Incontro Josè Perez prima di una prova di “Carmen”, il balletto che il danzatore e coreografo cubano sta rimontando con la compagnia “Jas Art ballet” di Sabrina Brazzo e Andrea Volpintesta. Josè è gentile e disponibile. E la sensazione che si percepisce è quella di un uomo solido e molto sicuro di sé.
Sei uno dei danzatori più bravi delle ultime generazioni e hai unito, con successo l’attività in ambito teatrale a quella televisiva. Cosa ti ha portato da un ambiente di danza “tradizionale” a un contesto decisamente più pop?
Arrivato in Italia, iniziai a lavorare a Firenze presso il “Maggio Musicale” con Gheorghe Iancu. Ballavo “Sherazade”. Lì conobbi Alessandra Celentano. Finita la produzione, tornai in Scozia, dove ero primo ballerino allo Scottish Ballet. Poco dopo mi cercò Alessandra chiedendomi se avevo voglia di lavorare in un programma televisivo in cui avrei dovuto mostrare le variazioni del repertorio classico. La proposta mi piacque. Chiesi un permesso alla compagnia e tornai in Italia partecipando a qualche puntata. Era il 2003. Subito dopo la produzione mi propose un contratto più continuativo, e accettai.
Cosa ti spinse ad accettare?
Avevo voglia di cambiare. Non si è trattato di desiderio di comparire in TV. Come hai specificato all’inizio, venivo dal mondo del balletto classico ed ero abituato al rigore e alla disciplina della scuola cubana. Semplicemente avevo voglia di fare cose diverse e tornare in Italia.
Tu, insieme con altri danzatori passati per il programma, hai avuto il merito di mostrare a un pubblico vastissimo e non particolarmente preparato, che esisteva un mondo diverso dal balletto televisivo. Una grossa responsabilità.
Decisamente. Soprattutto considerando che la qualità delle nostre esibizioni era di altissimo livello. Ho ballato il passo a due di “Diana e Atteone” piuttosto che “Giselle” o “Don Chisciotte”. E il mio impegno e la qualità delle mie prestazioni erano le medesime che in teatro. Si lavorava tantissimo e Maria De Filippi ci teneva particolarmente a dare il giusto risalto alla danza classica. Proprio per riuscire a renderla fruibile a tutti.
Parallelamente alla televisione hai continuato il lavoro in teatro. Quali produzioni ti hanno visto protagonista negli anni del tuo impegno in TV che è durato dal 2004 al 2012?
Ho ballato in “Aida” di Franco Zeffirelli, “Schiaccianoci”, “Otello”, “Romeo e Giulietta”. É stato bello poter continuare entrambe le carriere in maniera felice.
Prima hai parlato di scuola cubana. Chiarisci per i lettori le caratteristiche di questo metodo accademico?
Il metodo è quello di Alicia Alonso. Ciò che contraddistingue i danzatori cubani è la forza, il rigore e la precisione. Ogni anno escono dalla scuola almeno venti primi ballerini, pronti, fin dalla più giovane età, ad affrontare in maniera integerrima qualsiasi primo ruolo.
Hai interpretato tanti primi ruoli. A quale sei più legato?
Sicuramente “La Bisbetica domata” di John Cranko. Riesco, attraverso Petruccio, a esprimere me stesso. L’amore, la passione, l’odio. É un ruolo in cui mi metto totalmente in gioco. Ho avuto la fortuna di ballarlo tantissime volte all’Opera di Dresda con Laura Contardi e la direzione di Vladimir Derevianko.
Che tipo di ballerino ritieni di essere?
Credo di essere un danzatore che unisce due mondi diversi: quello cubano, che come dicevo prima mi ha regalato la forza e la tecnica precisa e rigorosa e quello europeo, in cui ho imparato a danzare con maggiore grazia e più musicalità, esprimendo me stesso e le intenzioni giuste di un personaggio. In generale prediligo i balletti narrativi. Quelli in cui posso mettermi a disposizione di una storia da raccontare.
Quanto di tuo metti in un balletto quando lo interpreti?
Tantissimo. Forse troppo. Al punto che m’immedesimo talmente tanto nel personaggio che rischio di perdere la concentrazione e dimenticare i passi.
Sei nato all’Havana. E dopo una serie di esperienze di lavoro in Messico e in Brasile sei arrivato in Europa. Come, secondo te, è vissuta la danza nel tuo paese e come in Europa?
Cuba è una vera e propria fabbrica di ballerini. La scuola è davvero ottima. In Messico e Brasile c’è un buon livello, ma le compagnie sono molto poche, quindi diminuiscono le opportunità di lavoro. In Europa sono arrivato all’età di ventuno anni. In Germania c’è una grande attività e un grande rispetto per la danza. In Italia le cose sono cambiate nel tempo. E purtroppo non in positivo.
Da straniero cosa faresti per cambiare le cose?
Non saprei proprio. Bisognerebbe investire nella cultura e dare a essa il giusto valore. Invece in Italia i teatri chiudono e le compagnie sono smantellate. Ed è un vero peccato. Non siamo noi danzatori a dover cambiare le cose. Ma qualcuno a monte.
Da ballerino classico, come ti poni nei confronti degli altri stili di danza?
La danza è bella sempre, purché sia di qualità. E ogni stile è interessante e dovrebbe essere studiato. L’importante è far le cose fatte bene. Approcciarsi alla danza con intelligenza. Una dote fondamentale che è spesso trascurata.
Parliamo di partner. Ne hai avute tante e tutte brave. Chi ricordi con maggiore affetto?
Di certo Laura Contardi, magnifica ballerina e persona, con cui ho condiviso molti balletti ed esperienze di lavoro. Letizia Giuliani, magnifica danzatrice. Ambeta è una persona con cui ho lavorato tantissimo. Abbiamo da poco finito “Otello” al Teatro San Carlo di Napoli. Scherzando diciamo sempre che nella danza abbiamo contratto un matrimonio. E poi Rossella Brescia. Bravissima, simpatica. Una persona dolcissima e una cara amica.
Oggi, da affermato danzatore quale sei, ti accingi a essere come coreografo con la Jas Art Ballet, la compagnia milanese creata da Sabrina Brazzo e Andrea Volpintesta. Com’è iniziata questa evoluzione?
Tutto è cominciato nell’agosto del 2015 a Benevento. Mi chiamarono per interpretare Don Josè in Carmen. Durante le prove mi chiesero se volevo occuparmi delle coreografie. Montai tutto in nove giorni. Furono giorni pienissimi, ma l’esito fu felice. Intanto, conoscendo Andrea e Sabrina da qualche tempo, ho proposto loro di rimontare il balletto con la loro compagnia. E hanno accettato. Debutteremo a Merate il 6 e il 7 giugno 2016.
Sei Josè Perez, danzatore in uno dei programmi TV più seguiti. Quanto credi che il tuo nome porti gente in teatro?
É una responsabilità che non voglio avere. Vorrei che la gente venisse in teatro a guardare il mio lavoro, la mia danza. E non il personaggio TV, né il mio fisico.
Se pensi al tuo futuro, ti vedi in quale veste? Danzatore, coreografo, maitre?
Ho sempre vissuto il momento. Da danzatore mi sto mettendo alla prova come coreografo. Il futuro non lo conosco. Forse insegnerò o dirigerò una compagnia. Mi piacerebbe, di certo, mettere a disposizione degli altri tutta la mia esperienza. Investire sulle giovani leve e dare loro molte possibilità.
Quale balletto ti piacerebbe rimontare secondo il tuo gusto?
Romeo e Giulietta, intitolandolo solo “Romeo” e dando rilievo alla sua figura più che a quella di Giulietta. Ho già tutto in mente e credo, e spero, di poterlo realizzare il prima possibile.
La sala prove chiama e Josè ed io ci salutiamo. Come dicevo nel titolo di questa intervista credo che in questo splendido danzatore dai colori dell’ebano siano racchiusi due mondi: quello cubano delle origini e quello europeo, della maturità. Due universi fusi perfettamente tra loro in un mix straordinario e di sicuro vincente.