La danza verso il Metaverso: nuove possibilità di relazione

di Elio Zingarelli
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Nella realtà contemporanea già 350 milioni di persone vivono le loro esperienze nel Metaverso: dai role-play game ai mondi sociali virtuali, dalle economie basate sui blockchain ai mondi immersivi, lungi dall’essere portatori di asocialità e incorporeità. La rivoluzione digitale del Web 3.0 non è solo una rivoluzione tecnologica ma anche culturale e sta trasformando profondamente i modi in cui viviamo, lavoriamo e interagiamo tra di noi.

La danza, in questo scenario, ha un ruolo primario: come arte del movimento formale nel tempo e nello spazio in grado di suscitare emozioni dialoga con le nuove tecnologie e ci aiuta a comprendere le loro implicazioni culturali e sociali e immaginare scenari futuri più sostenibili e inclusivi. Parte della riflessione filosofica di Jean-Luc Nancy ci offre la possibilità di pensare la danza come “muoversi” e “toccare” perché: “non tocchiamo soltanto con la pelle, tocchiamo anche con gli occhi, con il naso, con il gusto, con il movimento.” Ciò implica la misura della prossimità che obbliga a sperimentare la relazione di noi stessi con gli altri e con le cose nel mondo, così da arginare il solipsismo dilagante nella realtà contemporanea. Nella nostra società l’individualismo spiccato che spinge all’esibizione di sé stessi si coniuga spesso con la tendenza opposta: l’istinto a seguire qualcuno. Ma forse la motivazione che sta alla base della nostra incapacità di relazione è il predominio della tecnica che trasforma l’uomo in un funzionario di apparati al quale vengono richieste solo competenze. Le tecnologie digitali del XXI secolo non compromettono, in ogni caso, il bisogno oltre che individuale soprattutto sociale, di danzare, perché si configurano come nuove forme d’arte che stimolano inedite possibilità di relazione tra gli uomini. La fruizione di un’opera di videodanza o di un videoclip musicale, per esempio, mette in moto meccanismi percettivi, fisici, tempo-ritmici legati ai gesti e ai movimenti.

In Italia, già da anni, la compagnia AiEP (Avventure in Elicottero Prodotti) di Ariella Vidach e Claudio Prati si distingue per il lavoro fatto in questo ambito. Dopo la pandemia Covid 19, la compagnia realizza DANCEtheDISTANCE, un progetto coreografico sperimentale sostenuto dalla Fondazione Pro Helvetia e realizzato in coproduzione con il MEETcenter / Intermedialab di Milano, FIT Festival internazionale di Teatro e della Scena contemporanea di Lugano e Fab Lab della SUPSI di Lugano. L’esito prevede due moduli performativi, il primo denominato Virtual touch e l’altro Phygital, come risposta innovativa al contatto necessario tra i corpi e al sistema di relazioni che lo spettacolo dal vivo attiva.

“Il lavoro si svolge attorno al concetto di relazione ibrida. Nel senso che non c’è un vero corpo. C’è un avatar con il quale il danzatore ha una relazione.”

Ai due direttori non interessa il digitale come assuefazione bensì come potenziale di relazione. Nel 2022 nell’ambito del Festival Bolzano Danza è stato presentato We, us and other games (Noi, a noi e altri giochi), lavoro di Dunja Jocic per l’italiana Spellbound Contemporary Ballet, compagnia fondata e diretta da Mauro Astolfi. Attraverso l’esperienza dei giochi virtuali, la creazione propone una riflessione sulle relazioni interpersonali nell’era digitale, tra chi resta ancorato alla realtà e chi fugge verso mondi virtuali. Allora come si pone la danza di fronte a questi molteplici ambienti? Risponde la coreografa:

“È una questione di equilibrio: la danza, pur essendo una forma di finzione, si basa sull’autenticità di gesti e movimenti, è quindi un modo per esprimere liberamente sé stessi in rapporto con gli altri, perché non pretende di spacciarsi per realtà.”

Oggi, i coreografi contemporanei si servono delle tecnologie digitali anche per avvicinare le persone alla danza che come attività motoria può garantire una connettività tra spazio virtuale e fisico. Le trasformazioni delle pratiche corporee attraverso le tecnologie digitali suscitano nuove domande che noi dobbiamo cogliere. Se è vero, come riteneva Rudolf Laban, che ogni età ha la sua espressione, quella a noi contemporanea, così come si è delineata, se prodotta, non deve essere rivolta ai posteri, ma a coloro che vivono la danza nel presente perché “la danza di oggi non sarà mai la danza di domani.”

Photo Claudio Prati

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