Sull’onda emotiva del numero della scorsa settimana, vorrei ancora condividere qualche impressione con voi lettori e lettrici, riguardo a forma e identità della creazione artistica. Ogni persona che si avvicina a questo lavoro lo fa con motivazioni che gli sono proprie e uniche: qualcuno è attratto dal movimento come libertà di espressione del corpo, chi cerca fama e successo, chi è attratto dall’idea di esibirsi davanti ad un pubblico, chi sogna di visitare tutti i paesi del mondo svolazzando sul legno dei palcoscenici, ci sono anche quelli che cercano nell’arte una via di emancipazione dal mondo materiale, o coloro che usano le proprie abilità creative forma di critica sociale e politica, e queste sono solo le prime plausibili motivazioni che mi sono venute in mente. Sono sicura che ognuno di voi potrebbe darmene mille diverse, ed è proprio per questo che esistono così tanti modi diversi di creare uno spettacolo. Nella mia esperienza ho la sensazione che grosso modo esistano due visioni diametralmente opposte di creare danze, la cui presenza è ugualmente importante nell’offerta delle programmazioni teatrali, ossia l’intrattenimento e la ricerca.
L’intrattenimento riguarda una certa modalità pop di fare spettacolo, inteso come popolare, in qualche modo più leggera, una comunicazione che prova a seguire un percorso lineare e semplice. Questo non vuol dire che l’intrattenimento non sia in grado di affrontare tematiche importanti, o tanto meno che si tratti di spettacolo di bassa qualità. Lo spettacolo di intrattenimento si pone l’obiettivo di far evadere con la mente, di donare quel piccolo spazio di sospensione dal quotidiano, per concedersi emozioni positive quali gioia, felicità o commozione. Che sia uno spettacolo con una trama ben precisa o anche astratto, quindi una serie di danze in cui gli interpreti non sono dei personaggi ma dei corpi che eseguono movimenti su una partitura musicale, lo spettatore è portato per mano dentro a quel contesto, immergendosi nella bellezza dei suoni e dei gesti, dei colori e dei sensi, abbandonandosi senza alcuna resistenza.
La ricerca invece si pone di fronte ad un altra sfida, più tortuosa e complessa, con lo scopo di trovare un percorso nuovo e mai battuto prima su cui incamminarsi. Non sempre la ricerca permette allo spettatore di starsene seduto comodamente sulla poltrona, né si preoccupa di prenderlo dolcemente per mano per portarlo nel proprio universo. È molto più frequente invece che il pubblico si senta scaraventato dentro senza troppi riguardi, o che tutto ciò che accade nello spazio scenico metta seriamente alla prova le certezze fino a quel momento accumulate nel suo sentito di spettatore, provocando anche forti reazioni o resistenza. Assistere ad uno spettacolo di ricerca può essere un’esperienza piuttosto forte, che può anche lasciare alla fine stanchi e spossati, arrabbiati, frustrati, oppure euforici e adrenalinici…insomma, parafrasando Carmen Consoli: ‘confusi e felici’.
La ricerca si nutre di una creatività libera da schemi e convenzioni teatrali, cercando di includere nel proprio campo visivo ogni aspetto dell’essere, anche quelli meno rassicuranti, con il proposito di portare lo spettatore a porsi domande, ragionare, mettere in discussione, lasciandosi trasformare dall’esperienza.
Nessuno di questi due modi di creare è migliore dell’altro, in entrambi i casi è molto difficile e complesso il processo che porta alla realizzazione di uno spettacolo di qualità che arrivi allo spettatore catalizzando la sua attenzione. I rischi che comporta dedicarsi alla ricerca, però, sono più alti, poiché si preferisce non appoggiarsi a ciò che è già esistito prima, utilizzando invece quel bagaglio come un trampolino per spiccare un salto più alto, possibilmente nel vuoto del non ancora conosciuto.
La televisione ci ha portato a spostare il gusto verso ciò che è di facile fruizione, che si ingurgita così com’è, senza bisogno di elaborare. Non a tutti piace andare a vedere uno spettacolo in cui non si può restare comodamente in un ruolo passivo, e poiché di fronte alla ricerca lo spettatore è portato a compiere un moto verso l’autore, per comprenderne il messaggio, il pubblico della ricerca si assottiglia sempre più, quasi sempre composto esclusivamente da addetti ai lavori. D’altra parte molta danza di ricerca si pone su un piedistallo concettuale rispetto a chi assiste, che in questo modo rimane sempre con quella scomoda sensazione di sentirsi ignorante perché non riesce a comprendere. Aborro questa idea che per capire un’opera si debba essere degli esperti del settore. Secondo me l’arte è tale quando arriva a tutti, perché se dovessimo creare solo per gli intenditori il nostro lavoro non avrebbe più senso. Voglio dire, un qualsiasi spettacolo di Pina Bausch, o di Maguy Marin, o Peeping Tom, secondo me tocca chiunque, non hai bisogno di avere particolari conoscenze: può non piacerti ma non credo possa essere frainteso. Puoi non riuscire a cogliere a fondo ogni dettaglio, ma nella sua interezza ti colpisce diritto in pancia. È quando l’artista concettualizza troppo, imprigionandosi tra le pareti della propria scatola privata e autoreferenziale, che il pubblico si sente chiuso fuori e pensa di non capire. La verità è che in questo caso non erano proprio state create le premesse affinché ci potesse essere una qualche comprensione. Lo spettacolo si fa davanti ad un pubblico e non può essere vissuto come atto introverso, senza essere fraintesi.
Intrattenimento o ricerca: a quale di queste visioni vi sentite più vicini?