La ballerina di Auschwitz, una storia vera di Edith Eva Eger

Nel giorno della memoria, un consiglio di lettura e una riflessione importante

di Fabiola Di Blasi
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Dietro ogni vita che si è interrotta o che è cambiata per sempre nei campi di concentramento, c’erano sogni e ambizioni mai realizzate. Vite spezzate anche per chi è sopravvissuto convivendo con un grande trauma (Primo Levi ce lo ha spiegato bene) e con il compito, il dovere imprescindibile, di raccontare e trasmettere ai posteri l’orrore vissuto. Fino alla fine. Edith Eger ha 98 anni e nel suo libro La ballerina di Auschwitz, la mia storia esordisce discendo:

Care lettrici, cari lettori, è da quasi ottant’anni che sto scrivendo questo libro […] Desideravo ardentemente condividere con voi gli strumenti che mi hanno aiutata a sopravvivere all’impensabile […] Raccontare la mia vicenda è per me una responsabilità personale: mi sento tenuta a dire la verità su quanto è accaduto perché non venga dimenticato, ma anche a trasmettere un’eredità di speranza ed entusiasmo per la vita, perché i miei genitori e milioni di altri non siano morti invano.”

Edith Eger nasce nel 1927 a Košice, allora in Ungheria, attualmente in Slovacchia, ultima di tre sorelle di madre dipendente pubblico e padre sarto. Edith frequenta il ginnasio, ha una passione per la danza, è agile e snodata e fa parte della squadra di ginnastica olimpica ungherese ma un giorno le viene detto di trovare un altro posto in cui allenarsi. E’ espulsa perché ebrea. Edith ha paura, prova a reagire, nega di essere ebrea. Ha 16 anni quando, con la sua famiglia, viene deportata in vari campi di internamento e infine ad Auschwitz dove viene separata dai genitori che non vede mai più.

In una recente intervista rilasciata a La Repubblica, la scrittrice e psicologa racconta di quando, una sera, durante la ronda nella baracca, le viene ordinato dal dottor Morte che si dice annoiato, di fare piroette e acrobazie mentre l’orchestra del lager* suona Sul bel Danubio blu.

Mentre ballavo, mi giunse la voce del mio maestro di danza. Diceva sempre che tutta l’estasi della tua vita deve provenire dall’interno. A lezione non capivo cosa intendesse, ma in quel momento le sue parole mi tornarono in mente. Mengele dovette restare colpito dalla mia esibizione, perché mi lanciò una pagnotta, che io divisi con mia sorella Magda e le compagne.”

Poco dopo, altre ragazze vengono mandate al gas. Edith sopravvive all’inferno insieme alla sorella Madga con cui viene ricoverata negli ospedali da campo americani. Alla fine del tormento pesava 32 kg. In seguito ritrova la terza sorella e poi si sposa con un altro sopravvissuto con cui si trasferisce negli Stati Uniti. Piena di sensi di colpa, non sa se pensare che la vita sia un peso o un dono finché capisce che non può cambiare il passato ma può scegliere come vivere il presente perché non è il tempo a curare le ferite ma il modo in cui lo impieghiamo. Nel 1990 torna ad Auschwitz per affrontare le sue emozioni e mettere fine al tormento. Oggi è una delle psicologhe più affermate della sua epoca, massimo esponente della Psicologia della libertà. La sua autobiografia, La scelta di Edith, è diventata best seller mondiale e Oprah Winfrey ha raccontato che, dopo averla letta, la sua vita è cambiata per sempre.

Edith ripercorre, nel suo ultimo libro, La ballerina di Auschwitz, gli orrori della prigionia, parla di sofferenza ma anche di resilienza, di trasformazione del dolore in forza positiva. Ricorda di quando, prima di salutarla per sempre, sua madre le disse che avrebbero potuto portarle via tutto ma non la cosa più importante, quello che era nella sua mente, ed è convinta che questo l’abbia aiutata a sopravvivere. A chi l’ha incontrata ha raccontato:

Nella vita dobbiamo imparare tutti a tradurre le tragedie in opportunità. Auschwitz è stata per me un’opportunità di scoprire le mie forze interiori, poiché nulla mi è arrivato dall’esterno. Sempre e solo da dentro. Dentro di me. Oggi dico ai miei pazienti: trovate la felicità dentro di voi […] Essere liberi, essere felici, essere vivi, è una scelta. La nostra mente è l’unica a poter cambiare davvero le nostre vite.

Il rimpianto di questa grande donna rimane, ancora oggi, quello di non essere stata ammessa ai giochi olimpici come ginnasta poiché ebrea.

*È noto che ad Auschwitz ci fossero orchestre composte da prigionieri, di cui una tutta al femminile. Nata nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau nel 1943, diretta da Alma Rosé, nipote di Gustav Mahler, serviva principalmente a intrattenere i gerarchi nazisti e accompagnare le marce dei deportati.

 

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