“La mia danza giace sul confine tra equilibrio e disequilibrio”.
Frase attribuita a José Limon, uno dei padri della danza moderna, ma che faccio mia questa settimana per spiegare un principio fondamentale della dinamica nel movimento, seppur riconoscendo nella danza classica una certa esasperazione dell’estetica verticale.
I ballerini sono come dei fili d’erba, ben radicati nella terra ma tesi verso l’alto, che anelano a toccare le nuvole con un dito. Il loro sforzo commovente e sorprendente incanta da secoli, creature speciali che raccontano il dramma della condizione umana e il miracolo del volo.
Per questo motivo gran parte dello studio della tecnica del balletto verte all’acquisizione di una consapevolezza dell’asse verticale e all’organizzazione di tutti i segmenti del corpo attorno a questo centro, sia in una condizione statica che nel dispiegamento del movimento nello spazio.
Nel corso dello scorso secolo, però, nuovi e freschi ingredienti si sono progressivamente aggiunti a questo linguaggio, come una certa brillantezza ritmica, velocità di esecuzione, spinta nello spazio e dinamica. Questo ha richiesto una revisione degli strumenti acquisiti finora, per apportare le dovute modifiche allo studio con l’obiettivo di ottenere una danza nuova, pur nel rispetto di ciò che abbiamo ereditato dal passato. Uno degli aspetti che costantemente sperimento nelle mie classi, e che considero il centro di questa discussione, è la gestione del peso del corpo in relazione all’asse verticale.
Vorrei affrontare di petto l’argomento partendo da un esempio, rubato al quotidiano, che ci permetterà di arrivare subito al nocciolo della questione: quando camminiamo, muovendoci da una condizione statica, la prima azione che istintivamente facciamo non è spostare un piede davanti all’altro, ma lasciare andare il peso in avanti. Solo nel momento in cui il peso del corpo si spinge fuori dall’asse verticale allora le gambe agiscono prontamente per accogliere questo peso e impedire al corpo di cadere in avanti. In pratica la deambulazione non è altro che una continua perdita di controllo del peso e una successiva ripresa, al punto che quando inciampiamo con un piede rischiamo seriamente di cadere rovinosamente a terra, perché ormai il peso è già talmente avanti che se la gamba manca l’appoggio non c’è alcun modo di tornare indietro rientrando nella spazio dell’asse verticale: camminare è un gesto meravigliosamente fluido e dinamico, intelligente ed efficace, ma che tutti noi facciamo quasi senza farci caso.
Spostare il peso del corpo dall’asse centrale produce grande dinamica, come abbiamo visto, quindi perché non utilizzare questo principio anche quando danziamo, per ottenere un gesto altrettanto naturale e organico come il semplice atto di camminare?
Ci sono contesti in cui ci viene richiesto di mantenere una data posizione per un certo tempo, come ad esempio durante un equilibrio, o anche durante la pirouette, in cui la rotazione può avvenire solo attorno ad un asse verticale, mentre si cerca di sostenere la posizione, allungandosi in una sorta di spirale rotante. In questo caso allora la nostra concentrazione sarà focalizzata sul mantenere il contatto con questo luogo, l’asse verticale, che attraversa il corpo dal centro del cranio al centro del pavimento pelvico e che possiamo considerare un principio organizzatore per tutte le forze che attraversano la forma, alla ricerca di un bilanciamento reciproco, donando una stabilità dinamica al corpo, piena di tensione emotiva.
In altre situazioni invece la danza richiede di essere liberata con potenza e irruenza, affinché possa riempire gli spazi interni e invadere lo spazio esterno come un’onda. È il caso dei grandi salti, ad esempio, per fare i quali il corpo è chiamato a raccogliere tutta la propria potenza nella preparazione del salto per poi esplodere nell’infinito istante di un volo.
Per poter usufruire di una buona spinta, ad esempio, nell’esecuzione di un finale classico come tombée, pas de bourrée, glissade e grand jeté develloppé, possiamo utilizzare lo stesso principio di cui abbiamo parlato riguardo alla deambulazione, liberando il peso del bacino leggermente avanti, lasciando che la sua caduta al di fuori dell’asse di allineamento verticale metta in moto tutto il sistema, che risponderà con naturalezza e rapidità, accumulando energia di propulsione dal suolo, durante la preparazione, per poi avere a disposizione la forza necessaria per spingersi verso l’alto nel salto finale.
Mi viene in mente il salto con gli sci, quello sport invernale in cui gli atleti scendono lungo un grande scivolo, accumulando accelerazione in virtù del proprio stesso peso, finché, giunti al termine della discesa, la forma dello scivolo diventa una rampa che lancia gli sciatori in un salto che pare eterno, e toglie il fiato, facendoli letteralmente volare, tutti tesi in avanti, fino a che non si posano nuovamente con grazia sulla neve, attraverso un sapiente gesto delle gambe degno di un essere alato che si appresta ad atterrare.
Ecco un esempio chiaro in cui lo sbilanciamento del peso fuori dall’asse verticale produce dinamismo.
La nostra rampa sono le gambe, sapientemente allenate, insieme ad un certo senso del rischio, del tutto calcolato, che in certe situazioni paga sempre.