La Bayadère al Teatro alla Scala: un corpo di ballo stellare

di Nives Canetti
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La Bayadère dice addio al Teatro alla Scala dopo dieci recite quasi tutte esaurite e un successo di pubblico davvero esaltante. Nonostante i numerosi infortuni, che hanno creato un po’ di assenze anche nei primi cast, Manuel Legris è comunque riuscito a mettere in scena uno spettacolo iconico che porta alla Scala un pregio inestimabile.

E per raccontare le serate che abbiamo visto, credo sia giusto partire dal corpo di ballo: in particolare dal corpo di ballo femminile che sempre ha mostrato in primis grande lirismo, poi posizioni perfette e precisione non solo nella scena delle ombre, ma anche nel valzer, nei pappagalli e nel pas d’action del secondo atto. Nulla da invidiare ad un corpo di ballo internazionale quale Opéra de Paris o Bolshoi se non forse per il numero di ombre, 24 al posto delle monumentali 32. Tutte sono state fantastiche, anche le più giovani appena uscite dalla scuola, un grande lavoro di team.

Una particolarità dell’entrata delle ombre: nella versione del Bolshoi le ombre sono tutte orientate verso il pubblico e al termine di ogni attraversamento della scena cambiano gamba di terra dell’arabesque. Nella versione di Nureyev invece, come in quella del Mariinsky, la ballerine si alternano una di fronte e una di schiena al pubblico e non cambiano mai gamba: non è uno sforzo da poco. E quindi un pensiero speciale e personale va alla seconda ombra che compare sulla rampa che fa 37 arabesque plié tutti sulla gamba sinistra (mi pare di aver riconosciuto Marta Gerani nella sera di Manni e Kimin Kim).

Nel ruolo di Nikiya abbiamo visto Nicoletta Manni, belle linee, molto morbida, in tutti e tre gli atti ha caratterizzato il personaggio con stile incisivo, appassionata e combattiva nel primo e disperata nel secondo. Nel terzo atto soprattutto ha dato prova di essere un’étoile di livello internazionale: quando l’ombra della sua Nikiya balla con Solor  si percepisce tutto il composto rimpianto dell’amore perduto e allo stesso tempo il distacco algido della morte. Momenti notevoli sia nel passo a due che nella variazione del velo con pirouettes cristalline a destra e sinistra in arabesque e nell’assolo dove Manni ha ballato senza una sbavatura, strappando un applauso lungo e sentito dalla platea.

Due i Solor che l’hanno accompagnata: Timofej Andrijashenko, che alla prima era davvero in serata di grazia, bellissimo Solor accanto a Manni, e Kimin Kim, principal del Mariinsky invitato per la prima volta alla Scala. Kim ha oggettivamente il carisma e la presenza scenica di un Solor internazionale, entra in scena da guerriero con i tre jeté leggerissimi che lasciano senza fiato. Caratterizza il personaggio con molte sfumature, ad esempio nelle controscene, scolpendone i tratti e il carattere. Nel pas d’action con Gamzatti, Kim balla un assolo da manuale, con elevazione pazzesca e manége finale da standing ovation. È meno nelle sue corde il bellissimo assolo all’inizio del terzo atto prima della scena delle ombre che richiede una certa esperienza dello stile fluido e legato coreografato da Nureyev, ma Kim recupera ampiamente e nella parte classica di Petipa grazie al lirismo dei passi a due con Manni e al manège di double assemblé nell’assolo, esaltante.

Due Gamzatti eccezionali: Alice Mariani che ormai il ruolo se lo divora con una sicurezza da étoile sia tecnicamente che interpretativamente: spietata nella pantomima con Nikiya.  E poi Linda Giubelli, artista eclettica e precisa in grande ascesa che ricordo forte anche nel ruolo di Nikiya nello spettacolo della Scuola al suo diploma e che ha anche ballato la seconda ombra in modo impeccabile in un altro cast.

Mattia Semperboni è stato un idolo d’oro esplosivo, affrontato senza apparente fatica e con grande slancio, Agnese di Clemente deliziosa Manou (ma anche Anna Zingoni del corpo di ballo), Denise Gazzo e Christian Fagetti molto trascinanti nella danza del tamburo, e Domenico Di Cristo che riesce a dare spessore perfino al personaggio del fachiro. Brave in generale le tre ombre soliste, un applauso particolare a Camilla Cerulli, Caterina Bianchi e Marta Gerani.

Si conferma l’impressione avuta tre anni fa al debutto di questa Bayadère sui costumi di Luisa Spinatelli, non esattamente premianti per i ballerini, in particolare i due di Nikiya nel primo e nel secondo atto che non danno la possibilità di vedere le gambe e i pantaloni di Solor che tagliano la linea alla caviglia.

Una preziosa presenza quella di Kevin Rhodes la cui brillante direzione dell’orchestra scaligera ha valorizzato la musica di Minkus anche nei momenti non troppo lirici, accompagnando sempre con i giusti tempi i ballerini in scena. Molto suggestiva la scena delle ombre e da sottolineare il primo violino di Francesco De Angelis nei momenti più intensi della danza di Nikiya.

Ora che questa Bayadère è terminata ci auguriamo che la versione di Nureyev, che ha il pregio di mantenere la maggior parte dell’eredità del Mariinsky, resti nel repertorio scaligero e venga ripresa in futuro, perché oltre ad essere un classico senza tempo, è un’occasione prestigiosa per mostrare la bravura e la forza del grande ensemble scaligero.

FOTO Brescia e Amisano

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