La Dame aux Camélias emoziona alla Scala nell’interpretazione di tre splendide coppie di stelle

Nicoletta Manni con Roberto Bolle, Alina Cojocaru con Claudio Coviello, Martina Arduino con Timofej Andrijashenko

di Nives Canetti
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Il ritorno della Dame aux Camélias alla Scala in questi giorni è stato certamente uno degli eventi più importanti della stagione 2023/2024 del Teatro alla Scala proposta dal direttore Manuel Legris . E lo è sicuramente per il pubblico che non ha molte occasioni di poter vedere in Italia così spesso un titolo di questa portata, ma soprattutto per il corpo di ballo, perché l’incontro con John Neumeier e con questo suo immenso capolavoro è un’occasione incredibile per mettersi alla prova come interpreti a qualsiasi livello a partire dalle étoiles fino agli elementi del corpo di ballo più giovani. Un’occasione di crescita professionale e artistica unica che dà grande valore alle storie artistiche di ciascuno.

E ogni volta che rivedo la Dame mi stupisco sempre del salto enorme che Neumeier fece fare al Drama Ballet, evolvendo il lavoro già rivoluzionario di John Cranko. Si entra in una dimensione teatrale di spettacolo che non è “solo” un balletto ma è un capolavoro drammatico in cui la danza sostituisce la prosa e tutta l’opera si basa sulla realtà e sulla verità attingendo, anche con la crudezza della verità,  al racconto senza filtri ma allo stesso tempo poetico del romanzo di Alexandre Dumas. Ogni personaggio ha un’entrata psicologica importante da esplorare.

Come si legge nel pezzo di Silvia Poletti, massima esperta su Neumeier, dal programma di sala:

“John Neumeier si impegnò ad indagare attraverso il linguaggio della danza la verità dei sentimenti, delle attitudini, dei moti psicologici e dell’animo di Marguerite e degli altri personaggi della vicenda”.

E la grande maestria teatrale di Neumeier non risiede solo nel linguaggio della danza ma anche nella regia e nella capacità di costruire uno spettacolo con pochissimi elementi, ovvero in pratica solo con le sue luci e i meravigliosi costumi viscontiani (anche se difficili da gestire nel ballo) di Jürgen Rose. Le luci sono la chiave semplice ed elegante per cambi di scena risolti in modo geniale, come il passaggio da un ballo parigino alla campagna. E le stesse luci sono dosate in modo precisissimo per spostare l’attenzione dell’occhio dello spettatore sulle scene e sugli oggetti chiave che rivelano la drammaturgia della vicenda, che pur essendo costellata di teatro nel teatro, di flashback e di incisi, risulta chiarissima e molto fluida.

La terza dimensione dopo danza e regia è l’utilizzo della musica che per Neumeier è fondamentale e come lui stesso dichiarò:

“quando entro nello studio vuoto, e comincio un nuovo balletto, c’è un solo partner con me, sempre, ed è la musica. La musica è inscindibile dal mio lavoro, senza la musica non ci sarebbe il lavoro.”

Da qui la scelta di utilizzare la musica di Frédéric Chopin modulandola in funzione delle varie situazioni della vicenda (come ad esempio aveva fatto nel Sogno di una notte di mezza estate con Mendelssohn e Ligeti). Neumeier infatti affida ai concerti per pianoforte  e orchestra la dimensione sociale e ufficiale parigina delle serate a teatro, dei balli o delle passeggiate al Bois de Boulogne, e invece delega al pianoforte solo tutto il dialogo più intimista dei passi a due e di tutto il secondo atto in campagna.

Nelle serate scaligere si sono alternati tre cast molto diversi fra loro nei ruoli principali.

Nicoletta Manni e Roberto Bolle hanno riscosso un grande successo sia alla prima che alle recite successive presso il pubblico scaligero ed anche tramite lo streaming di Scala TV. La Manni, pur avendo ballato la Dame solo due volte sette anni fa, ha reso una Marguerite luminosa, verosimile, molto elegante,  travolta dall’amore per Armand. Roberto Bolle ha cercato una chiave interpretativa diversa,  adeguata alla sua maturità, certamente non overacting: ci è sembrato molto serio, spesso accigliato e con atteggiamento quasi protettivo nei confronti di Marguerite, tranne in alcuni momenti al proscenio e nel passo a due della campagna. Una performance esteticamente impeccabile.

Alina Cojocaru, musa di Neumeier, étoile ospite al suo ritorno alla Scala dopo 14 anni, è stata magistrale: l’avevamo già vista al La Fenice nel 2023 e ci aveva affascinati il suo talento nell’entrare nel personaggio e renderlo vero, reale, pulsante e vivo. E anche stavolta qui alla Scala, grazie anche alla partnership con Claudio Coviello, il cui Armand è stato trascinante e assolutamente in sintonia con il sentire di Cojocaru, è stata anima e corpo Marguerite con tutte le sue emozioni dall’inizio alla fine, sempre in ogni istante. Cojocaru nella sua sottile interpretazione del personaggio si sofferma sulla vena malinconica e consapevole della propria condizione , cortigiana a cui non basta il bel mondo, che cerca qualcosa di più profondo nella sua vita trovandolo nell’amore di Armand.  Coviello, che avevamo apprezzato con Emanuela Montanari sette anni fa, è un artista eccelso, appassionato e autentico con un linguaggio del corpo intenso fluido e legato, e il suo Armand vibra di tutti gli ardori, le ripicche e le delusioni di un giovane amante. Il loro passo a due della campagna ha lasciato senza fiato, poesia pura. Ovazioni alla loro curtain call insieme: una coppia molto lirica, vera e poetica. Perfetti.

Al suo debutto nel ruolo, Martina Arduino, in coppia con Timofej Andrijashenko, ha reso una Marguerite inizialmente molto vicina alla figura mondana della cortigiana Duplessis. E da questa lettura, forte è risultato il contrasto con la Marguerite che si abbandona all’amore puro che prima non aveva mai incontrato. Splendido il passo a due con monsieur Duval, un intenso e tormentato Christian Fagetti, la cui danza ha ben tratteggiato l’inquietudine e severità del padre di Armand che poi si trasforma in tenerezza davanti alle suppliche e alla resa di Marguerite . Bella l’intesa con Andrijashenko, Armand impulsivo e malinconico, capace di grandi slanci sia nell’amore che nella rabbia. Anche se in alcuni punti le intenzioni sono ancora da calibrare,  Andrijashenko e soprattutto Arduino hanno spinto sulla forza dell’interpretazione dando gli accenti giusti.

La Arduino ha fatto davvero molto bene anche nel ruolo di Manon in coppia con un altrettanto sensibile Nicola Del Freo, Des Grieux nei primi due cast: un applauso anche alla coppia del terzo cast Linda Giubelli e Navrin Turnbull che ha reso i personaggi complementari a Marguerite e Armand con il giusto pathos e ottima padronanza della tecnica a servizio dell’interpretazione.

Tra tutti personaggi abbiamo visto emergere grazie a notevole presenza scenica e tecnica brillante, il Gaston di Darius Gramada, molto divertente. Da notare anche il Comte N di Said Ramon Ponce tenero, buffo, mai overacting e comunque incisivo. Le tre Prudence brave con diverse nuances: Virna Toppi intrigante e molto ammiccante, Alice Mariani esuberante e vitale, Maria Celeste Losa sorridente e gentile.

Del profondo monsieur Duval di Christian Fagetti abbiamo già detto:  molto bene anche Gabriele Corrado, ho solo trovato strana la scelta di affidare il ruolo in secondo cast a Edoardo Caporaletti, bravo ballerino scaligero ma decisamente troppo giovane per interpretare il padre di Armand e, se posso, mi chiedo come mai a nessuno sia venuto in mente di chiedere ad esempio all’étoile maître  Massimo Murru un cameo nel ruolo in cui sarebbe stato indimenticabile accanto a Cojocaru e perfetto, non solo per questioni di età.

Al pianoforte tour de force per Vanessa Benelli Mosell, che però ha suonato senza dare particolari accenti alla musica di Chopin, che forse meriterebbe più pathos, più colori, più respiri. Precisa e trascinante invece la direzione di Simon Hewett.

Le prossime ultime recite della Dame alla Scala sono l’11 ottobre con Arduino e Andrijashenko e il 14 e il 16 ottobre con Cojocaru e Coviello.

Il prossimo appuntamento con John Neumeier sarà a novembre 2025 con Aspects of Nijnsky in cui vedremo per la prima volta alla Scala la sua originale lettura di Le Pavillon d’ArmideL’Après-midi d’un faune e, in una nuova versione per la Scala, Petruška, tre capolavori simbolo del fermento creativo dei Ballets Russes e della loro più importante e rivoluzionaria stella.

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