Jacopo Tissi lascia il Teatro Bolshoi

di Susanna Mori
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E anche Jacopo Tissi ha lasciato la Russia.

È di ieri pomeriggio il comunicato dove annuncia la sua dipartita dal Bolshoi di Mosca, teatro che negli ultimi anni l’ha visto protagonista di un grande successo personale su uno dei palcoscenici mondiali più difficili da conquistare per l’eccellenza professionale richiesta sia dalla direzione artistica che dagli stessi spettatori.

Tissi va ad allungare la fila dei numerosi personaggi italiani ed internazionali (tra gli ultimi di ieri anche Xander Parish ha lasciato il Mariinsky) che hanno dichiarato in questi giorni di essere contrari alla guerra tra la Russia e l’Ucraina.

È difficile trovare le parole in questi giorni, tutti i momenti che ho vissuto fino ad ora e i tanti pensieri che mi girano per la testa.

Sono scioccato da questa situazione che ci ha colpito da un giorno all’altro e, onestamente, per il momento, mi ritrovo impossibilitato a continuare la mia carriera a Mosca.

Non riesco a descrivere quanto sia stato triste per me lasciare i miei insegnanti, i miei colleghi e amici; persone speciali che mi hanno fatto crescere come artista e come persona a cui sono e sarò sempre grato.

Come essere umano provo empatia verso tutte le persone e le loro famiglie che stanno soffrendo.

Nessuna guerra può essere giustificata. Mai.

e io sarò sempre contro ogni tipo di violenza.

Non possiamo lasciare che l’odio si diffonda, anzi, il nostro mondo dovrebbe essere pieno di armonia, pace, comprensione e rispetto.

Spero davvero e prego che tutte le guerre e sofferenze cessino al più presto.

Non è chiaro se l’uscita di Tissi dal Bolshoi sia temporanea o definitiva. Qualsiasi sia il caso, io personalmente l’ho accolta con profonda gratitudine.

Il mio personale punto di vista sulla faccenda (che non rispecchia necessariamente le opinioni di Tissi), è che il Bolshoi è un ente pubblico, Putin ne è a capo in quanto Presidente dello Stato Russo e per me non è accettabile essere pagati da un capo di stato indagato di crimini di guerra.

Quindi quando ieri sera il nostro Direttore Francesco Borelli mi ha chiesto se me la sentissi di scrivere un articolo sulle dimissioni di Tissi, ho accettato volentieri. Ed eccomi qui.

Come tutti voi, anche io assisto impotente allo strazio che si compie davanti ai nostri occhi e che sta assumendo contorni mai immaginati da menti addormentate e viziate come le nostre europee (ed occidentali in generale).

In questi giorni leggo sui giornali italiani, sui profili italiani di Facebook ed Instagram un numero crescente di messaggi, commenti, articoli deliranti su questa guerra che non ho nemmeno il coraggio di riportare perché’ li trovo insultanti per una mente umana anche solo mediamente sviluppata.

Ma torniamo a Tissi, agli artisti e agli sportivi che come lui hanno deciso di dissociarsi da questo panorama di sangue e dolore.

Io non conosco personalmente Jacopo Tissi né ho potuto scambiare con lui opinioni sulla guerra attuale.

Che dire quindi? Sostanzialmente io sono d’accordo con Jacopo Tissi, con Elena Kovalskaya, Semyon Bychkov, Kyrill Petrenko, Alexei Ratmansky e altri 10,000 artisti ed esponenti culturali russi che fino ad ora hanno ufficialmente denunciato la guerra russo-ucraina. Ognuno di loro con le sue ragioni, le sue rivendicazioni.

L’altro giorno commentavo, a chi mi diceva che l’arte e lo sport non si toccano, che invece secondo me queste due discipline non possono essere “super partes” se non lo sono i suoi singoli partecipanti. Per anni il mondo occidentale ha creato per la Federazione russa uno schermo perfetto dietro cui nascondersi per continuare imperterrita ad offendere le comunità artistiche e agonistiche dove il decoro e l’integrità morale dei suoi partecipanti dovrebbe essere al di sopra di qualsiasi ragionevole dubbio. E per anni questi individui, in modo collettivo e/o individuale, hanno abusato di questo schermo, di questa mano tesa.

Mia nonna diceva che ad essere troppo buoni si diventa fessi. Ad un certo punto, bisogna tirare una linea, e questa linea deve essere netta e chiara.

Qui a Londra io vivo a 2 km dalla più grande chiesa Ortodossa Ucraina. Nella mia zona c’è il più grande numero di residenti Ucraini di tutto il Regno Unito. Ma non solo. C’è anche il più alto numero di residenti polacchi di tutto il Regno Unito. Ma non è ancora finita. La scuola elementare che mia nipote frequenta è per il 70% composta da famiglie polacche ed ucraine. Insomma, per farla breve, questa guerra la vivo ormai ogni giorno, dal fatidico 24 febbraio, 17 ore al giorno, sia attraverso il piccolo schermo che dai racconti dei genitori della scuola.  Conosco il loro dolore, la loro disperazione perché arriva direttamente sulla mia pelle.

Ma ho anche tantissimi amici in Russia. Gente comune, meravigliosi insegnanti di danza, ballerini, psicologi, pubblicitari, gente del marketing la cui sofferenza morale ed economica in questi giorni è immensa. Soggiogati da un regime che li piega costantemente e violentemente e da cui non riescono ad evadere. Sono loro che in questi giorni, dalle pagine dei loro profili sui social media, osano opporsi a questa guerra mettendo in pericolo la propria vita. E sono TUTTI loro che mi danno la forza di discutere giornalmente con chi pensa che questa guerra non ci riguardi.

Siamo tutti in guerra, siamo tutti coinvolti. Non possiamo più escludere parti della popolazione perché sono artisti o sportivi. Solo ai medici si permette di agire su fronti opposti perché ne va della vita umana. Ma quando si parla di dignità umana allora siamo tutti, assolutamente tutti, coinvolti e in trincea, imbracciando le armi dell’ostracismo ad oltranza e senza pietà nei confronti della Russia e del suo presidente-padrone che hanno ridotto, da troppo tempo, la vita e la dignità umana in concetti risibili e senza significato.

E per chi continua a dire che questa guerra non ci riguarda da vicino io rispondo instancabile che “Nessun uomo è un’isola, completo in sé stesso; ogni uomo è una parte del tutto. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: essa suona per te.”

Slava Ukraini.

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