La danza nel cinema: Omaggio a Fellini a 100 anni dalla nascita

di Fabiola Di Blasi
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Che ne potete sapere voi? Avete mai sentito il suono di un violino? No, perché se aveste ascoltato le voci dei violini come le sentivamo noi adesso stareste in silenzio, e non avreste l’impudenza di credere che state ballando. Il ballo è… è un ricamo. È un volo. È come intravedere l’armonia delle stelle. È una dichiarazione d’amore. Il ballo è un inno alla vita!

(La voce della Luna, Federico Fellini, 1990)

Questa citazione, tratta dall’ultimo film diretto da Federico Fellini, La voce della Luna da Il poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni, ci introduce all’idea che il grande regista riminese di adozione romana, aveva della danza. Nel film, con Roberto Benigni e Paolo Villaggio, il ballo diventa protagonista nella scena del valzer in discoteca tra Gonnella (P. Villaggio) e la duchessa (Lorose Keller). Musica di Strauss. Il ballo di coppia ha grande importanza nel cinema di Fellini, quasi come il regista volesse dirci che le relazioni andrebbero vissute con la leggerezza e la passione della danza. Lo vediamo per esempio ne Le Notti di Cabiria (1957) e in 8 ½ (1963) omaggiato, tra l’altro, più di trent’anni dopo, da Quentin Tarantino in Pulp Fiction: la famosa scena dello swing tra Mia Wallace e Vincent è infatti ispirata alla sequenza del suddetto capolavoro felliniano in cui ballano Gloria Morin (Barbara Steele) e Mario Mezzabotta (Mario Pisu).

Se parliamo di ballo di coppia, però, non possiamo prescindere da un altro degli ultimi film di Fellini, Ginger e Fred, del 1986, in cui vediamo due ex famosi ballerini (Amelia Bonetti e Pippo Botticella interpretati dagli straordinari Giulietta Masina e Marcello Mastroianni) appena scritturati da una produzione televisiva per un numero di ballo. Il film, musicato da Nicola Piovani, è realizzato negli anni del boom delle reti private e della pubblicità che le finanzia ed è chiara la denuncia di Fellini, già non contento neppure della tv statale, nei confronti di questa novità. Da ora in avanti, possiamo vederlo ancora oggi, lo spettatore viene letteralmente bombardato da seducenti messaggi pubblicitari che lo distraggono dalla fruizione dei programmi o di un’opera d’arte qual’è un film. Non si interrompe un’emozione è il celebre slogan coniato da Fellini in questi anni. Il regista sceneggiatore, nel film mette in bocca a Mastroianni queste parole “Stasera, a sessanta milioni di italiani io dico tutto: pe-co-ro-ni, pecoroni, pecoroni…”.

“Ginger e Fred” racconta una storia impregnata di nostalgia: i due protagonisti, infatti, non sono più i giovani e frizzanti ballerini di un tempo ma sono provati dal corso della vita. Al momento della loro esibizione, un blackout interrompe la danza e Pippo convince Amelia che la cosa giusta sia andarsene…ma la luce torna e i due devono portare a termine la coreografia. Sul finale, quando si salutano alla stazione, sappiamo quasi con certezza che non si rivedranno mai più. Il film non è apprezzato dalla vera Ginger Rogers che intenta una causa per danno d’immagine ma la corte d’appello americana difende il diritto di Federico Fellini di esercitare la propria espressione artistica come si può leggere qui https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/08/10/assolto-fellini-ginger-fred-non-fu-un.html

Ballo di coppia ne Il bidone del 1955 ma anche ne La Dolce Vita (1960) per Marcello e Sylvia (Anita Ekberg), stretti sulle note di “Arrivederci Roma” quando Mastroianni, incantato da Sylvia come fosse una dea, così vicina e così lontana, rivolge alla donna parole che la elevano a simbolo del tutto. Il ballo di coppia è un elemento presente in quasi tutti i film di Fellini tanto quanto il circo, il sogno, il ricordo ed altri temi della sua poetica ma non è la sola maniera in cui il regista sfrutta l’arte di Tersicore. Si balla anche da soli o per gli altri. Pensiamo per esempio alla celebre scena della danza nella nebbia di Amarcord (1973) dove il ballo appare in un’atmosfera poetica sospesa tra il ricordo e il sogno e i giovani attori si muovono liberamente nella foschia ventosa che sembra cullarli sulle note di Nino Rota. Sempre nello stesso titolo troviamo la scena del ballo al Grand Hotel di Rimini mentre, un altro film intriso di un mix di ricordi e fantasia in cui compare il ballo (scena del Carnevale) è I vitelloni (1953).

Danza come rituale ed esperienza iniziatica in 8 ½ quando i ragazzini vanno da Saraghina, una prostituta che vive sulla spiaggia e le chiedono di ballare per loro la rumba. La donna è giunonica, scura, inquietante ma sensuale, un personaggio che fa parte dei ricordi d’nfanzia di Fellini che racconta: “L’ho conosciuta davvero: un donnone monumentale (…) Avrò avuto nove anni, un giorno rimediai qualche soldo e con degli altri ragazzotti andai a trovare la Saraghina. Mi ricordo che a un certo momento si mise a ballare muovendo il gran pancione con sussulti da terremoto che ci turbavano e ci spaventavano”. Dando un’occhiata ai disegni di Fellini, che prima di essere regista era illustratore, tanto che i suoi film sono nati spesso dai suoi schizzi, si possono trovare molte figure di donna accomunate da una femminilità prorompente, dalla formosità del corpo (più simile a quella della sua storica amante che non a quella della moglie). Femmine carnali sempre protagoniste di un sogno/incubo come succede ne La città delle Donne (1980), racconto del femminismo e del timore che questo suscita nell’uomo.

Ma i ballerini compaiono anche in Roma (1972), ne L’intervista (1987), film che ripercorre la carriera di Fellini, Lo sceicco bianco (1952) con la danza del ventre, Fellini Satyricon (1969) e soprattutto in Casanova (1976) e in E la nave va (1983). In queste due pellicole, infatti, ci sono due grandi nomi della danza internazionale.

Il Casanova di Federico Fellini vede nel ruolo de la bambola meccanica, accanto al protagonista Donald Sutherland, la danzatrice e coreografa, Leda Lojodice che qualche anno fa ha festeggiato cinquant’anni di carriera trascorsi nel mondo della danza, dell’opera e del cinema. Oltre che con Fellini, la Lojodice ha lavorato anche con Franco Zeffirelli e Roberto Benigni. “Quel personaggio è diverso dalle tante bambole del balletto perché “vive” un dialogo muto con il Casanova in uno stile “automate” che l’ha resa universale. Fellini mi ha ispirato parlandomi dolcemente all’orecchio sul da farsi ed è arrivato nel profondo del mio Essere facendo emergere della mia competenza ciò che neanche io sapevo di avere.” Ci ha detto in un’intervista. Nella memoria della Lojodice, il ricordo del grande regista è sempre vivo e, nel 2016, Dance Hall News è stata la prima rivista a pubblicare la sua lettera a Fellini (leggi https://www.dancehallnews.it/esclusivo-per-la-prima-volta-in-italia-dance-hall-news-pubblica-la-lettera-di-leda-lojodice-a-federico-fellini/?fbclid=IwAR2BPmiarrHUi0ZaqNEq31F_qJXhOIUZh8584RKwmp1tmTYsOcJuSP5SzKE)

E la nave va vede la partecipazione della danzatrice, coreografa e fondatrice del Tanztheater Pina Bausch nel ruolo della Principessa Lherimia, sorella non vedente di un Granduca tedesco. Nel film, la donna ha la singolare capacità di riuscire a visualizzare lo spettro dei colori attraverso la musica e la voce (la colonna sonora è di Gianfranco Plenizio, uno dei più grandi compositori per il cinema). “La musica le fa vedere un arcobaleno di colori” dice il Granduca. Anche questo racconto attinge dai ricordi di Fellini che rivela: “C’è stato un periodo della mia infanzia in cui all’improvviso visualizzavo il corrispondente cromatico dei suoni.” A bordo dell’imbarcazione che trasporta le ceneri del famoso soprano Edmea Tetua, sono presenti varie celebrità, nobili e amici dell’artista defunta, oltre al reporter Orlando, che ha il compito di scrivere la cronaca dell’evento. E’ presente persino un rinoceronte ammalato di tristezza d’amore. Va detto che il film viene girato tra il 1982 e il 1983 ma nel 1979, Pina Bausch aveva allestito il balletto Arien su un palcoscenico occupato dall’acqua e dov’era installato un enorme ippopotamo circondato dai suoi piccoli. Anche Arien utilizza la musica d’opera, nello specifico la voce di Beniamino Gigli. Il rinoceronte di Fellini può essere perciò visto anche come una variante dell’ippopotamo di Pina Bausch. La grande artista tedesca ha lavorato nel corso della sua carriera con altri registi cinematografici come Pedro Almodóvar e Wim Wenders che ha realizzato il documentario distribuito nel 2011, due anni dopo la morte della Bausch.

Un uso importante del corpo in movimento, dunque, quello che fa Fellini nei suoi film ma anche grande attenzione per lo spettacolo dal vivo: già nel 1950, in coppia con Alberto Lattuada, firma la regia di Luci del varietà trattando un tema che gli è caro: il mondo dell’avanspettacolo e la sua decadenza.

Non si può concludere questo breve e certamente incompleto excursus sul mondo felliniano, senza menzionare il primo grande successo internazionale del regista, che ha vinto l’Oscar come miglior film straniero: La strada (1954). Con due eccezionali Giulietta Masina (Gelsomina) ed Anthony Quinn (Zampanò) nei ruoli principali e Richard Basehart come il Matto, “La strada” tratta del mondo zingaresco ed errante del circo nello scenario del dopoguerra italiano in modo crudo ma poetico ed ha una sua trasposizione coreografica molto importante. Si tratta di un balletto in un atto unico di Mario Pistoni, su musiche di Nino Rota, scene e costumi di Lucio Damiani prodotto dal Teatro alla Scala e rappresentato per la prima volta nel 1967. Nei ruoli principali una grande Carla Fracci (Gelsomina), Aldo Santambrogio (Zampanò) e lo stesso Mario Pistoni (il Matto). Un ottimo esempio di balletto norealista ancora rappresentato nel mondo. Recentemente, durante il programma “Danza con me” Roberto Bolle ha eseguito con Silvia Azzoni il passo a due de La Strada proprio per omaggiare Fellini nell’anno del centenaio (al pianoforte, Stefano Bollani). Dunque, la danza nel cinema ma anche il cinema nella danza. Il film ha avuto un tale successo che ancora oggi Milena Vukotic, che all’epoca lavorava come ballerina professionista, racconta: Sono cresciuta tra teatro e musica ed educata alla danza che a Parigi diventò poi la mia professione a livello internazionale, ma dopo aver visto ‘La strada’ mollai tutto, tornai in Italia con un solo bisogno, quello di conoscere Federico Fellini”. L’attrice ha poi lavorato con lui in Giulietta degli spiriti (1965) e non ha lasciato più il cinema.

Il lavoro di Fellini si può definire molto teatrale: il regista non rappresenta la realtà così com’è ma la reinventa in ogni senso, ricostruendo tutto in studio grazie alla collaborazione con grandi scenografi che gli permettono di dare vita ai propri sogni.
La danza, intesa non solo come sequenza di passi codificati ma più spesso come libera e spontanea espressione del corpo, da sempre entra con facilità nel cinema di ogni genere. Si puo’ dire che le due arti convivano bene: entrambe, infatti, implicano il movimento. Fellini, cinque volte premio Oscar e molto altro, come sappiamo, col suo cinema intriso di visioni oniriche ha lasciato il segno nella cultura contemporanea che ha ispirato e ispira generazioni di artisti. Ancora oggi nascono spettacoli teatrali e balletti sui suoi film (pensiamo per esempio ad  Amarcord di Luciano Cannito o a I Bislacchi di Monica Casadei). Il regista si è spento il 31 ottobre del 1993.

Come ha ricordato in questi giorni il critico cinematografico Gianni Canova, rettore dell’Università IULM di Milano, Pasolini è colui che meglio di chiunque altro ha capito Federico Fellini.
Nel film La Ricotta, episodio di Ro.Go.Pa.G. (1963), Pasolini fa dire ad Orson Welles queste parole:

Giornalista – Qual è la sua opinione sul nostro grande regista Federico Fellini?
(Orson Welles)  – Egli danza.

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