Il tango maschera o smaschera? Torna Vittoria Maggio con “Finché c’è tango c’è vita”

di Vittoria Maggio
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Poteva forse la nostra rubrica fingere che oggi non fosse proprio il giorno dedicato ad Halloween? E come si poteva legare questa festa al tango?

Halloween, maschera, tango… Il tango, che spesso paragoniamo alla lunga camminata della nostra vita, maschera le persone o le smaschera? Siamo mascherati nella nostra vita quotidiana? E quando balliamo tango? Non siamo mai mascherati, oppure lo siamo sempre?

Ma che cos’è una maschera se non la proiezione o la ricerca di identità da alternare a seconda del contesto o del momento?

L’etimo della parola maschera  è incerto: una prima ipotesi lo vorrebbe di origine preindoeuropea, da masca («fuliggine, fantasma nero»). Una seconda ipotesi lo deriverebbe dal latino tardo-medioevale màsca, strega:  «strigam, quod est Masca».
Comunque sia, la maschera ha origini e usi antichissimi, come quello religioso e funerario dove chi indossa la maschera perde la propria identità per assumere quella dall’oggetto rituale, oppure diventa strumento di comunicazione tra gli uomini e le divinità. Nel teatro è elemento fondamentale sin dall’antichità.

Non c’è bisogno di scomodare la psicoanalisi per accettare consapevolmente che tutti noi, chi più chi meno, durante la nostra quotidianità, vuoi per il contesto, le regole, gli usi e costumi o anche semplicemente per quanto gli altri si aspettano da noi, spesso alteriamo il nostro naturale comportamento e indossiamo una maschera per conformarci e adattarci al mondo circostante. La maschera diventa uno strumento di difesa, di fuga, di falsità.

Così non dovrebbe essere, ma siamo ben lontani da un mondo che lascia libere le persone di essere completamente se stesse.

Ecco, il tango in questo ci aiuta, dandoci l’opportunità, attraverso la relazione con la nostra fisicità e con le emozioni con cui il suo abbraccio ci costringe a misurarci, di uscire allo scoperto col nostro vero “io” lasciando fuori dalla milonga i nostri “abiti ufficiali”. Oltre a quelli, si lasciano fuori anche i pregiudizi, i giudizi, i commenti, le critiche, si sospende il pensiero razionale e si accende l’intelligenza emotiva.

È una opportunità che si può cogliere e che si può non cogliere e che a un attento osservatore viene rivelata già dallo stesso modo in cui ognuno di noi balla: ci vuole coraggio con se stessi per mettersi in gioco e in discussione in quell’abbraccio tanguero dove ascolti e sei ascoltato nelle tue innumerevoli sfumature di colore.

Chi coglie questa opportunità, fa un percorso di conoscenza di sé meraviglioso, che lo porterà a migliorare se stesso e il suo essere e stare con gli altri. Chi non la coglie, rimarrà la maschera di se stesso.

Ma cerchiamo di capire quanto storicamente il tango sia legato al concetto di maschera come proiezione e ricerca  di un’identità anche per la terra dove un bel giorno è nato il tango!

Il nome stesso di America Latina contiene un paradosso e la conseguente ricerca e costruzione di un’identità nazionale: perché non averla chiamata Indoamerica o Afroamerica?
Dove sono le sue radici che tanto servono a creare identità e il proprio essere?
Questo territorio ha iniziato ad avere vita ufficiale  quando è stato scoperto dagli Europei, altrimenti non sarebbe esistito agli occhi del mondo… pur essendo uno dei continenti più vasti con profonda storia e cultura indigena, ha iniziato a esistere solo nel momento in cui è stato reso schiavo dai conquistatori e annientato nelle sue origini.

Origini che negli anni a venire ha rivendicato con la forza e col sangue.

Ecco quindi la nascita degli archetipi di questa terra, i personaggi della letteratura latino americana che in maniera mimetica e di nascosto dal Conquistatore, rivendicano  la ricerca dell’essere di questo Paese: l’Indio, il Gaucho, l’Immigrante, il Compadrito,  la Femmina del bordello, ognuno portatore di valori culturali e sociali differenti, diventano le maschere della ricerca dell’identità del Sud America ed entrano nella storia del tango, tratteggiandone i tratti fondamentali e le sue profonde radici. Radici che poi mutano ancora con l’internazionalizzazione del ballo argentino che assorbirà guarda caso ancora nuovamente  tratti europei per arrivare al successo e alla sua accettazione globale.

C’è chi pensando al tango, pensa prima di tutto alla rosa in bocca, allo spacco provocante, alla camminata da guappo, all’atteggiamento esageratamente sensuale e provocatorio.

Non pensa al tango, pensa alla maschera del tango, che invece nella sua vera essenza e intimità ha il grande potere di togliere la maschera a ognuno di noi, se ne accettiamo la sfida lasciando al tempo della sua musica di lavorare su di noi accordando piano piano tutte le nostre note.

A noi scegliere se tenere la maschera o lasciarla fuori dalla porta, per poi non indossarla più!

Come sempre buon Tango a tutti, a chi lo balla, a chi inizierà a ballarlo, a chi lo ascolterà oppure lo guarderà, a chi lo ama e a chi lo rifiuterà e male ne parlerà … A chi vive insomma perché Finché c’è tango c’è vita!

Un abbraccio!

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