Jonathan Redavid: “La danza è un grande amore e non posso tradirla. E di certo, lei non tradirà me”

di Francesco Borelli
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Inizi a lavorare nel mondo dello spettacolo alla tenera età di quattro anni. Ancora oggi sei protagonista di innumerevoli eventi che spaziano dalla televisione fino al cinema e alla moda. Che cosa ti ha spinto, ancora bambino, in una scuola di danza?

Ho avuto la fortuna di entrare in questo mondo ancora piccolissimo, in quanto mia madre era molto interessata al cinema e alle pubblicità. Mi ha trasmesso questa passione e da bimbo, non riuscendo a star fermo, mi iscrisse, d’accordo con mio padre, in una scuola di danza. Avevo solo cinque anni. E tutto iniziò.

Crescendo avevi un modello cui ispirarti?

Da piccolissimo ero affascinato dai grandi musical hollywoodiani: Fred Astaire, Gene Kelly fino a Bob Fosse e al suo stile inconfondibile. Ma se devo fare un nome sopra tutti non posso non nominare Michael Jackson. Ricordo che tornato da scuola, invece di fare i compiti o guardare i cartoni animati, continuavo a guardare i video delle sue coreografie. Ancora oggi possiedo quelle videocassette e le custodisco con grande affetto.

La vita è l’arte degli incontri. Quali sono stati quelli importanti della tua vita?

La persona che per prima mi permise di avere bei contratti di lavoro fu il regista Maurizio Colombi col quale lavorai in alcuni parchi di divertimento. Subito dopo ebbi belle possibilità con Saverio Marconi e Fabrizio Angelini fino a luca Tommassini. Grazie a lui cominciai a lavorare moltissimo fino a quando decisi di trasferirmi definitivamente negli USA. Lì conobbi Liz Imperio, la quale m’introdusse nel mondo lavorativo americano e grazie alla quale arrivai a fare l’audizione con Jennifer lopez.

Quali sono state le opportunità di lavoro che, a tuo avviso, ti hanno dato la possibilità di emergere rispetto a tanti altri danzatori?

Credo che nel mio caso sia stato decisivo il trasferimento negli Stati Uniti. Avevo obiettivi ben precisi e una grande determinazione: volevo riuscire a tutti i costi e lavorare con artisti straordinari. Los Angeles è, a oggi, il luogo in cui i grandi si incontrano e dove è possibile mettersi alla prova e, studiando e lavorando, crearsi un bagaglio di esperienze in grado di farti emergere.

Da danzatore “moderno” quanta importanza dai allo studio della tecnica classica?

Io ho decisamente una formazione atipica. Da bambino invece di studiare alla sbarra mi dedicavo al boogie woogie e alle gare che questa danza imponeva. La tecnica è importante e io per primo l’ho studiata per pulirmi e avere linee più belle. Ma la danza è bella perché regala infinite possibilità. Nel tempo ogni ballerino scopre la sua strada e avrà le proprie specificità

La danza è una scelta o un sacrificio?

La danza è una scelta che presuppone dei sacrifici. I danzatori, come gli attori o i cantanti, non hanno alcuna tutela. E la precarietà di questo lavoro, insieme alle difficoltà date da una vita sempre in movimento, le affronti in virtù di una grande passione. Un fuoco che ti dona la forza di superare ogni paura.

Da sette anni vivi a Los Angeles dove hai dato vita a una carriera internazionale che ti ha portato a lavorare a fianco di grandissime star. Perché la scelta di lasciare l’Italia?

Il motivo principale è l’ambizione: sono una persona che non si accontenta mai e che desidera, in ogni modo, dar forma ai propri sogni. E poi, avendo iniziato prestissimo, volevo mettermi alla prova con nuove esperienze. A soli vent’anni già coreografo numerosi programmi televisivi, a ventiquattro avevo collezionato tante belle esperienze in TV, concerti e tour. Rimaneva il desiderio di ballare accanto a Michael Jackson. E così feci i bagagli e partii.

In una vecchia intervista la signora Cuccarini disse: “tenete d’occhio Jonathan Redavid, avrà un grande futuro, soprattutto nell’ambito della coreografia”.

Lorella Cuccarini è una grandissima professionista e un talent scout incredibile. Credo abbia rilasciato questa intervista ai tempi in cui facemmo insieme il musical di Luca Tommassini “Il Pianeta proibito”. Ci sentiamo spesso e anche di recente mi ha fatto i complimenti per “The Greatest Showman”. Lorella mi ha sempre sostenuto e ha tifato per me sin dall’inizio.

Che differenza c’è tra il lavoro in Italia e il lavoro in America?

Da un punto di vista manageriale e produttivo negli Stati Uniti sono estremamente organizzati. Hanno le idee chiarissime su tutto e sanno esattamente ciò che bisogna fare. C’è un grande rispetto dei ruoli e un lavoro capillare che unisce gli sforzi di tutti in maniera puntuale e precisa. Da un punto di vista artistico, l’Italia come l’America, ha grandissimi talenti e una creatività eccezionale. Ma tutto il lavoro gira intorno a poche agenzie e spesso diventa difficile. Oltre Oceano c’è maggiore tutela degli artisti e molta più possibilità di scelta.

Quali sono le star nostrane e quelle americane che hanno segnato maggiormente la tua carriera?

In Italia ho iniziato con Michelle Hunziker, Enzo Iacchetti, Lorella Cuccarini, ho coreografato il tour di Elisa, Raf e Gigi D’Alessio. In America ho lavorato con Jennifer Lopez, Selena Gomez, Gwen Stefani, Christina Aguilera, Pharrell Williams, Katy Perry, Nicky Minaj fino all’ incredibile esperienza in The Greatest Showman.

In una scala di preferenze ci racconti le esperienze di lavoro che hai amato di più?

Ho amato tantissimo l’esperienza avuta nel film “The Greatest Showman”, in cui oltre al mio ruolo di attore ho seguito Zac Efron come coach e ho disegnato le sequenze visive di alcuni numeri musicali. Si respirava una bellissima aria sul set. Ѐ uno dei ricordi più belli che ho. E poi il tour con Jennifer Lopez. Abbiamo girato il Marocco, l’India, la Malesia. Di notte prendevamo gli aerei per arrivare in tempo alla tappa successiva. E ancora gli MTV EMA e l’apertura della campagna 2014 di Chanel a Parigi. Mi colpii molto il rispetto che dimostrarono verso di me e il mio lavoro.

Oggi sei tornato in Italia e sei tra i protagonisti del programma “Amici” di Maria De Filippi. Da persona interna alla trasmissione che idea ti sei fatto delle modalità di valutazione degli insegnanti e delle continue polemiche che caratterizzano i rapporti tra maestri e allievi?

Io credo che non si debba mai giudicare un allievo o, peggio ancora, offenderlo. Ognuno di noi ha esperienze differenti e di conseguenza opinioni diverse. Personalmente preferisco avere un approccio che inciti a migliorarsi piuttosto che a distruggere e penso, sinceramente, che tutti abbiano il diritto di credere in sé stessi come io ho creduto in me. Certo, è importante che i maestri diano dei consigli e indirizzino l’allievo in un corretto percorso di studi, ma il grande lavoro deve essere fatto dalla singola persona. Con intelligenza e soprattutto, passione.

Quando immagini il tuo futuro, che cosa ti aspetti?

Mi piacerebbe approfondire il lavoro del coreografo e del regista. La TV, che amo, spesso vede il reality prendere il sopravvento sull’intrattenimento che, personalmente, in assoluto preferisco.

La condizione della danza in Italia versa in acque tormentate. Che idea ti sei fatto, vivendo tu una situazione di grande privilegio?

Io vivo una situazione di questo tipo perché mi son dato da fare, mettendomi alla prova e affrontando tutti i sacrifici del caso, senza mai tirarmi indietro. Oggi moltissimi danzatori si lamentano per il poco lavoro, per le pessime condizioni economiche, per la mancanza di tutela. Ma spesso alle lamentele non corrispondono reazioni concrete. Bisogna che ognuno di noi si costruisca la propria felicità, cercandola, rischiando e dandosi da fare.

…  e se mai dovessi smettere di ballare?

Non credo sia possibile. Non rinuncerò mai alla danza perché per me è un grandissimo amore che ancora oggi, dopo tanto tempo, mi rende immensamente felice. Magari, col passare del tempo, smetterò di danzare ma di certo, resterò in questo mondo magico che tanto mi ha donato nella mia vita.

E poi, come tutti i grandi amori, non posso tradire la danza. E la danza non può tradire me.

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