò. Nella sua ricerca di espressione artistica prese lezioni di balletto con Marie Bonfanti, prima ballerina e insegnante a New York ma, delusa dal rigoroso regime e dai movimenti del corpo secondo lei eccessivamente rigidi e controllati, rinunciò molto rapidamente e iniziò la sua carriera da solista. Iniziò ad esibirsi negli Stati Uniti alla fine del secolo, ma le sue performance non riscossero interesse. Nel 1900 danzò a Londra, inaugurando così una serie di fortunate tournée nel vecchio continente, dove ottenne l’ammirazione di molti artisti e intellettuali dell’epoca. Antoine Bourdelle, Auguste Rodin, Arnold Rönnebeck e Abraham Walkowitz crearono opere ispirate a Isadora Duncan. Quando venne costruito il Théâtre des Champs-Élysées a Parigi, lo scultore Antoine Bourdelle scolpì il suo personaggio in rilievo sopra l’ingresso e Maurice Denis introdusse la sua figura nell’affresco delle nove muse nella platea del teatro.
La Duncan fu la prima a segnare una vera a propria rottura con il balletto classico, di cui non concepiva le posizioni innaturali e forzate. Nella sua danza abolì le scarpe da punta e gli ingombranti costumi indossati dalle ballerine della fine del XIX secolo, preferendo ad essi i piedi nudi e abiti semplici, fluttuanti e leggeri. La danza di Isadora voleva ricercare l’espressività e la libertà del movimento, insieme alla sua naturalezza, e si ispirava alle forme dell’arte greca, nella continua ricerca di un gesto spontaneo, basato sul ritmo della natura e sulle sonorità della musica. Il simbolo emblematico di questo movimento era l’onda, che l’artista cercava di riprodurre nelle sue danze, simbolo della ciclicità della natura che si rigenera all’infinito. I capelli sciolti, le leggere tuniche e le lunghe sciarpe da lei indossate le permettevano di fluttuare nello spazio, danzando le emozioni che sentiva dentro di sé.
Isadora Duncan concedeva grande importanza all’improvvisazione, che partiva però dall’ascolto del proprio corpo, in un fulcro energetico che nella sua concezione originava dal plesso solare.
Le sue “danze libere” furono interpretazioni emotive, espressionistiche, di composizioni di celebri musicisti come Chopin, Beethowen, Gluck, che la Duncan fu la prima a utilizzare nella danza, dandone una nuova interpretazione attraverso il suo corpo e il suo movimento.
Le sue idee, fortemente influenzate da una rielaborazione molto personale dei classici e delle opere di importanti filosofi, riscossero grande interesse in Europa. Nella sua autobiografia, My life, pubblicata per la prima volta nel 1927, scrisse: «Mi resi conto che i soli maestri di danza che potessi avere erano il J. J. Rosseau dell’Emile, Walt Whitman e Nietzsche».
L’ importanza di Isadora Duncan nella storia della danza è grande, sia per l’interesse che seppe suscitare nelle platee di tutto il mondo, sia perché le sue idee furono rivoluzionarie per la sua epoca e costituirono per i suoi successori l’impulso per la creazione di nuove tecniche diverse da quella accademica e per una nuova concezione della danza teatrale, tanto da fruttarle l’appellativo di “madre della danza moderna”.
A Berlino, nel 1903, tenne una famosa conferenza sulla danza del futuro, ritenuta una sorta di manifesto della danza moderna. Nel 1904, dopo aver affollato i più importanti teatri di tutte le capitali d’Europa, partì per una tournée a San Pietroburgo, che ebbe grandi ripercussioni nel mondo del balletto russo: gli stessi Sergej Djagilev e Mikhail Fokin, vedendola ballare per la prima volta a Pietroburgo nel 1905, ne rimasero molto colpiti. In particolare Diaghilev, futuro committente di Stravinskij e di Picasso, dichiarò che era stata proprio Isadora a indicargli la via da intraprendere.
“Innanzitutto, insegniamo ai bambini a respirare, a vibrare, a sentire e a diventare un tutt’uno con l’armonia generale e il movimento della natura. In primo luogo, creeremo un bellissimo essere umano, un bambino che balla.”
Isadora Duncan aveva una spiccata vocazione pedagogica e considerava l’insegnamento una missione, volta anche a salvaguardare lo sviluppo armonico del corpo delle ragazze contro l’artificiosità del tradizionale balletto classico. Fu fondatrice di varie scuole: due in Germania, una a Parigi, che fu costretta a chiudere quasi subito per lo scoppio della prima guerra mondiale, e una a Mosca, dove fu chiamata dal commissario del popolo per l’istruzione. Proseguirono l’opera di diffusione delle sue teorie le sue prime allieve, che Isadora aveva adottato ufficialmente: Anna, Theresa, Irma, Lisa, Gretel ed Erika, le cosiddette “Isadorables”, un gruppo di sei ragazze che ballarono secondo il suo stile dal 1905 al 1920 e successivamente adottarono e continuarono il suo insegnamento di danza.
Isadora fu per l’epoca una donna molto emancipata ed ebbe intense relazioni affettive.
Nel 1913 un’immane tragedia segnò irrimediabilmente la sua vita. I suoi due bambini, Deirdre di 7 anni, figlia dell’attore e regista Gordon Craig, e Patrick, di 3, figlio dell’industriale e mecenate Paris Singer, morirono annegati insieme alla loro governante per un assurdo incidente: la vettura su cui viaggiavano si era fermata e l’autista era sceso per far ripartire il motore con la manovella, senza innestare il freno a mano, per cui l’auto si era messa in moto ed era finita nella Senna.
Nello stesso anno soggiornò per un periodo a Viareggio, grazie dall’amica attrice Eleonora Duse, che la incentivò a non tralasciare la sua passione ma anzi a gettarvisi interamente, provando a colmare il dolore per la perdita dei suoi due figli. La Versilia le permise di ritrovare un po’ di pace e, insieme, il piacere di ascoltare musica e di danzare. L’atroce sofferenza avrebbe paralizzato qualsiasi altra artista, non Isadora, la quale incontrò e ispirò nuovi amici, fra cui il pittore-scrittore Lorenzo Viani, il pittore Plinio Nomellini e lo scultore Romano Romanelli, dal quale l’anno successivo ebbe un altro figlio, morto poco dopo la nascita.
Tutte queste incolmabili ferite cambiarono in modo irreversibile la sua danza: non più aerea, volta al cielo, ma attratta dal suolo e quasi mimica. Da allora cominciò anche a bere, e la sua vita divenne sempre più sregolata.
Nell’autunno del 1921 durante la sua permanenza in Russia, Isadora conobbe il poeta Sergej Esenin, di diciotto anni più giovane di lei e lo sposò il 2 maggio del 1922. Insieme girarono l’Europa e l’America, ma la loro burrascosa relazione finì l’anno successivo ed Esenin tornò in Russia dove due anni dopo, nel dicembre 1925 morì suicida nell’hotel “Angleterre” di Leningrado.
Negli ultimi anni della sua vita la luminosa carriera che aveva alle spalle declinò rapidamente. L’ultima tournée americana fu un disastro e i critici furono crudeli e impietosi nello scagliarsi contro la sua figura appesantita, ormai non più adatta a danzare, e i suoi capelli tinti. Tornata in Europa, visse fra Nizza e Parigi, sempre più oberata dai problemi economici e di alcolismo.
La fine di Isadora, tragica e spettacolare come era stata la sua vita, suscitò grandissima impressione in tutto il mondo: accadde verso sera, il 14 settembre del 1927, sulla Promenade des Anglais a Nizza.
Il pilota ed amico Benoît Falchetto, all’uscita da un ristorante, le offrì un passaggio sulla sua Bugatti. Isadora si congedò dai suoi amici con la frase “Je vais à l’amour”. “Vado a innamorarmi” (Secondo alcune testimonianze la frase da lei pronunciata sarebbe in realtà “Je vais à la gloire”, “Vado verso la gloria”, ndr). Ma, pochi metri dopo la partenza, la sua lunga sciarpa di seta, di quelle che era solita indossare, si impigliò nella ruota dell’auto, strangolandola.
Il suo corpo venne cremato e le sue ceneri sono conservate nel Cimitero Père-Lachaise a Parigi.